Il Filo dell’Alleanza, a Palermo l’opera di Daniela Papadia che unisce i popoli con il ricamo

L’opera, realizzata da ricamatrici palestinesi, israeliane, beduine e druse, è una metafora della fratellanza dei popoli del Mediterraneo, nonostante i conflitti bellici e politici in corso. Abbiamo parlato del progetto con l’artista

Il ricamo come strumento per cucire e rammendare tessuti strappati e lacerati, ma anche come medium per rinsaldare i popoli, le culture e la loro integrazione pacifica, spesso minacciata da conflitti bellici e totalitarismi politici. È un filo reale e metaforico quello che lega e coinvolge un gruppo di donne provenienti da Israele e Palestina nel progetto dell’artista Daniela Papadia, Il Filo dell’Alleanza, opera corale che il prossimo 9 ottobre verrà presentata a Palermo presso il Polo Museale Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Riso nell’ambito degli eventi di BIAS 2018, Biennale d’arte Sacra promossa da WISH – World International Sicilian Heritage.

Daniela Papadia, Il Filo dell'Alleanza, donne druse

Daniela Papadia, Il Filo dell’Alleanza, donne druse

IL PROGETTO

Il Filo dell’Alleanza è un progetto del programma Italia, Culture, Mediterraneo realizzato con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, nell’ambito della Presidenza Osce. Un’opera collettiva che coinvolge un gruppo di donne tra Israele e Palestina, in un progetto che promuove integrazione e convivenza nel Mediterraneo e nel Medio Oriente attraverso l’arte del ricamo, intesa come strumento per rappresentare relazioni, contatti umani, scambi di vite, parole e culture che si intrecciano. L’artista ha scelto il ricamo perché simboleggia l’arte della riparazione: ne Il Filo dell’Alleanza, la trama delle relazioni interculturali viene rappresentata da sei arazzi di 1,23 x 2.60 m, assemblati con un filo d’oro che rappresenta il Mediterraneo. Papadia ha coinvolto sei gruppi di donne, del movimento Women Wage Peace, appartenenti a etnie e religioni diverse (palestinesi, israeliane, beduine e druse), e della scuola di moda a Rehovot di Letizia Della Rocca, che insieme hanno incontrato la ricamatrice Michal Avvisar divenuta la coordinatrice delle esecutrici. “Non ero sicura di riuscire a trovare donne disposte a partecipare”, racconta ad Artribune Daniela Papadia. “Il mio primo contatto e supporto l’ho avuto dal direttore dell’istituto di Cultura di Tel Aviv Massimo Sarti che a sua volta mi ha messo in contatto con Letizia Della Rocca, alla quale ho esposto il progetto. Dopo poco tempo mi ha chiamata entusiasta dicendo che c’erano tante donne israeliane disposte a partecipare. In particolare c’era una ricamatrice, Michal Avisar Choen, che si rendeva disponibile a collaborare e conosceva donne beduine e druse ricamatrici. L’unico problema a questo punto era trovare donne palestinesi”.

Daniela Papadia, Il Filo dell'Alleanza, donne palestinesi di El Azaria

Daniela Papadia, Il Filo dell’Alleanza, donne palestinesi di El Azaria

IL FILO CHE UNISCE

Nonostante le difficoltà, Daniela riesce a mettersi in contatto e a coinvolgere anche un gruppo di donne palestinesi. “Non è stato facile trovare le donne Palestinesi, come si può immaginare ci sono problemi di confini e comunicazione”, continua Papadia. “Non avrei mai fatto il progetto senza le donne palestinesi, Letizia e suo marito Roberto si sono resi disponibili ad aiutarmi e alla fine ci siamo riusciti. Poco prima di ripartire ho incontrato Fatima, una donna palestinese musulmana che è a capo di un’associazione di donne di El Azaria, e Laila, una ricamatrice di Betlemme cristiana. Avevo trovato l’inizio del filo, adesso bisognava trovare il modo di cucire e costruire questi nuovi rapporti”.

L’OPERA

Ogni ricamatrice ha realizzato un arazzo tra Israele e la Palestina, luoghi per la Papadia ideali per ricucire gli strappi aperti dall’interruzione del dialogo e dai conflitti e per riavviare un processo di alleanza e convivenza. Nelle opere, i fili d’oro ricuciono quindi simbolicamente gli strappi e fanno incontrare donne provenienti dai due Paesi, che desiderano conoscersi e lavorare insieme. Questo gruppo di lavoro si è infine incontrato a Gerusalemme, dove i sei lavori si sono assemblati in un’unica opera collettiva che rappresenta la mappa del Mediterraneo, una sorta di genoma umano che integra e definisce l’unicità e la somiglianza di ogni individuo, raffigurando i 12 geni che garantiscono la funzione del sangue, individuati dal neurofisiologo Riccardo Cassiani Ingoni. “Il giorno dell’incontro ho temuto che alcune delle ricamatrici non sarebbero arrivate”, conclude Papadia. “Il secondo giorno che eravamo a Gerusalemme, da Gaza erano partiti 150 razzi e poteva accadere di tutto. Le donne provenivano da tutto il paese, le druse dal nord al confine del Golan, le beduine dal sud nel deserto del Negev, le israeliane dal centro di Israele e le palestinesi da West Bank . Il coraggio e il desiderio di incontrarsi sono stati più forti di ogni cosa e alla fine sono arrivate tutte portando il telo ricamato. Abbiamo unito i pezzi e finito l’arazzo”. L’intero progetto è stato raccontato dal regista Francesco Miccichè in un documentario, prodotto dall’Istituto Luce e da Reporter. Il 9 ottobre a Palazzo Riso sarà proiettato il trailer.

– Desirée Maida

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Desirée Maida

Desirée Maida

Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi…

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