Arte contemporanea al Quirinale. Le riflessioni di Ludovico Pratesi

Il critico d’arte compone un’analisi della mostra appena conclusa al Palazzo del Quirinale. Mettendone in risalto luci e ombre.

Bisogna riconoscere al ministro Dario Franceschini di aver cambiato la politica del MiBACT nei confronti dell’arte contemporanea, con alcune operazioni decisamente riuscite: l’istituzione dell’Italian Council, il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia con tre validi artisti e una valida curatrice come Cecilia Alemani e, infine, last but not least, la mostra Da Io a Noi. La città senza confini al Palazzo del Quirinale, promossa dal Direttore Generale della Direzione Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane Federica Galloni e curata da Anna Mattirolo, che si è appena conclusa. L’ultimo atto di una politica più che lodevole (che è riuscita a espugnare perfino una roccaforte come il palazzo presidenziale) come si può evincere da questa interessante e puntuale rassegna, con le opere di ventidue artisti italiani e internazionali,  che “intende restituire un panorama artistico di grande qualità che racconti le varie interpretazioni delle periferie […] invitando a una visione comune che trasferisce l’attenzione dall’ “io” al “noi””, dichiara il direttore generale Federica Galloni. E la curatrice Anna Mattirolo aggiunge: “La mostra propone opere che sono capaci di sollecitare compartecipazione e affetto, in grado di far sperimentare a chi guarda un altro aspetto del mondo reale, di scuotere il suo immaginario, chiedendo reciprocità e complicità”.

Maurizio Cattelan, Turisti, 1997, piccioni imbalsamati. Palazzo del Quirinale, Roma 2017

Maurizio Cattelan, Turisti, 1997, piccioni imbalsamati. Palazzo del Quirinale, Roma 2017

PRO E CONTRO

Eppure, nonostante i grandi sforzi fatti e le mille difficoltà dovute alla necessità di inserire il contemporaneo in un contesto come il Palazzo del Quirinale, dove non è possibile spostare nulla dell’apparato decorativo sfarzoso e incombente, la mostra ha presentato qualche piccola défaillance che si sarebbe potuta superare solo se la presidenza avesse accolto un progetto in maggiore accordo con il genius loci. Nulla da dire sull’apparato curatoriale né sulla lista di artisti, che rispetta la migliore scena nazionale delle ultime generazioni (forse si sarebbero potuti inserire Rossella Biscotti e Nico Vascellari). Accurata e puntuale la scelta delle opere, tutte di qualità, anche se i punti di forza della mostra sono affidati in gran parte alle opere tridimensionali, che interagiscono in maniera più libera con le sale senza doversi appoggiare a pannellature. A partire dalla poetica lapide di Alberto Garutti, efficace e puntuale incipit della rassegna, seguita dalla disturbante Pallas Athena di Jimmie Durham e dalle lastre di cemento di Alessandro Piangiamore, dove la brutalità del materiale si sposa con la delicatezza dei fiori che compongono gli ikebana. La Sala del Balcone ospitava uno degli interventi più calzanti: Panorama (Roma) di Luca Vitone, riunisce tre cannocchiali puntati sulla piazza che mostrano scorci di una Capitale desolata e periferica invece di dettagli della piazza del Quirinale. Uno spiazzamento perfetto sia fisico che concettuale, se si considera la memoria storica dei balconi in una capitale che ha visto susseguirsi papi, sovrani e dittatori fare proclami pubblici da una postazione che sottolinea il potere del capo di Stato rispetto al popolo. Più dissacranti e provocatori, ma ugualmente efficaci, i lavori di Claire Fontaine e Sislej Xhafa, Untitled (Band) e Whisper Harmony, collocati nella Sala Gialla affrescata da Pietro da Cortona, che giocano (in maniera forse un filo troppo provocatoria) sull’inserimento della vita quotidiana in una residenza presidenziale.

Eugenio Tibaldi, Seconda chance, 2017. Courtesy Galleria Umberto Di Marino, Napoli. Palazzo del Quirinale, Roma 2017

Eugenio Tibaldi, Seconda chance, 2017. Courtesy Galleria Umberto Di Marino, Napoli. Palazzo del Quirinale, Roma 2017

EQUILIBRI E NUOVI SPUNTI

Nella successiva sala di Augusto si staglia Seconda Chance, l’installazione di Eugenio Tibaldi, una sorta di ponteggio che riassume un’indagine compiuta dall’artista nelle periferie di quattro città italiane, dove sono inseriti oggetti trovati in questi luoghi, che l’artista definisce come “carichi di un passato e alla ricerca di nuove possibilità”. Le ultime tre sale appaiono particolarmente riuscite, grazie a un rapporto equilibrato tra spazio e opere. Nella sala degli Ambasciatori, dedicata al concetto dell’accoglienza, il dialogo tra Undercurrent (red), l’installazione di Mona Hatoum al centro della sala, e i due video di Adrian Paci, Rasha, e dei fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio, Stanze, è perfetto, così come nella sala d’Ercole la malinconia della festa appena trascorsa ha un sapore felliniano grazie al felice binomio tra Grande Galleria, la struttura di luminarie di Flavio Favelli, e The Man Who Fell to Earth, i cubi di coriandoli di Lara Favaretto. La mostra si concludeva nella sala degli Scrigni, che ospitava sul pavimento Sea Sick Passenger, l’opera di Rosa Barba che racconta l’esperienza di un viaggiatore sbarcato su un’isola dopo aver sofferto di mal di mare, presentata in perfetta assonanza con il luogo che la ospita. Se in futuro il Quirinale accoglierà ancora l’arte contemporanea, sarebbe opportuno presentarla in modo da rispettare questo equilibrio, senza dover più ricorrere ad allestimenti necessariamente invasivi (per quanto minimali come in questa occasione), in un confronto ad armi pari tra passato e presente, in linea con l’innovativa politica del ministro Franceschini, che ci auguriamo di non dover rimpiangere.

Ludovico Pratesi

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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