L’importanza dell’arte nei luoghi di lavoro

Non solo musei, gallerie e sedi convenzionali: l’arte finisce anche negli ambienti di lavoro. E qui vi spieghiamo perché è un bene

Non è un ossimoro l’arte nei luoghi di lavoro. Il report a cura di BBS-Lombard società benefit in collaborazione con Arte Generali, Quanto è (ri)conosciuta l’arte contemporanea all’estero?, nell’ultima presentazione veneziana (dopo Roma e Milano) ha incrociato naturaliter la ricerca di cheFare sulla mappatura dei luoghi di produzione contemporanea in Lombardia e l’esperienza di AWI, l’associazione Art Workers Italia, fornendo un quadro, probabilmente ancora incompleto ma estremamente interessante, dei luoghi deputati ad accogliere l’arte nelle sue multiformi espressioni.
Emerge un insieme – che a tutt’oggi non è un ecosistema (sic) –: tante tessere diffuse nei territori che disegnano mappe insolite, fiumi carsici e macchie di leopardo. Musei (anche d’impresa), spazi pubblici all’aperto e al chiuso, luoghi della cultura (archivi, pinacoteche, parchi ecc.), beni culturali in senso ampio e gallerie d’arte hanno un ruolo centrale e insostituibile nella rappresentazione. Sono sicuramente gli spazi “on”: istituzionali, deputati, ortodossi, nati “per”, con finalità proprie di esposizione, ostensione (c’è chi ancora usa questo termine), mostre, vendita, valorizzazione, produzione culturale. In tutti ci sono persone che lavorano, e non soltanto gli art worker propriamente intesi. La domanda è: sono anche gli unici (da leggersi i soli) luoghi in cui si produce cultura? Assolutamente no.

QUANDO L’ARTE INCONTRA GLI SPAZI DI LAVORO

Una miriade di centri indipendenti, gestiti prevalentemente da enti del terzo settore, arricchisce la lista degli spazi “off”, svelando come spesso per i giovani artisti siano stati un trampolino di lancio, nonché gli unici (da leggersi i soli, ma anche impareggiabili) disposti a scommettere, a rischiare sul nuovo, a mettersi in gioco. La lista di questi spazi (per fortuna) è aperta e – in una logica inclusiva e non convenzionale, finanche sinestetica per via delle mille ibridazioni – ancora lunga. D’altronde, costeggiare il crinale sfidante e generativo della produzione culturale significa attivare processi partecipativi inediti che investono non solo i nonluoghi (centri commerciali, ospedali, stazioni, aeroporti, hotel), termine qui utilizzato senza alcuna venatura polemica quanto per distinguerli dai luoghi sopracitati, ma anche gli spazi dove le persone lavorano: aziende, uffici, negozi e molto altro ancora.

“Costeggiare il crinale sfidante e generativo della produzione culturale significa attivare processi partecipativi inediti”.

La finalità di questa contaminazione è duplice: da un lato, l’attenzione al welfare di dipendenti e collaboratori (l’etica ha una forte componente estetica); dall’altro, un approccio di prossimità capace di generare collaborazioni, co-progettazioni e nuove occasioni di incontro tra le istituzioni culturali, i loro stakeholder e i giver, che sarebbe riduttivo ricondurre esclusivamente ai visitatori e ai turisti. Ma neppure a un’anonima forma di cittadinanza, che dice niente mentre tenta di indicare tutto. Hanno i volti, i tratti e la fisiognomica di imprenditori, professionisti, commercianti e di tutti i loro dipendenti e collaboratori. Ci sono già esperienze (oltre quelle note: penso soprattutto alle banche) e storie da raccontare.

Irene Sanesi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #67

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Irene Sanesi

Irene Sanesi

Dottore commercialista e revisore legale. Socio fondatore e partner di BBS-pro Ballerini Sanesi professionisti associati e di BBS-Lombard con sedi a Prato e Milano. Opera in particolare nell’ambito dell’economia gestione e fiscalità del Terzo Settore con particolare riferimento alla cultura,…

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