Dancing with myself. Identità multiple a Venezia

Punta della Dogana torna ad accogliere le opere della Pinault Collection, in dialogo con una serie di lavori custoditi presso il Museum Folkwang di Essen, ospite di una prima versione della rassegna nel 2016. Un’indagine attorno al tema dell’identità, declinata dagli artisti in termini tutt’altro che soggettivi.

Non deve trarre in inganno il titolo della nuova esposizione con cui Punta della Dogana riapre i battenti, dopo aver fatto da cornice alle imprese di Damien Hirst. Dancing with myself riunisce una trentina di artisti lungo una linea del tempo che dagli Anni Settanta raggiunge l’epoca attuale, affrontando un nodo tematico radicato nelle trame della creatività, quello identitario.
Come ben sottolineato dal curatore Martin Bethenod, la logica del “myself” in quanto simbolo narcisista è assente dalla mostra, che offre una galleria di opere dove la fisicità non è un pretesto per parlare di sé, ma un mezzo per guardare all’esterno, scandagliando i territori della politica, del gender, della vanitas esistenziale. Cadenzate dagli ambienti “nudi” di Punta della Dogana, le opere esposte traggono forza dal vuoto che le circonda per affermare l’immanenza del corpo come motore di gesti e rifrazioni proiettati verso l’altro-da-sé.

Alighiero Boetti, Autoritratto, 1993-94. Photo Irene Fanizza

Alighiero Boetti, Autoritratto, 1993-94. Photo Irene Fanizza

MATERIA E GESTO

Ne è un esempio l’installazione di Urs Fischer, la celebre statua di cera con sembianze umane che consuma se stessa per effetto di un nugolo di candele disposte sulla sua epidermide. Fiammelle implacabili, capaci di insidiare la consistenza del corpo e di trasformarla in una colata liquida e poi nuovamente solida. Il richiamo alla mutevolezza della materia innerva anche l’Autoritratto di Alighiero Boetti, l’effigie in scala 1:1 che sostiene un getto d’acqua destinato a evaporare al contatto con la superficie bronzea. Dall’identità “in carne e ossa” a quella ontologica il passo è breve e trova un solido terreno su cui incedere nelle serie di Cindy Sherman ‒ che fa diventare il proprio corpo un caleidoscopio di fisicità altre ‒, Urs Lüthi ‒ scatti che giocano, come uno specchio, con lo sguardo di chi li osserva ‒ e nei dettagli anatomici descritti da Kurt Kranz, svincolati dal soggetto al punto da divenire universali ‒ come accade ai loop verbo-gestuali di Bruce Nauman.

Gilbert & George, Cry, 1984. Photo Irene Fanizza

Gilbert & George, Cry, 1984. Photo Irene Fanizza

POLITICA E CORPO

Anche la politica affonda le proprie radici in un humus fortemente identitario, laddove la presa di posizione, la consapevolezza critica fanno assumere al movimento un valore ben definito, sia che si tratti di appiccare fuoco al proprio io ‒ nel caso di Adel Abdessemed ‒ sia che domini il linguaggio della protesta suggerito da LaToya Ruby Frazier. Il corpo, anche espressione di sessualità e di immanenza nel qui e ora, assume contorni macro nel lavoro di Gilbert & George, che risuonano nei dipinti “fotografici” di Rudolf Stingel e che tornano a farsi dettaglio nel video conclusivo di Steve McQueen. Un saliscendi tra i gradini dell’io, pioli di una scala che poggia su un sentire collettivo.

Arianna Testino

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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