Cuori vuoti e civiltà. Intervista a Gian Maria Tosatti

L’artista romano si accinge a inaugurare a Catania un progetto che raggiungerà diversi Paesi europei. Per riflettere sulle dinamiche dell’oggi e su una civiltà sempre più dormiente.

Il mio cuore è vuoto come uno specchio è un progetto che condurrà Gian Maria Tosatti (Roma, 1980; vive a New York) attraverso l’Europa per testimoniare lo stato attuale della nostra civiltà.
L’Europa è ampiamente percepita come una confederazione di Stati in pace e prosperità. La verità è molto diversa. L’intero continente è in fiamme per via di guerre (Cipro da quarant’anni, l’Ucraina, recentemente la Georgia), conflitti etnici (Turchia, Israele e Palestina) o distruzioni manu militari di intere città (la Jungle di Calais, Francia). Fascismi e totalitarismi stanno risorgendo mentre il popolo sembra stanco e sfiduciato della politica e, forse, anche della nostra stessa civiltà. Da sud, come descritto da Pasolini nella sua Profezia (1964), i popoli che hanno sofferto le nostre colonizzazioni e la nostra supremazia stanno tornando alla madre patria che gli abbiamo imposto secoli fa, come una inevitabile conseguenza delle nostre azioni passate, presentandoci un vecchio conto che non abbiamo mai saldato.
Un artista non è un ispiratore. È solo un testimone. Suo dovere non è giudicare o definire se un delicato passaggio storico che stiamo attraversando sia un trauma o una opportunità, se sia il funerale della nostra civiltà o la sua rinascita. Il compito di un artista è solo quello di realizzare ritratti crudeli che possano rivelare la verità dietro le maschere. Questo nuovo ciclo di lavori, idealmente ispirato all’ultima trilogia di romanzi di Louis Ferdinand Céline, sarà un pellegrinaggio attraverso l’Europa, compiuto da un artista che non è, comunque, alieno rispetto allo Zeitgeist cui cercherà di dar corpo. Ogni capitolo di questo nuovo “romanzo visivo” di Tosatti è definito dal titolo generale del progetto, scritto nella lingua del Paese in cui l’opera è ambientata, con la specificazione della città in cui essa prende forma. Il progetto ha il suo primo “episodio” a Catania, per Manifesta 12. Il capitolo successivo sarà realizzato a Riga, Lettonia, il 6 settembre.

Gian Maria Tosatti (al centro) con Ludovico Pratesi e Lucrezia Longobardi a Palazzo Biscari, Catania 2018

Gian Maria Tosatti (al centro) con Ludovico Pratesi e Lucrezia Longobardi a Palazzo Biscari, Catania 2018

L’INTERVISTA

Dal 479 a.C. a oggi, Catania è stata distrutta e ricostruita nove volte, a causa di guerre, calamità naturali, eruzioni vulcaniche e violenti terremoti.
L’arco della porta Giuseppe Garibaldi (costruita a pochi anni di distanza da Palazzo Biscari), reca l’iscrizione: Melior de cinere surgo, il motto della fenice. Gli albori di una nuova civiltà, che sorge a partire dalle rovine e si instaura sui sepolcri di quella precedente, è una tematica a te cara ed è questione centrale de Il mio cuore è vuoto come uno specchio – Episodio di Catania. Vuoi parlarne? 
Una città ricostruita nove volte sembra un mito biblico. Gore Vidal, in Roma di Fellini, attende nella città eterna la fine del mondo quasi fosse una sorta di paradosso, di contraddizione in termini, ma poi spiega che Roma ha già visto il mondo finire innumerevoli volte. Ecco. È proprio qui che siamo, tra la Storia e il mito, tra la cronaca e l’epica. È in questo punto esatto di tensione che si ritrova una sorta di filo rosso che attraversa la vicenda degli uomini sulla terra, un’avventura di grandi edificazioni e crolli, come la Torre di Babele, come la fine del grande impero romano, appunto, come ancora la nostra civiltà che volge al termine. Queste ascese e rovine sono il destino scritto di esseri imperfetti come gli uomini che hanno il sentimento dell’eternità senza averne la stoffa.

E tu come la pensi?
Io preferisco pensarla diversamente e cambiare prospettiva. Pensare che siamo come i fiori che, dopo aver dispiegato la propria bellezza, appassiscono, per poi tornare, la stagione successiva. Non sono gli stessi, sono altri fiori. Ma che differenza fa? La loro bellezza è l’unica cosa che conta. Così siamo noi, uomini moderni. Abbiamo attraversato una storia. L’abbiamo fatta splendere in un dato momento. Ora quel tempo è passato. È arrivato il tramonto. Come i vecchi, cominciamo a trovarci a nostro agio nei funerali più che alle sagre di primavera. La nostra acropoli è divenuta una necropoli. Pensa al mare che circonda quest’isola. Lo abbiamo reso un cimitero. Tutto somiglia alla nostra vecchiaia, al pallore della morte che ci cresce dentro. E se abbiamo ormai truccato lo specchio, per debolezza, c’è sempre l’arte che può dirci la verità con un ritratto crudele, come nella storia di Dorian Gray. E così è quest’opera. Un momento di solitudine per guardarsi davvero in faccia.

L’installazione ambientale che presenti si configura come uno scenario onirico, spettrale, crudele, che stride – forse solo apparentemente – con le atmosfere evocate da un salone delle feste barocco. Lavori spesso all’interno di spazi abbandonati, svuotati della loro funzione originale ma carichi di memoria storica. In un certo senso, questo vale anche per Palazzo Biscari?
Tempo fa, scrivevo che l’Italia non esiste, perché un Paese che non ha un piano né un’idea di sé non ha più dignità di Stato e resta come un residuo storico, insomma, una sorta di carcassa che secca al sole della Storia. I suoi abitanti sono… beh, chi è che abita le carcasse? I parassiti. Ci sono poi carcasse di balene o di cani. Le prime hanno, comunque, un’aura sacrale, le seconde… suscitano pena. L’Italia è la carcassa di una grande balena bianca. Se basta per esser fieri va bene. Palazzo Biscari costituisce una sintesi della nostra eccezionale cultura, ma anch’esso è alla deriva del tempo, spogliato delle sue funzioni, delle sue stesse ragioni d’essere. Il fatto che sia ancora una grande dimora storica, conservata e mantenuta, mi aiuta a rendere ancora più evidente il paradosso di questa vanitas.

Spiegati meglio.
Dietro il suo trucco, questo palazzo invecchia, diventa sempre più cupo, copre le sue macchie col belletto come le signore anziane che cercano con dolcezza di mentirsi e di mentire. È questo il nostro ospite, questo enorme ventre di balena. Nel momento in cui riconosciamo la crudele verità del suo decadimento, della sua decomposizione, allora iniziamo a domandarci chi siamo noi, per stare lì dentro, lì ora. Ecco, eravamo edificatori, ora siamo parassiti, custodi del decadimento. Siamo come le guardie notturne dei palazzi, in una notte che non finisce mai. Sempre al piano terra. Passeggiamo nel silenzio o ci addormentiamo davanti alla televisione. Siamo divenuti una civiltà degli androni.

Hai perentoriamente richiesto che lo spazio espositivo venisse attraversato una persona per volta. Nonostante l’esperienza individuale dei tuoi lavori sia una costante nella tua opera, che valenza ha in questo caso?
Questo lavoro chiede al visitatore un atto di sincerità talmente intimo che la solitudine è l’unica condizione possibile perché esso abbia qualche possibilità di consumarsi.

Hai dichiarato che Il mio cuore è vuoto come uno specchio (titolo che hai tratto da ll Settimo Sigillo di Ingmar Bergman) è un progetto che ti porterà in pellegrinaggio attraverso l’Europa. Hai già idea di come intendi costruire questo viaggio, questa esperienza?
Il progetto che ho davanti sarà un grande affresco. Molti ritratti, molti episodi, che convergono in un solo racconto sul volto vero dell’Europa, in una unica iconostasi del presente, attraverso la quale si dia corpo a un rito collettivo, possibilmente un esorcismo.

– Adele Ghirri, Ludovico Pratesi e Pietro Scammacca

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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