In Piemonte la mostra che celebra i 30 anni della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e inneggia agli Anni Novanta
La mostra si intitola “La bella estate” come il romanzo di Cesare Pavese, nato nella stessa provincia di Cuneo che ospita Palazzo Re Rebaudengo: una casa per gli artisti di Patrizia Sandretto che hanno cominciato a fare arte negli Anni Novanta

“Questa mostra è un omaggio a Patrizia, che ha sostenuto tutti questi artisti per tutti questi anni”. Sono parole di Tom Eccles che, insieme a Liam Gillick e Mark Rappolt, torna a curare una mostra sulla collezione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, questa volta in occasione del suo trentennale. Il tema ispiratore, come nella precedente collettiva del 2021 Prima che il gallo canti, dedicata allora al 25esimo anniversario della Fondazione, è sempre Cesare Pavese: e non poteva essere altrimenti, dato che Pavese era nato a Santo Stefano Belbo, nella provincia di Cuneo, la stessa che ospita Palazzo Re Rebaudengo. Il riferimento, questa volta, è al romanzo La bella estate, sul tema della perdita di innocenza e sul primo amore, ambientato nella Torino degli Anni Trenta.

Gli Anni Novanta in mostra a Guarene
“A quei tempi era sempre festa”, è l’incipit del romanzo che, in occasione di questa mostra viene ristampato in edizione limitata di 500 copie, con un’opera dei curatori in copertina. E la dimensione della festa – quella degli eclettici Anni Novanta che nel mondo dell’arte contemporanea aveva il suo centro a Londra con il gruppo degli Young British Artists – è quella che ne scandisce l’allestimento. La mostra ha, infatti, il suo inizio con l’albero di Natale dell’artista algerino Philippe Parreno che si è, appunto, affermato sulla scena artistica internazionale nei primi Anni Novanta con installazioni, film, concerti, performance in cui ha messo in discussione il concetto di autore e di display espositivo: le sue opere sono riadattate di volta in volta per rispondere alle specificità del luogo. Un modus operandi comune agli artisti in mostra, per buona parte appartenenti a quel mitico movimento che aveva fatto dell’eccesso e della spettacolarità i propri tratti distintivi.







Palazzo Re Rebaudengo: da casa a spazio espositivo
“È l’epoca in cui l’arte inizia a diventare promiscua, variabile”, ribadisce Eccles, “acquista significato grazie al contesto, più che dall’oggetto in sé”. Il contesto, in questo caso, è quello molto connotato di una storica casa di famiglia di epoca seicentesca – Palazzo Re Rebaudengo – che, da dimora privata, nel 1995 diventa anche uno spazio espositivo, con interventi architettonici che ne ripensano i piani inferiori come una serie di gallerie contemporanee: questa mostra rispecchia proprio la trasformazione da collezione privata a fondazione aperta al pubblico, tramite una selezione di opere significative di artisti internazionali, tratte dalla collezione della Fondazione. E lo fa snodandosi lungo un corridoio di stanze, spesso di dimensioni domestiche, con pavimenti e soffitti decorati, e organizzate attorno a specifici accoppiamenti e giustapposizioni di dipinti, sculture, installazioni e opere video.
L’allestimento domestico
“Questa prima era una casa, un posto un po’ eccentrico, bello ma eccentrico”, continua Eccles, “e poi è diventata un posto per le mostre, però quando si entra sembra sempre una casa, e questa confusione è interessante”. Una dimensione domestica che si fa sentire e, a volte, diventa molto esplicita. Come nel caso dell’emblematica opera di Maurizio Cattelan, La Rivoluzione siamo noi, dove, nell’armadio accanto al manichino appeso con le fattezze di Cattelan compaiono anche abiti privati della stessa Patrizia Sandretto. Oppure, una sua piccola collezione di piccoli scrigni porta pillole vintage esposti in una vetrinetta d’epoca dialoga con la camera da letto di Dominique Gonzalez-Foerster che concepisce come una narrazione spaziale. Opere rivisitate che cambiano significato in base al contesto. In pieno spirito Anni Novanta.
Claudia Giraud
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