Al Pecci di Prato c’è una grande mostra d’arte che racconta l’AIDS in Italia
Una pluralità impressionante di codici e di linguaggi e una freschezza che resiste all’usura del tempo, sono in mostra, insieme alle testimonianze dell’epoca, a Prato, documentando un’epoca traumatica e al tempo stesso innovativa…

Al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ha appena inaugurato VIVONO. Arte e affetti: HIV-AIDS in Italia, 1982-1996, mostra a cura di Michele Bertolino con un interessante allestimento di Giuseppe Ricupero. Il progetto espositivo, infatti, riunisce e fonde le ricerche artistiche con un’ampia ricostruzione della creatività e del tessuto e del contesto sociale, culturale e politico di quel periodo storico, così doloroso ma anche gioioso, stimolante e irripetibile. È dunque una mostra dall’alto valore civile e formativo, che andrebbe fatta visitare in particolare agli studenti e ai giovanissimi, e che riserva anche alcune sorprese.
La mostra “Vivono” al Centro Pecci
Dopo l’introduzione con Vivono (2025), film realizzato da Roberto Ortu in collaborazione con il curatore e che stabilisce in qualche modo il tono della narrazione, il percorso si snoda attraverso temi e sale monografiche: i temi individuati (virus, stigma, cura; tempo, merda, isolamento; comunità e festa; affetto e desiderio) sono gli snodi fondamentali di una narrazione articolata, che rende conto – attraverso opere visive e documenti, fonti, testi – di tutte le sfumature di un fenomeno che ha influenzato in profondità la psiche collettiva italiana e occidentale, modificando comportamenti, scelte e interpretazioni. Si comincia così a scoprire le opere del torinese Bruno Zanichelli (The box e The box – scatola rossa, 1988), una fotografia di Nan Goldin che ritrae l’artista Gotscho e il suo compagno abbracciati a Parigi nel 1992, e il rifacimento dell’opera che lo stesso Gotscho presentò nella sezione Aperto alla Biennale di Venezia del 1993, un salvagente trafitto da coltelli (WILD DIPLOMACY, 2025).
Le opere in mostra a Prato
Le sculture e i quadri di Lanfranco Baldi (Visioni della regina in viaggio, 1984, Guardiano delle ombre e Ombre della sera, 1989) sembrano provenire invece da uno strano, oscuro mondo fantasy, fuori dal tempo e dallo spazio, nutrito delle letture fantascientifiche dell’artista e dal suo lavoro nell’animazione per bambini. A seguire, insieme a due stupende fotografie di Nan Goldin scattate tra Positano e Sorrento, i disegni di Vittorio Scarpati e Porpora Marcasciano, animati dall’energia e dall’esperienza di quegli anni, tra lotte, amori, dipendenze e la malattia.
Dopo l’estratto da In Exitu (1988) di Giovanni Testori, si arriva alla prima delle sale monografiche, dedicata all’artista toscano Francesco Torrini, morto nel 1993 per complicazioni da AIDS: è l’autore forse più sorprendente tra quelli esposti, impegnato in vari media (pittura, disegno, collage, installazione), e in una sorta di meditazione trascendente tra autobiografia, neoespressionismo e riflessione sui linguaggi vernacolari. Gli ex-voto si fondono infatti con l’immagine onnipresente del corpo, sangue e lacrime composte da occhi ripetuti all’infinito come le macchie sulla pelle del Sarcoma di Kaposi, il Sacro Cuore, la religione, la precarietà dell’esistenza e dell’amore, il senso di perdita e la memoria incarnata. Il tutto attraversato da un’urgenza potentissima, che riecheggia ancora oggi.





La storia dell’AIDS nelle opere degli artisti
Proseguendo, troviamo gli interessanti dipinti di Roberto Caspani (morto nel 1985), postmoderni movimenti di forme e bagliori dai colori accesi, e il bellissimo Pontormo and Punks at Santa Croce (1982) di Derek Jarman, che si sofferma sui dettagli del capolavoro nella Chiesa di Santa Felicita, confrontati con i punk di Piazza Santa Croce: anche in questo caso, la rappresentazione e l’immaginazione del corpo sono il fulcro dell’opera. Si ritrovano quadri molto originali di Bruno Zanichelli (Fuxia e Fuxia the Vampire, 1989), nutriti delle sottoculture del periodo, in particolare fumetto e musica, Le altre sale monografiche sono dedicate alla poetessa Patrizia Vicinelli (La Nott’e ‘l giorno, 1973-1976; Messmer, 1986; Non sempre ricordano, 1987; Un’altra fine per Giordano Bruno, 1989), con l’incontro della sua parola tra specchi e finti armadi, e al palermitano Nino Gennaro, figura complessa di artista-attivista che mette al centro della sua ricerca – in modo molto attuale – la comunità con cui vive e il racconto di questa esistenza collettiva e solidale (Libretto Gioiattiva, Alla fine del pianeta e Tra le righe, fine Anni ’80 – inizio Anni ’90).
Gli artisti nella mostra “Vivono” al Centro Pecci
Altre opere importanti, che completano questo percorso intenso e coinvolgente, sono le fotografie di Lovett/Codagnone che ritraggono il sesso e la nudità con candore e ironia, tra momenti familiari, abiti BDSM e scultura minimal, i dipinti di Luciano Bartolini, di Corrado Levi (Fioretti randagi, 1982; Paolo Paolo, 1984), di Walter Robinson e di David Woinarowicz (esposti per la prima volta in Italia all’interno della mostra New York New, organizzata nel 1984 nello Studio Levi a Milano). E poi, le foto di Zoe Leonard e di Roberto Caspani, nuvole e schiuma delle onde, le Lettere (1988) di Luis Frangella, e sulla grande finestra Untitled (Loverboy, 1989) di Félix Gonzàlez-Torres…
La poesia di John Giorno nella mostra a Prato
Il merito di questa mostra – sicuramente non immediata, ma godibilissima, da vedere e rivedere – è in fondo quello di non essere semplicemente “una mostra”: le opere, tutte di grande valore creativo, con una pluralità veramente impressionante di codici e di linguaggi e una freschezza che resiste all’usura del tempo, sono anche testimonianze di un modo di vivere e di stare insieme, di una comunità che ha attraversato un processo traumatico e una serie innumerevoli di tragedie e lutti (ma che ha anche conosciuto, è bene ricordarlo, una gioia, un’esplorazione e una sperimentazione uniche, memorabili, e che ha voluto e saputo rivendicare fino in fondo queste esperienze), ma che in qualche modo ha resistito alle difficoltà, ai pregiudizi e alle discriminazioni. Che ha conservato gelosamente e orgogliosamente le memorie, le tracce, i semi, gli incontri, i desideri, i dubbi, le epifanie di quel tempo. E che li offre come frutti che provengono, letteralmente, da un’altra epoca – ma che assumono oggi, in tempi difficili e altrettanto dolorosi, le sembianze doni inestimabili e suggerimenti preziosi. Su tutti, la poesia di John Giorno tradotta e stampata in scala monumentale sull’ultima parete: “ORA LA VITA È DEVASTATA / E NOI OFFRIAMO AMORE DALLA STESSA RADICE DI / COMPASSIONE SENZA LIMITI.”
Christian Caliandro
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