Premio Francesco Fabbri 2018. Ecco le opere dei 3 vincitori e dei 4 menzionati

Il Premio dedicato alle tendenze visive attuali ha annunciato i nomi di chi ha vinto le sezioni Arte emergente e Fotografia contemporanea, oltre a quello speciale. Ecco i progetti vincitori e menzionati nel dettaglio

Settima edizione per il Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee che si prefigge l’obiettivo di valorizzare i linguaggi dell’arte contemporanea andando alla ricerca e alla scoperta degli autori emergenti più promettenti. La rassegna promossa dalla Fondazione Francesco Fabbri Onlus, nella cornice della mostra collettiva dei finalisti a cura di Carlo Sala – in corso a Villa Brandolini fino al 16 dicembre -, ha decretato i vincitori: Luca Staccioli, nella sezione Arte emergente; Mimì Enna per la Fotografia contemporanea; e Matteo Valerio che si è aggiudicato il Premio speciale TRA / Ca’ dei Ricchi. Le menzioni sono, invece, andate a Ruth Beraha, Fabio Ranzolin, Tomaso Clavarino e Massimo Ricciardo. I vincitori – scelti da due diverse giurie nelle rispettive sezioni (Lorenzo Balbi, Lucrezia Calabrò Visconti, Stefano Coletto e Stefano Raimondi per Arte emergente; e Matteo Balduzzi, Daniele De Luigi, Vincenzo Estremo, Francesco Zanot per la sezione Fotografia contemporanea – hanno ricevuto un premio acquisto di 5mila euro. I loro lavori sono entrati a far parte della collezione della Fondazione che li custodirà a Casa Fabbri, il centro residenziale teatro di numerosi eventi. Ecco le opere di vincitori e menzionati nel dettaglio, sfogliatele.

-Claudia Giraud

VINCITORE SEZIONE ARTE EMERGENTE – LUCA STACCIOLI

Luca Staccioli, Was it me, Screen memories, 2017

Luca Staccioli, Was it me, Screen memories, 2017

A vincere la settima edizione del Premio Fabbri nella sezione Arte emergente è Was it me? Screen memories (2017) di Luca Staccioli (Imperia, 1988). L’opera tratta il tema del viaggio attraverso immagini vernacolari prelevate da piattaforme social di condivisione, fotografie provenienti da archivi storici e souvenir di varia natura (da una bottiglia di Coca-Cola riempita di sabbia alla riproduzione della Tour Eiffel, da un barattolo di conserva tunisina a delle vecchie cartoline dell’Eritrea). A scandire il video sono una serie di frasi che pongono degli interrogativi su come sia fallace la narrazione identitaria, sulle scorie dell’immaginario colonialista e in generale su come l’iperconnessione digitale risulti inefficace per colmare le distanze fisiche ed emotive.

PRIMA MENZIONE – RUTH BERAHA

Rut Beraha, Io non posso entrare (autoritratto), 2018

Rut Beraha, Io non posso entrare (autoritratto), 2018

Una riflessione di stretta attualità è condotta anche da Ruth Beraha (Milano, 1986) con Io non posso entrare (autoritratto) del 2018 che ha ricevuto la prima menzione della giuria. Per l’artista è stata fondamentale la lettura del romanzo Lo schiavista (2015) di Paul Beatty dove il protagonista afroamericano si ritrova imputato dinanzi alla Corte Suprema di Washington per aver reintrodotto la segregazione razziale alle porte di Los Angeles arrivando ad avere uno schiavo personale; lo scrittore, attraverso una narrazione ironica e paradossale, racconta la vicenda di una comunità dove le negazione improvvisa dei diritti fondamentali produce nuove consapevolezze negli abitanti. In modo similare, Ruth Beraha con il suo intervento dalle fattezze minimali (una elegante targa in ottone con inciso “Vietato l’ingresso agli ebrei e agli omosessuali) vuole scuotere le coscienze odierne spesso anestetizzate di fronte al razzismo latente nella società.

SECONDA MENZIONE – FABIO RANZOLIN

Fabio Ranzolin, Be muscular, be hairy, be virile, be burly, be arrogant, be glacial, be hard, be a man (part.1), 2017

Fabio Ranzolin, Be muscular, be hairy, be virile, be burly, be arrogant, be glacial, be hard, be a man (part.1), 2017

La seconda menzione della giuria è andata a Fabio Ranzolin (Vicenza, 1993) per l’installazione Be muscular, be hairy, be virile, be burly, be arrogant, be glacial, be hard, be a man (part.1) del 2017 che riflette sull’identità di genere. Il titolo del lavoro enuncia in modo imperativo una serie di caratteristiche a cui l’uomo deve adeguarsi (secondo una scala di ‘valori’ mutuati dai regimi del Novecento) per aderire ad uno stereotipo sociale che non tiene conto dei caratteri soggettivi del singolo. L’opera (composta da finestre, tapparelle Anni Ottanta e da riviste pornografiche), sembra incarnare il momento di passaggio – intimo e travagliato – dall’infanzia alla scoperta della sessualità.

VINCITRICE SEZIONE FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA – MIMÌ ENNA

Mimì Enna, Senza titolo 1 e 2 (dalla serie To get some air), 2017

Mimì Enna, Senza titolo 1 e 2 (dalla serie To get some air), 2017

Mimì Enna (Oristano, 1991) ha vinto la sezione Fotografia contemporanea del Premio Fabbri 2018 con il lavoro Senza titolo 1 e 2 (dalla serie To get some air) del 2017. L’opera è stata realizzata durante una residenza al Villaggio Eni di Borca di Cadore, l’utopico progetto urbanistico costruito tra la fine degli Anni Cinquanta e l’inizio degli Anni Sessanta su impulso di Enrico Mattei. L’artista ha voluto riconnettere simbolicamente l’interno dell’edificio (abbandonato da anni) con il paesaggio che lo accoglie proiettando le locali catene montuose sui mobili e oggetti originali della colonia: è una rigenerazione del luogo in forma poetica attraverso un intervento effimero, poi cristallizzato mediante l’immagine fotografica.

PRIMA MENZIONE – TOMASO CLAVARINO

Tomaso Clavarino, To never forget, 2018

Tomaso Clavarino, To never forget, 2018

La prima menzione della giuria è andata a Tomaso Clavarino (Torino, 1986) per lo scatto To never forget (2018) dalla serie Confiteor (Io Confesso). Questa ciclo, che l’autore porta avanti da oltre due anni, racconta il terribile fenomeno degli abusi sessuali su minori commessi da religiosi alternando ritratti, fotografie d’archivio, still life di oggetti e ritagli di giornale per dare voce e dignità alle vittime che negli anni si sono chiuse in un doloroso silenzio.

SECONDA MENZIONE – MASSIMO RICCIARDO

Massimo Ricciardo, Objects of Migration, Photo Objects of Art History Encounters in an Archive, 2018

Massimo Ricciardo, Objects of Migration, Photo Objects of Art History Encounters in an Archive, 2018

Ad aggiudicarsi la seconda menzione della giuria è stato Massimo Ricciardo (Darmstadt, 1979) con il lavoro Objects of Migration, Photo-Objects of Art History: Encounters in an Archive (2018). L’opera tratta un tema di importanza capitale per il periodo storico che stiamo vivendo: le migrazioni lungo la rotta mediterranea verso l’Europa, senza la retorica del dolore tipica dell’immaginario veicolato quotidianamente dai mass-media. L’intervento di Ricciardo mette in relazione alcuni oggetti persi dai migranti (come le SIM card dei cellulari) durante il viaggio con le immagini della fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze, creando così degli inediti dialoghi e cortocircuiti di senso.

PREMIO SPECIALE TRA / CA’ DEI RICCHI – MATTEO VALERIO

Matteo Valerio, Dream of intangible culture, 2018

Matteo Valerio, Dream of intangible culture, 2018

Infine, ad aggiudicarsi il Premio speciale TRA / Ca’ dei Ricchi è stato Matteo Valerio (Tampa, 1989) con Dream of intangible culture (2018). Il suo lavoro ruota attorno alle produzioni artigiane strettamente connessa alla storia e alle tradizioni di determinate comunità, mosse da criteri di sostenibilità. A tal proposito, la sua opera unisce simbolicamente alcune lavorazioni profondamente legate ai caratteri del territorio dove avvengono: dalla lana alpaca del settore tessile di Biella alle stampe realizzate a carbone a Manchester, dai cotoni della regione del Guizhou in Cina, fino ai prodotti di una fonderia della provincia di Vicenza.

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Claudia Giraud

Claudia Giraud

Nata a Torino, è laureata in storia dell’arte contemporanea presso il Dams di Torino, con una tesi sulla contaminazione culturale nella produzione pittorica degli anni '50 di Piero Ruggeri. Giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2006, svolge attività giornalistica per testate…

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