La Quadriennale di Roma si intitola Fantastica, ma lo è davvero?
Vuole condensare l’arte italiana nel primo quarto del XXI Secolo la Quadriennale di Roma 2025. Con 54 artisti e 187 opere, e una mostra forse troppo nostalgica. Attraversiamo la rassegna, sezione per sezione, accompagnati dalle parole del critico Ludovico Pratesi
Prima di commentare la diciottesima edizione della Quadriennale, è opportuno ricordare che La Quadriennale di Roma è l’istituzione nazionale per l’arte italiana, il cui compito è quello di condurre ricerca e di promuovere la nostra arte contemporanea più rilevante. Fondata nel 1927, è una fondazione partecipata da Ministero della Cultura, Roma Capitale, Regione Lazio, Camera di Commercio di Roma. Dopo un percorso istituzionale tortuoso e complesso, nel 2025 è arrivata alla Diciottesima edizione, ospitata al Palazzo delle Esposizioni fino al 18 gennaio 2026.
Per volontà dell’ex Presidente Luca Beatrice, mancato lo scorso gennaio e sostituito da Andrea Lombardinilo, la mostra si intitola Fantastica, per la “capacità dell’arte di dischiudere nuovi orizzonti a tutte le latitudini e in tutte le epoche. Fantastica nella sua valenza di verbo è un invito a riscoprire oggi la potenza del simbolico e la forza dell’immaginazione”. Beatrice aveva voluto una mostra che raccontasse l’arte in Italia dei primi venticinque anni del XXI Secolo, e aveva affidato tale compito a cinque curatori, di formazione e generazioni diverse ma tutti di comprovata professionalità, chiamati ad esprimersi attraverso un proprio progetto: Luca Massimo Barbero, Francesco Bonami, Emanuela Mazzonis di Pralafera, Francesco Stocchi e Alessandra Troncone.
Com’è la Quadriennale di Roma 2025
Il risultato? Una mostra di mostre e narrazioni diverse che si intrecciano, in maniera piuttosto tortuosa e senza una regia forte alle spalle, all’interno di dodici sale del primo piano del palazzo, adattato alle esigenze di una rassegna che riunisce 187 opere realizzate da 54 artisti e artiste viventi, grazie ad un allestimento chiaro ed efficace, firmato dallo studio BRH+/, di Barbara Brondi e Marco Rainò. Il progetto di Beatrice prosegue con I giovani e i maestri: la Quadriennale del 1935, un omaggio alla seconda edizione della manifestazione – la prima si svolse nel 1931 – curato da Walter Guadagnini, che ha selezionato 33 artisti tra i 700 che parteciparono nel 1935. Strana scelta per un’istituzione legata alla promozione del contemporaneo commemorare una rassegna di 90 anni fa, in pieno regime, un anno prima della guerra di Etiopia. Sul senso e l’opportunità di un’operazione del genere rimangono molti interrogativi, ma non è questa la sede per analizzare la rassegna.

È questa l’arte italiana del XXI Secolo?
Cinque percorsi, temi ed identità autonome, per comporre una visione d’insieme interessante ma frammentata e a tratti contraddittoria, lasciando nello spettatore la sensazione di un panorama incompiuto, dove la varietà delle proposte fa supporre, da parte dell’istituzione, l’assenza di una visione forte e consapevole, non efficace per promuovere l’arte contemporanea italiana delle ultime generazioni, sia per gli addetti ai lavori, ma soprattutto per il grande pubblico. In mancanza di una cornice comune, una possibile chiave di lettura corretta appare l’analisi delle singole mostre rispetto al dettato dell’istituzione: presentare l’arte in Italia dei primi venticinque anni del XXI Secolo.
La sezione “Il corpo incompiuto” a cura di Alessandra Troncone
Coraggiosa, puntuale, serrata, criticamente strutturata. Per Fantastica, Troncone ha elaborato una mostra dalla narrazione stretta e rigorosa, che riunisce esclusivamente artisti nati tra gli Anni Ottanta e Novanta, presenti con opere realizzate per l’occasione. Il tema è l’evoluzione del corpo contemporaneo, tra umano e non umano, in uno scenario futuribile sempre più dominato dalla contaminazione tra arte e scienza. Con Lifewave (2025), Emilio Vavarella trasforma il campione di DNA di un essere umano in un arazzo con un pattern ricavato dal codice genetico. Diego Cibelli propone Il gioco delle specie (2025), una mappa a parete composta da disegni astratti su carta mozzarella, uniti a sculture in porcellana bisquit, legate ai processi di trasformazione della materia. Sulla trasformazione dell’identità riflette Agnes Questionmark con l’installazione Exiled in Domestic Life (2025), un fossile del futuro collocato all’interno di un laboratorio scientifico. L’opera Simbionemom. The Agency of Chimeric Becoming (2025) di Camilla Alberti è una scultura composta da un’armatura metallica rivestita da una pasta ottenuta da scarti urbani, residui organici e oggetti dismessi, mentre in Industrial Equilibrium (2025) di Roberto Pugliese due bracci robotici inscenano una sorta di danza. L’opera The edge of collapse (2025) di Federica Di Pietrantonio si basa su interazioni tra voce umana e IA, mentre nel video di Valentina Furian Aaaaaaa (2025) uno speleologo si inoltra in grotte molto strette, dove risuonano le note di una canzone dei Blondie. Nei dipinti di Iva Lulashi sono presenti ricordi del totalitarismo albanese in immagini tristi e malinconiche, mentre le immagini della performance Know to be-3 (2025) di Antonio della Guardia mostrano i movimenti di due performer gemelle all’interno del Teatro Quaroni nel Borgo La Martella vicino a Matera.
1 / 3
2 / 3
3 / 3
La sezione “Memoria piena. Una stanza solo per sé” a cura di Francesco Bonami
Dall’alto della sua forte esperienza curatoriale, Bonami punta su 12 artisti invitati nati dopo gli Anni Settanta, appartenenti ad una generazione lontana dal mondo tecnologico, digitale, virtuale, ma con alcune aperture a temi attuali e futuribili. È il caso dell’installazione di Giulia Cenci Secondary forest (2024), che accoglie i visitatori della mostra con una flora metallica ibridata con elementi animali. Ed è la presenza di una fauna mostruosa il filo rosso cha attraversa la selezione di Bonami, dai primati dipinti a china su grandi tele da Luca Gioacchino Di Bernardo al serpente tenuto in mano dal protagonista dell’opera Lo straniero (Dioniso) (2025) di Jem Perucchini, allestito all’interno di un ambiente simile alla cella di un tempio, ai gatti che si intravedono tra le frange di tappeti e parrucche nel trittico dipinto da Beatrice Scaccia Chiome per aria, gatti sul tappeto (2025) fino alle languide tigri occupate a massaggiare ragazze nude nelle tele di Shafei Xia. La presenza più rilevante insieme a Giulia Cenci sono le grandi sculture di Lorenzo Vitturi della serie Caminantes, che uniscono tessuti, frange, frammenti di stoffe colorate ed elementi di vetro in accumulazioni sensuali e molto seducenti. Proposta altalenante ma allestimento ottimo.
1 / 4
2 / 4
3 / 4
4 / 4
La sezione “Senza titolo” a cura di Francesco Stocchi
I nove artisti di generazioni diverse invitati da Stocchi sono stati coinvolti in un progetto comune, un’opera d’arte totale ispirata alla struttura dell’Exposition Internationale du Surrealisme a Parigi nel 1925, che trasforma tre sale del palazzo in un percorso immersivo, teso a ripensare il rapporto tra arte, spazio e pubblico. Nonostante la presenza di opere rilevanti e significative – prima tra tutte Hunger (2008) di Arcangelo Sassolino – e l’alta qualità di tutti gli artisti, appare difficile per un pubblico di massa, non sempre avvertito e consapevole, interagire con situazioni e dinamiche che necessitano di un elevato livello di conoscenza del mondo dell’arte contemporanea, troppo spesso tacciato di autoreferenzialità. Un progetto immersivo interessante e lodevole, ma di difficile lettura, che unisce artisti di generazioni diverse, la cui complessità appare però forse più adatta ad un museo di arte contemporanea che non ad una Quadriennale.

La sezione “Il tempo delle immagini” di Emanuela Mazzonis di Pralafera
Un tema molto attuale, legato al ruolo delle immagini e all’evoluzione della fotografia in Italia dal 2000 al 2025, indagato attraverso le opere di undici artisti, con risultati discontinui. L’eterogeneità dei punti di vista degli artisti crea nello spettatore un senso di disomogeneità e confusione, nonostante diverse presenze interessanti, come Irene Fenara, presente con l’opera Supervision (2025) e Jacopo Benassi, autore di un’installazione complessa, che avrebbe meritato di essere presentata da sola, in uno spazio dedicato. Spiccano le immagini generate dall’IA e poi manipolate da Andrea Camiolo e le ricerche di Linda Fregni Nagler, che modifica fotografie trovate, accumulate e rifotografate, mentre la serie di iPad presentata da Massimo Grimaldi con piccoli video sugli ospedali in Africa avrebbero meritato una collocazione più visibile. Tra gli artisti già affermati spiccano Francesco Jodice con il video Rivoluzioni (2019), dedicato ad una lettura critica del secolo americano, e Giovanni Ozzola, con l’installazione La vita e la morte mi stanno consumando – Ora blu (2025), che ricostruisce la cella del convento di San Marco a Firenze, sostituendo alla volta dipinta in azzurro l’immagine del cielo ripresa da un telescopio nelle isole Canarie.
1 / 8
2 / 8
3 / 8
4 / 8
5 / 8
6 / 8
7 / 8
8 / 8
La sezione “La mia immagine è ciò da cui mi faccio rappresentare: l’autoritratto, il cibo, i gatti, la palestra, me stesso, i viaggi e ammennicoli vari” a cura di Luca Massimo Barbero
L’autoritratto come rappresentazione di sé: questa è la chiave scelta da Luca Massimo Barbero con 13 artisti di tre generazioni che disegnano un percorso nelle tre sale a loro dedicate. Logico e prevedibile che lo sguardo di Barbero, eccellente studioso di arte del XX Secolo, fosse rivolto verso l’arte figurativa, qui presentata in declinazioni che oscillano tra il disegno (Matteo Fato), la pittura (Roberto De Pinto, Siro Cugusi, Emilio Gola, Marta Spagnoli) e la fotografia (Roberta Orio). Significative le presenze di artisti affermati come Vedova Mazzei, Luisa Lambri e Gianni Caravaggio, rappresentati da opere rilevanti. Buona qualità, poca attualità: al curatore interessano gli artisti che vivono il presente con uno sguardo rivolto alla storia dell’arte, e questa mostra ne è una prova.
Ludovico Pratesi
Libri consigliati:
(Grazie all’affiliazione Amazon riconosce una piccola percentuale ad Artribune sui vostri acquisti)
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati