Biennale di Venezia 2019. Il Padiglione Lituania e la somiglianza con un videoclip dei R.EM.?

Con la Lituania, per la seconda volta consecutiva il Leone d’Oro della Biennale d’Arte di Venezia va a una performance. Nell’epoca dell’effimero la regia è l’occhio dello spettatore, che usa come appiglio altri linguaggi, come ad esempio quello del videoclip. E osservando più attentamente il Padiglione Lituano, scorgiamo qualche somiglianza con un videoclip della rock band degli R.E.M

Diversi giorni prima dell’assegnazione del meritato Leone d’Oro, tra il popolo dell’arte è tutto un passaparola, post e file di ore: il Padiglione della Lituania si annuncia come magnetico. Per i pochi che non ne abbiano già visto (o postato) video o foto, il lavoro di Rugilè Barzdziukaitè, Vaiva Grainylè, Lina Lapelyte è una performance che inscena un pezzo di spiaggia: teli, ombrelloni, donne e uomini che prendono il sole e l’idea del mare oltre il perimetro visivo. Gli spettatori possono guardarla, e soprattutto riprenderla, da un ballatoio posto al piano di sopra. I performer cantano i loro problemi, spesso banali (“come farò a spalmarmi la crema”, “speriamo che il cane non mi dia fastidio…”).
Eppure ci pare di avere negli occhi, da tempo, questa immagine tenue di bagnanti svagati; dai colori pastello e nostalgica già nel presente, nata insieme alla musica che ne scandisce le azioni. In cui spiare la vita che scorre, come dal mirino di una telecamera, nuovo buco della serratura.
La donna che si spruzza l’acqua abbronzante, le solite gemelline di Diane Arbus, una coppia di mezza età annoiata. Siamo all’aria aperta, in pubblico, ormai spazio del privato. Sì, l’impianto di quell’immagine ci è familiare, perché l’abbiamo già percorsa visivamente.

IL PADIGLIONE LITUANIA ALLA BIENNALE DI VENEZIA E IL VIDEOCLIP DEI R.E.M.

È noto che un tableau vivant per definizione si riferisce a un’opera ben integrata nel nostro archivio di immagini. Cosa cita dunque? Un quadro? Un film? No, un videoclip. Che neanche a dirlo si intitola Imitation of Life.
Uscito nel 2001 – da considerare però tra gli ultimi strascichi degli anni Novanta, attestato di un mondo estinto all’indomani dell’11 settembre – il videoclip firmato da Garth Jennings per l’omonimo brano dei R.E.M. ha fatto la storia di questo formato breve per più motivi. Tecnici innanzitutto, come il sistema Pan and Scan, usato in epoca analogica per il passaggio dal widescreen al PAL. Una differenza di dimensioni e proporzioni per navigare dentro l’immagine, che tradotto in termini visivi significa zoom-in/primo piano e zoom out/totale. Sguardo bionico e onniscente, che osserva dall’alto un assurdo party in una piscina della West Coast, senza perdersi alcuna frivolezza, grazie a continui ingrandimenti sulle varie scene.

IMITATION OF LIFE DEI R.E.M.

Palloncini, barbecue, uomini a fuoco, lanterne cinesi, litigi, baci appassionati, danze, screzi, noia, una scimmietta che suona la chitarra, Michael Stipe che balla, Los Angeles.
Si tratta di un loop-reverse che simula la vita, in realtà congelata in 20 eterni secondi.

That sugar cane that tasted good
That cinnamon, that’s Hollywood
Come on, come on
No-one can see you try
No-one can see you cry

Cosa va in scena allora al sestriere Castello, nei difficili spazi di una ex caserma?  Di nuovo la musica, il labiale che coincide con la registrazione diffusa dagli altoparlanti, lo sguardo dall’alto, la visione totale e delle singole azioni, il pubblico che con lo smartphone ne firma la regia. Nel padiglione lituano la spiaggia, nel videoclip la piscina, ma il comune intento dello scorrere inconsapevole e leggero dell’esistenza, la necessità umana di rappresentarla e guardarla. L’imitazione della vita.

– Mariagrazia Pontorno

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