La pittura di Ludovic Nkoth, tra corpo e attualità. La mostra a Milano
Nello spazio milanese della galleria MASSIMODECARLO, i dipinti del camerunense Ludovic Nkoth attraversano vicende razziali e rileggono il corpo attraverso lo sport, la storia e l’attualità
Con questo nuovo ciclo di opere, che dialogano con gli spazi unici di Casa Corbellini-Wasserman, Ludovic Nkoth (Camerun, 1994; vive e lavora a New York) prosegue la sua esplorazione della figura umana, spingendosi ai limiti della percezione del corpo, della fisicità e della profondità psicologica, grazie a frequenti riferimenti allo sport. I nuovi lavori, che danno forma alla prima mostra personale dell’artista nella sede milanese di MASSIMODECARLO, conducono il visitatore in uno spazio intimo, ma al tempo stesso universale, dove i corpi, spesso colti in un momento di transizione, sembrano attraversati da forze che sfuggono al loro controllo.
Le opere di Ludovic Nkoth a Milano
Al centro dei dipinti non c’è solo il corpo umano, ma un presente in continuo mutamento, che ci porta ad interrogarci su cosa significhi essere testimone di un’epoca segnata da narrazioni sovente contrastanti. L’approccio di Nkoth al corpo non si fonda unicamente sull’anatomia e sulla gestualità, bensì sulla sua presenza all’interno di un contesto strettamente legato alla storia e all’attualità, segnato da mutamenti globali, traumi collettivi e bilanci personali. Riflette su “cosa significa oggi essere un artista”, traducendo un momento storico tremendamente complesso in un suo linguaggio visivo. Attraverso la sua pittura, Nkoth riesce a trasmettere questa urgenza sulla tela, ritraendo soggetti che incarnano il peso emotivo, psicologico e culturale del presente.
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Ludovic Nkoth tra percezione del corpo e riflessione
Il “qui ed ora” del lavoro di Nkoth emerge nei gesti ricchi di impatto e significato delle sue figure e nell’atto della creazione dell’opera. L’artista è allo stesso tempo spettatore e protagonista dei suoi lavori, mostrando un mondo segnato da disordini politici, sconvolgimenti sociali e ricerche interiori. Spesso parte dal suo corpo – in posa, filmato o documentato – per tradurlo in pittura. “Se ti concentri troppo sul tuo successo finisci per sbattere contro un muro”, racconta l’artista, “e io non voglio che questo accada. Continuando a imparare riesco a fare cose diverse ogni volta, perché non mi legherò mai a uno specifico modo di fare o ad un’idea. Lo faccio perché soddisfa il bambino che è in me, che è sempre stato curioso”.
L’opera come specchio tra artista e spettatore
“Esisto in entrambi gli spazi”, spiega ancora, “lo spettatore e il performer”. E questo doppio ruolo si ritrova nella sua biografia: un adolescente arrivato dal Camerun in South Carolina, che si è trovato ad essere percepito come afroamericano e costretto a interpretare una storia che non gli apparteneva dalla nascita, ma che ha dovuto apprendere e incarnare. Le sue opere danno forma all’esperienza Black, con un’intensità emotiva che dialoga profondamente con le sue vicende e con la complessità della sua eredità culturale. Ogni ritratto, con il suo impasto denso e materico, mostra un universo di colori con tonalità vibranti: blu, marrone, rosso, giallo e arancione, con linee sinuose, quasi liquide. Personaggi dalle dettagliate caratteristiche fisiche si accompagnano a figure abbozzate. Nkoth trasforma ogni volto in una mappa stratificata. Ogni pennellata svela bellezza e fatica, lasciando emergere ciò che spesso si cela sotto la superficie. Mapping the sea e Tides sembrano richiamare il mosaico del pavimento, portando il visitatore in mezzo all’azione, in un mondo dove il confine tra cielo e mare sfuma e una barca dai toni caldi cattura l’attenzione. Per Nkoth, la tela è uno spazio di commento sociale e di indagine, dove prendono corpo le sfide ancora presenti nell’esperienza Black contemporanea. Colpiscono immediatamente, anche per il loro impatto emotivo le opere Freedom and Justice e Physical Proof, entrambe del 2025. Quest’ultima ritrae due file di ballerini di danza contemporanea, ma porta con sé un forte richiamo alla schiavitù.
Lo sport come metafora della costruzione del sé
Nelle sue figure, sorprese in un attimo che ne cristallizza i movimenti, riecheggia una forte tensione, come nell’opera Entwined Mirror, 2025. Sono familiari – con chiari riferimenti alla Storia dell’Arte, come le Ballerine di Degas in Ovation of a Mirror, 2025, o Monet – ed estranee allo stesso tempo. Di fronte a queste figure, catturate durante rituali sportivi quali pugilato, scherma – Quiet Combat, 2025 che ritrae Elliot Barnes che tirava di scherma a Los Angeles alla fine degli Anni Sessanta – e danza (sia classica che contemporanea) comprendiamo come questi gesti siano fortemente radicati in un particolare contesto culturale e storico. Le azioni diventano dialoghi sulla sopravvivenza, sulla resistenza e sulla costruzione del sé, in un mondo in cui il cambiamento è continuo e il passato riaffiora. Lo sport, che ricorre spesso nelle sue opere, si trasforma in una metafora potente, i cui soggetti, come atleti o interpreti su un palcoscenico, compiono gesti rituali che intrecciano disciplina e identità con il brusio incessante della storia. Nello sforzo, però, emerge anche un aspetto tutt’ora raramente associato alla figura maschile: la fragilità. Nkoth coglie il corpo non solo nel vigore e nello slancio, ma anche nel riposo, come in Kuti e Moving Mountains.
Giulia Bianco
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