Lo scorrere del tempo che distorce i volti e il significato delle azioni umane, creando fraintendimenti e distanze: è la problematica affrontata da Francesco Carone (Siena, 1975), attraverso un immaginario di maschere, idoli, reti vegetali, che sono tracce di un cammino e di un passaggio nello spazio come nel tempo. Non ci sono spiegazioni, così come non ci sono discriminanti; ci sono soltanto, distanze, ombre, doppiezze. E, come una spada di Damocle, il dolore esistenziale di non poterle superare, suggerito dalla voluta freddezza dell’allestimento all’apparenza dispersivo, ma per tramite del quale si riproduce nello spazio espositivo una “mappa” di solitudini, di tentativi di avvicinamento all’altro andati a vuoto, che il Disinganno del titolo riassume in se stesso. Una mostra che è un “vasto mare” che si richiude dantescamente sopra il visitatore, lo avvolge e lo trascina a fondo, senza speranza.
Una mostra non facile, criptica, dolorosa.
‒ Niccolò Lucarelli