Il Museo Marino Marini parla russo. A Firenze

Museo Marino Marini, Firenze – fino al 1° luglio 2019. La presidente Patrizia Asproni lo definisce “l'unico museo di arte contemporanea di Firenze” e ora, grazie a un giovane visiting director russo, il museo dedicato allo scultore ospita opere site specific realizzate da tre artisti di Mosca e San Pietroburgo.

C’è un filo rosso che lega il Museo Marino Marini di Firenze e l’arte contemporanea. È un filo, anzi una striscia, che accoglie i visitatori all’ingresso e che percorre i grandi spazi della chiesa sconsacrata – nei secoli è stata sede di un monastero, di caserme, della manifattura tabacchi – e conduce lo sguardo tra le grandi e piccole opere dello scultore toscano, insinuandosi nei vuoti, percorrendo le scale, fluttuando sospesa tra una balaustra e il soffitto. Rossa come il sangue, fluida come la vita (il titolo è infatti Nove cerchi di vita, in omaggio a un altro mito fiorentino, Dante), l’opera di Ivan Plusch (San Pietroburgo, 1981) si snoda a partire da una porta chiusa e si perde nell’altezza delle travi, in una indeterminatezza dell’inizio e della fine che è propria dell’esistenza di tutti gli esseri. Ma l’intervento dell’artista russo non è un unicum all’interno di quel palinsesto architettonico stratificato e disseminato di capolavori in bronzo: si tratta infatti di uno dei tre lavori prodotti per la mostra Accents, resa possibile grazie alla curatela di Dimitri Ozerkov, il visiting director del museo, al quale per tutto il 2019 è stata affidata una carica innovativa che d’ora in poi intende affidare la programmazione a direttori e conservatori internazionali che possano trasformare l’istituzione in un “luogo di elaborazione culturale continua e stimolante, un laboratorio di sperimentazione e di futuro“.

La cappella Rucellai, Museo Marino Marini, Firenze 2019

La cappella Rucellai, Museo Marino Marini, Firenze 2019

DUE ACCENTI PER UNA CRIPTA

Per scoprire i lavori degli altri due artisti invitati da Ozerkov bisogna scendere nelle profondità della cripta, tra i resti dell’abside di epoca carolingia: qui Irina Drozd (Rzhev, Russia, 1983) e Andrey Kuzkin (Mosca, 1979) hanno riflettuto su diverse tematiche, concretizzando i progetti con differenti modalità, dall’installazione alla pittura fino alla performance.
Irina Drozd, studiando le vicende del museo e dell’edificio, è rimasta particolarmente colpita dal suo essere stato un’antica abbazia benedettina femminile e ha così rielaborato il dato storico concentrandosi su figure di donne e bambini – le parti più deboli di molte società –, a cui spesso viene negata la libertà e che subiscono violenze, come accade ancora oggi in alcuni monasteri, due dei quali, proprio per questo problema, sono stati recentemente chiusi in Africa. Le sue grandi tele – significativamente appese con mollette da bucato, altro simbolo del femminile oppresso – prendono vita da fotografie scattate ad amiche e conoscenti e dalle sculture di Marini, come Giovinetta del 1938 che diventa idealmente una figura femminile crocifissa.
Il corpo umano, le malattie e la morte sono invece al centro del lavoro, prevalentemente performativo, di Andrey Kuzkin. Un nastro bianco che reca i nomi delle patologie dalla A alla Z comincia subito dopo un tunnel – dove i visitatori incontrano un autoritratto nudo e uno specchio nel quale riflettersi – e conduce al video di una performance durante la quale, ricoperto ancora una volta dai nomi delle malattie, l’artista si è fatto rinchiudere in un sarcofago trasparente. Sparse qua e là, sculturine in mollica di pane simboleggiano il carcere dell’anima, con riferimento a una pratica artigianale molto diffusa nelle prigioni russe.

ANTICO TESTAMENTO AL FEMMINILE

Chiude il percorso espositivo un ritorno al passato: ai tre lati della Cappella Rucellai – scrigno di un capolavoro assoluto dell’architettura di tutti i tempi, il tempietto di Leon Battista Alberti – Dimitri Ozerkov presenta tre incisioni che raffigurano altrettante eroine bibliche, Giuditta, Giaele, Dalila. Tutte “hanno ucciso il loro amante/nemico per difendere il proprio popolo e per questo sono sempre state rappresentate non come banali assassine, ma come guerriere, la cui essenza riecheggia il mito e l’archetipo dell’eroe, ma al femminile“.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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