Katharina Grosse e Tatiana Trouvé. Due artiste a Roma

Quarto e ultimo atto del ciclo “Une”, dedicato al confronto generazionale tra artiste, negli spazi dell’Accademia di Francia a Roma. Un dialogo tra le “numerose irregolarità” di Katharina Grosse e Tatiana Trouvé, curato da Chiara Parisi.

L’ultima mostra del ciclo Une, ideato dalla direttrice Muriel Mayette-Holtz e curato da Chiara Parisi negli spazi dell’Accademia di Francia a Roma, è forse quella che più incisivamente ne racchiude il senso, raccordandosi con elegante simmetria alla personale che aveva fatto da incipit alla serie, dedicata ad Annette Messager.
Se nei mesi scorsi il confronto era innestato su una differenza generazionale ‒ come nel caso di Yoko Ono e la giovane pittrice Claire Tabouret ‒ o clamorosamente epocale ‒ la bella giustapposizione tra Camille Claudel ed Elizabeth Peyton ‒ o decisamente tecnica ‒ installazione e scultura accostate alle pittura contemporanea ‒, la doppia personale di Katharina Grosse (Friburgo, 1961; vive a Berlino)e Tatiana Trouvé  (Cosenza, 1968; vive a Parigi) rappresenta un caso differente: si tratta di due artiste quasi coetanee e che prediligono ‒ rielaborandolo con esiti divergenti, ma complementari ‒l’intervento oggettuale.

Tatiana Trouvé, Les indéfinis, 2017. Photo Alessandro Vasari. Villa Medici, Roma 2018

Tatiana Trouvé, Les indéfinis, 2017. Photo Alessandro Vasari. Villa Medici, Roma 2018

RADICALI E IRREGOLARI

Le irregolarità che danno il titolo alla mostra sono, secondo Chiara Parisi, ascrivibili a quella capacità di rovesciamento della realtà che accomuna l’artista italiana a quella tedesca: “Emerge una radicalità condivisa”, scrive la curatrice, “così nascono opere che, sebbene partano da elementi concreti, ci fanno perdere la familiarità che abbiamo con determinati oggetti”. Questa trasfigurazione avviene, poeticamente, attraverso il colore nel caso di Katharina Grosse, che tratta qualunque superficie come un supporto per liberare una pittura corposa e squillante, e in chiave sottilmente straniante negli assemblaggi di Tatiana Trouvé: annotazioni sculturali, le definisce l’artista, quasi esili stratificazioni che descrivono migrazioni e mappe (è il caso delle opere Somewhere in the Solar System o The Great Atlas of Disorientation) o si ergono come tracce di un percorso.

Katharina Grosse, Ingres Wood, 2018. Photo Alessandro Vasari. Villa Medici, Roma 2018

Katharina Grosse, Ingres Wood, 2018. Photo Alessandro Vasari. Villa Medici, Roma 2018

L’ALBERO DI INGRES

Se gli interventi di Grosse abbracciano gli spazi di Villa Medici in modo spettacolare, quelli proposti da Trouvé paiono intersecare le sale storiche in maniera più minimale e misteriosa, modulando un interessante contrasto. Nella cordonata medicea, l’artista tedesca ha allestito un riuscito intervento ambientale: i tronchi recisi del pino che era stato piantato da Ingres ai tempi del suo soggiorno come direttore dell’Accademia occupano lo spazio come un’enorme scultura, il pavimento, coperto da un panneggio, ne bilancia i volumi, i colori accesi evocano le tinte brillanti e piene della pittura manierista. Poco più avanti, nelle ultime sale, il dedalo di schermi di vetro e di duchampiane aste metalliche di Trouvé ‒ elementi indefiniti, opere “soglia” nella stessa definizione dell’artista ‒ appare opposto e complementare.

Maria Cristina Bastante

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