Metabolizzata l’eredità dell’Arte Povera degli esordi e archiviate le più recenti sperimentazioni di wall painting, Giuseppe Gabellone (Brindisi, 1973) realizza una breve esperienza di installazioni site specific, scarna e asettica, dove la collocazione delle opere impone un abbassamento dello sguardo, fino al radicale sovvertimento delle prospettive ordinarie, nell’ambito di una riflessione sul tempo e sul deterioramento della materia.
Dalla scultura in stagno a forma di mandibola della prima sala, stridente sul pavimento in travertino, passando per le forme di carta stratificate e adagiate su incerti bambù (Untitled Black, Untitled Orange, 2017), il memento mori trova il suo apice nella coppia di cipressi sospesa e distesa, inerme, quasi prigioniera di un reticolo di spago, incapace di trattenerne i detriti (Untitled, 2017), i quali diventano, a loro volta, appendice consapevole dell’opera.
Un percorso, dunque, forse eccessivamente sintetico e mentale, che non manca, tuttavia, di suscitare suggestioni e rinvii; non ultimo, quello sull’antitesi artificiale/naturale, enfatizzata dall’incontro tra la luce esterna del patio e la luminosità fredda e asettica degli interni.
– Fabio Massimo Pellicano