Tempo svogliato. La seconda edizione di Straperetana in Abruzzo

Pereto ‒ fino al 5 agosto 2018. Ultimi giorni di tempo per visitare la cittadina abruzzese, ospite della seconda edizione di Straperetana.

Poco prima di arrivarci, mentre immagini di varcare una “porta” (Pereto, Porta d’Abruzzo, a soli settanta chilometri da Roma), ti imbatti nella forma ripida di un triangolo aggrappato alla montagna, simile a una cascata di luce fluida, sospesa in un solenne equilibrio.
Impatto, immagine e senso in autentica simbiosi con Straperetana 2018 ‒ progetto nato da un’idea di Paola Capata e Delfo Durante e curato da Saverio Verini ‒ che quest’anno è tornato, in una seconda edizione più variabile e sfaccettata, ad animare le strade del borgo in provincia de L’Aquila, con il coinvolgimento attivo di 17 artisti contemporanei dal carattere diverso, elastici ed empatici nel rapportarsi con questo luogo/spazio affacciato sul mondo e bloccato nel tempo.
Ed è così che attraversandola, questa Pereto sospesa e bellissima, dolcemente contaminata, scoprendone le installazioni disseminate nel borgo come intervalli o lievi interferenze, il “tempo svogliato”, fornito come input per questo 2018, diventa più che prezioso, evocando, nell’unica lettura positiva possibile, il gattopardiano intento di lasciare che tutto rimanga come è per poter davvero cambiare.
È un format che delude di rado, ma varia a seconda delle personalità e delle prospettive, poiché gli artisti ‒ ognuno a proprio modo e con diverse corde formali ‒ provocano inevitabilmente uno sbilanciamento emotivo e fruttuoso ‒ un benevolo cortocircuito ‒ nell’immobile paesaggio secolare.

Elisabetta Benassi, performance, Straperetana 2018, photo Gino Di Paolo

Elisabetta Benassi, performance, Straperetana 2018, photo Gino Di Paolo

GLI ARTISTI

L’apripista, con il murale Oggi, appena varcata la vera porta del paese, è Flavio Favelli, l’artista che ‒ insieme a Elisabetta Benassi ‒ più incarna l’idea, in un’alternanza di amore/odio, di un contemporaneo imprescindibile dall’ideologia estetica e morale del boom italiano post bellico. Favelli apre con Oggi, flash visivo e “graffito vintage” di una rivista di poco meno che ieri e prosegue nella stanza al primo piano di Palazzo Iannucci, dove varie serie di opere, tra cui China Venice del 2013, cinque piatti inglesi tagliati, in un lucido gesto di ferocia, si inseriscono in modo mimetico nella sospesa dimensione temporale dell’abitazione. Allo stesso modo Elisabetta Benassi, al piano terra, colloca Arrêter le jour, del 2014, un obsoleto orologio con cinque fori di proiettile, altro ideale manifesto di una sospensione temporale, alla quale si aggancia, al centro della piazza superiore, con la presenza di una Fiat Giardinetta (circa 1962) riempita di patate germogliate.
Alfredo Pirri fa scivolare una grande corda-arazzo-bandiera (come fuga o riparo?) lungo il campanile della Chiesa di San Giovanni. Da vicino, l’intreccio appare nella voluta contraddizione del materiale usato: cordoncini misti di cotone e nylon. Sulla strada in salita appare Horizon, un neon che riproduce una sagoma a tre punte, di Lorenzo Kamerlengo, preciso richiamo al contatto tra la montagna e l’idea del materiale contemporaneo.
Il vetusto e magnifico Palazzo Iannucci ospita anche le opere di Matteo Fato, Lupo Borgonovo, Francesco Arena, Corinna Gosmaro, Roberto Fassone, Sissi, Valerio Nicolai e José Angelino.

Francesco Alberico. Inoperosi, 2018, exhibition view, Straperetana 2018, photo Claudia Colasanti

Francesco Alberico. Inoperosi, 2018, exhibition view, Straperetana 2018, photo Claudia Colasanti

RICONTESTUALIZZARE IL PAESAGGIO

All’interno del sontuoso Palazzo Maccafani, in cima al borgo, le opere di Thomas Braida, Nicola Samorì e Michela de Mattei.
In ripida salita le opere strategiche di Simone Camerlengo, un voluminoso ingranaggio di improbabili forniture domestiche, e di Francesco Alberico, con Inoperosi, definitivo punto di raccordo del concetto da cui prende avvio Straperetana: la ricontestualizzazione ‒ sospesa tra passato prossimo e attualità ‒ del paesaggio, attraverso l’uso dell’emblematico, luminoso, comignolo eolico. Una decina, di varie dimensioni, sono disposti sulla porta di una vecchia abitazione: ogni tanto girano, ogni tanto si fermano, ma non servono a nulla, se non per la loro scintillante bellezza.

Claudia Colasanti

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