La mostra di Mario Giacomelli e Alberto Burri a Senigallia

Il Palazzo del Duca di Senigallia ospita una mostra stimolante, che evidenzia i punti di contatto fra due artisti geniali: il fotografo Mario Giacomelli e Alberto Burri. Uniti da un legame concreto e solido, tutto da riscoprire.

Katiuscia Biondi Giacomelli, nipote del fotografo, parla di “astrarre quella bellezza dal contingente, e riporla su un piano intangibile (poetico) seppur estremamente concreto”, una questione di astrazione, quindi, ma anche di estrazione, di un lavorio mirabile, uno scavo della superficie che entrambi gli artisti, Mario Giacomelli (Senigallia, 1925-2000) e Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), hanno portato avanti nell’arco della loro pratica creativa. Questa superficie generosa è rappresentata dal paesaggio, in particolare quello marchigiano per Giacomelli, studiato a distanza, in una contemplazione non semplicemente estatica bensì in una “presa di coscienza”, un’interpretazione compiuta attraverso la macchina fotografica nel caso di Giacomelli, matericamente nel caso di Burri.
Allo sguardo a distanza “agito” sulla natura corrisponde, secondo Cesare Brandi, una fruizione a distanza dell’opera di Burri. In Umbria Vera, in riferimento ai Cellotex degli Anni Settanta, afferma: “La grande impaginatura nei tre nuovi Cellotex rientra in questo intermezzo lunare, in cui tutto si vede e nulla si distingue, se non l’immagine globale, offerta e intoccabile. Alla fine da vicino, non è che un cartone verniciato, non è che una superficie resa scabra da questo tenace e seduto lavoro di bisturi.

Alberto Burri, Combustione, 1965 ©Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Photo Alessandro Sarteanesi

Alberto Burri, Combustione, 1965 ©Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Photo Alessandro Sarteanesi

LE ASSONANZE TRA GIACOMELLI E BURRI

Nelle serie Presa di coscienza sulla natura, Storie di Terra e Motivo suggerito dal taglio dell’albero Mario Giacomelli, che smise di dipingere quando entrò in contatto con l’arte di Alberto Burri e decise di dedicarsi invece alla fotografia, sono evidenti i richiami del fotografo all’opera burriana, le convergenze formali e le soluzioni compositive degli scatti rimandano alle dinamiche estetiche delle tele, delle plastiche e dei sacchi di Burri. Tra i due nacque infatti un’amicizia sincera, fatta di scambi e stima: tutto ebbe inizio quando, presso la corniceria Angelini di Senigallia, dove le vicende di vita e la pratica di Mario Giacomelli si dipanavano, il fotografo conobbe Nemo Sarteanesi, amico di Alberto Burri. Grazie alla sua intercessione i due si incontrarono presto, incominciarono una corrispondenza e un processo di graduale avvicinamento.

Mario Giacomelli, Paesaggio, 1965 (donata ad Alberto Burri). Courtesy Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Archivio Mario Giacomelli © Rita e Simone Giacomelli. Photo Alessandro Sarteanesi

Mario Giacomelli, Paesaggio, 1965 (donata ad Alberto Burri). Courtesy Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Archivio Mario Giacomelli © Rita e Simone Giacomelli. Photo Alessandro Sarteanesi

COLORE E MATERIA

Uno degli elementi cardine alla base della consonanza estetica è l’uso del nero. Nelle fotografie in bianco e nero, quest’ultimo diventa cardine espressivo, segno grafico e tonale capace di restituire l’occhio di Giacomelli e il suo intervento costruttivo sulle colline e sulle pianure, sulle distese di campi coltivati, catturate a volo d’uccello o dall’alto in prospettiva. Le arature, i solchi nel terreno si trasformano in motivi grafici, in disegni artificiali intervallati dalle macchie e dai puntinati delle chiome degli alberi, da slittamenti, protuberanze, differenze di livello della superficie. “La natura è lo specchio entro cui mi rifletto“, afferma Giacomelli, e in ogni suo scatto ciò appare limpido, insieme universale e referenziale, singolare nella sua autorialità urlata. Allo stesso modo, Burri usa il nero per creare delle vertigini, delle profondità insondabili, degli abissi sotto le increspature rilevate: basta osservare Sacco ST 11 (1954), la serie di 8 Cretti del 1971, Catrame (1951), Sacco e Nero (1954).
Osservando accostate le opere dei due artisti, si rimane assolutamente rapiti dal confronto. Se Burri usa le combustioni, i materiali più disparati e inusuali ‒ stoffe, pietre, vinavil, sacchi, cellotex, acrilici, smalti, catrame ‒ per interpretare il paesaggio ma anche l’essere umano attraverso una texture tesa, lacerata, tormentata, cucita e sdrucita, dall’altra parte Giacomelli, armato di macchina fotografica e stampa ai sali d’argento, riesce a creare delle immagini evocative, infinitamente dettagliate e disarmanti, plasmando la materia del reale tramite uno sguardo capace di andare al di là del dato. Ci riesce anche solo partendo dal taglio di un tronco d’albero, ne enfatizza le venature rendendole pattern astratti, germogli di figuratività inedite.

Giorgia Basili

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Giorgia Basili

Giorgia Basili

Giorgia Basili (Roma, 1992) è laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi sulla Satira della Pittura di Salvator Rosa, che si snoda su un triplice interesse: letterario, artistico e iconologico. Si è spe-cializzata in Storia dell'Arte alla Sapienza…

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