La seconda notte di quiete. Un progetto per Veronetta
Torna per il secondo anno consecutivo il progetto legato a MyHomeGallery nell’ambito dell’appuntamento fieristico con ArtVerona. Stavolta gli artisti agiranno nel quartiere di Veronetta, spingendo i propri interventi oltre il rassicurante perimetro della “comfort zone”.
Dopo la prima edizione del progetto nel 2016 nell’ambito della sezione i7 spazi indipendenti, quest’anno La seconda notte di quiete (evento off di ArtVerona, con la partecipazione di MyHomeGallery) si espande ancora di più nel quartiere di Veronetta, con il coinvolgimento della Provianda di Santa Marta, sede del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Verona, la collaborazione con il Path Festival a cura dell’associazione Morse e l’inclusione di nuove sedi in via XX Settembre.
In questo quartiere caratterizzato da una vita pulsante ‒ qui c’è l’università, così come il più alto tasso di immigrazione straniera; ed esso corrisponde non a caso all’originale centro cittadino ‒, in questo luogo che è somma di luoghi identitari e che costituisce una dimensione urbana differente e alternativa rispetto al centro storico-monumentale, per tre sere, dal 13 al 15 ottobre, si assisterà alla costruzione di una “mostra-non mostra”, di un sistema espositivo non tradizionale in cui le opere possano vivere e crescere all’interno di un ecosistema precario, effimero, transitorio.
Gli artisti scelti – che lavorano già autonomamente nella direzione di opere che per costituzione non sono propriamente tali, e che provano a sfuggire al proprio statuto (tradizionale?) – integreranno il più possibile i loro interventi nei luoghi dedicati, extra-artistici (bar, ristoranti, esercizi commerciali: spazi cioè che pertengono alla vita quotidiana) e nella loro atmosfera. Gli spettatori si troveranno dunque non a contemplare una situazione espositiva, protetta e prevedibile, ma piuttosto a immergersi in una condizione, mobile e mutevole, aperta: a fare esperienza di un’alterazione sensibile dei contesti e del loro tessuto umano.
La seconda notte di quiete ha un duplice obiettivo: far emergere, con l’aiuto dell’arte, qualità e vocazioni di uno dei quartieri più interessanti, ma meno conosciuti, di Verona; e dare luogo al non ordinato, al non conosciuto, fuoriuscire dal controllo a cui siamo tanto affezionati, fuoriuscire dal controllo che desideriamo e di cui abbiamo bisogno. Il controllo che dà forma a ogni aspetto della nostra vita.
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Giuseppe Abate lavora sulle scorie e gli scarti dell’immaginario popolare, su loghi familiari ed esotici del consumismo, ricamandoli in modo prezioso: l’appropriazione coincide con la risignificazione, il conferimento di nuovo senso.
Paola Angelini stratifica e sovrappone livelli, dimensioni non solo di pittura, ma di idee come di figure, nel segno del rifiuto di un universo narrativo fatto di richiami sterili e di confini rigidi, di codici ammuffiti e di linguaggi morti. Coltiva l’immersione dello spettatore e del suo cervello in un mondo artistico ricco, denso, variegato, in cui collegamenti saltano e si fanno immediati, gli oggetti e gli stili diventano concrezioni da sfiorare, da brandire.
Il collettivo ATRII con John Cascone presenta il progetto Ma perché essere qui e molo e sembra che tutte le cose qui abbian bisogno di noi. L’attenzione ai processi e alla comunità di riferimento è alla base di questo intervento in un androne, con atteggiamento al tempo stesso utopico e ironico.
Fabrizio Bellomo porta avanti la sua ricerca in modo ibrido e interdisciplinare, ed è interessato a come il passato influenza e modella il contemporaneo, e viceversa. Nelle sue opere – molte delle quali sono progetti pubblici, che si sviluppano nello spazio urbano – indaga il rapporto fra l’uomo e la tecnica, fra l’individuo e la tecnologia, e i cambiamenti antropologici dettati dalla meccanica come dai nuovi media.
Paolo Brambilla lavora su oggetti che sembrano negare il proprio statuto tradizionale di opera, attraverso una ‘presenza’ ambivalente nell’ambiente e nel contesto e l’impiego frequente di materiali eterodossi: chiffon, polistirene, pasta polimerica, licra, gommapiuma, velluto.
Laura Cionci, attraverso la sua performance, parla di un’idea di futuro: prossimo e lontano, personale e globale. Azioni e tracce si inseriscono sempre all’interno della ricerca di un dialogo attivo con il pubblico, che usa il caso e il caos in modo controllato. Una riflessione sulla potenzialità.
Corinna Ferrarese tende in questi anni a un’opera sempre più corale, che superi i confini della pittura ma che al tempo stesso li inglobi; un’opera che “fuoriesca da se stessa”. Con la sua ricerca ‒ che comprende anche sculture, installazioni, azioni – cerca di costruire esperienze in grado di avvolgere e di coinvolgere sempre più attivamente lo spettatore.
Nero, attraverso la ceramica, si riappropria artigianalmente e genialmente di processi tradizionali cristallizzati. La sua ricerca rappresenta un aggiornamento prezioso della metafisica italiana che rimette al centro dell’attenzione il costruire cose ‒ dunque anche opere ‒ minute, ingegnose, resistenti, belle e ben fatte, severe e serie nella loro ironia.
Marta Roberti vive da tre anni a Taipei. Nella sua ricerca, solitaria difficile ed entusiasmante, sta cercando ostinatamente di dar forma e corpo a una sorta di “supernatura” (Super_Natural si intitola infatti uno dei suoi ultimi progetti): una natura resa talmente artificiale e artistica da costituire un intero paesaggio culturale, umano, in cui immergersi. Le sue opere sfidano e stressano sempre di più i confini tra pittura, scrittura, filosofia.
Dai vicoli della sua Napoli con la strepitosa “Vascio Art” al più recente progetto realizzato per la Kunsthalle di Osnabrück, Roxy in the Box sta portando avanti da anni un’idea di arte completamente aperta alla realtà e al suo divenire, allo spazio della vita e dell’incontro. Un’arte dunque spontaneamente tesa a fuoriuscire dai recinti convenzionali, per incontrare la gente e fondersi empaticamente con il mondo: un’arte consapevolmente e felicemente pop, che esiste nella relazione umana e che ci invita costantemente a uscire dalle nostre rispettive comfort zone.
I raffinati collage di Lucia Veronesi (in bilico sempre tra pittura, disegno, fotografia), con l’uso costante di tecniche diverse, stratificate, accumulate, testimoniano il suo profondo interesse per la dimensione del “fuori” e la sua attrazione per quei territori al confine tra arte e realtà, tra spontaneità e artificio.
Jonathan Vivacqua infine lavora su livelli sovrapposti di finzione: i materiali da costruzione più umili, gli elementi di scarto e di risulta, diventano nella sua ricerca gli strumenti con cui dedicarsi alla realizzazione di mondi credibili, paesaggi mentali perfettamente funzionanti.
Così nella città-Veronetta dentro la città-Verona, nella città che vive e scorre parallela accanto alla città, dal 13 al 15 ottobre “accadrà” La seconda notte di quiete.
‒ Christian Caliandro
Parte di questo testo è pubblicata nel catalogo di ArtVerona 2017.
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