Da Dürer a Ruskin. La natura come modello artistico e sociale

L’organicismo di Ruskin potrebbe essere un buon modello a cui guardare per immaginare un futuro maggiormente equilibrato ed etico.

Riconsiderare la figura del critico John Ruskin nel panorama artistico contemporaneo può costituire un’importante riflessione per il recupero di una visione etica e morale dell’arte da un punto di vista sociale, filosofico ma anche economico. Accanito anti-capitalista, Ruskin concepisce, tramite numerose conferenze a Manchester nel 1857 e con i saggi pubblicati nel 1860 su The Cornhill Magazine sotto il titolo Unto this last, un’ideologia che sfocia nel motto “There is No Wealth But Life”.
La vita e il mantenimento di questa sono osservabili dall’artista in prima persona tramite l’opera della natura, che nella teoria ruskiniana è il fondamento degli intenti artistici contro la mercificazione delle forme e la loro conseguente svalutazione. L’organicismo corale della natura deve allora essere tradotto nell’opera d’arte per riacquisire un nobile significato. Il capitolo The Leaf Monuments dell’opera Modern Painters si propone di indagare e argomentare la teoria espressa da Ruskin come equilibrio botanico, che un buon artista deve saper osservare e riprodurre. Ruskin in questa parte indica tre aspetti fondamentali come nucleo argomentativo: “Spring”, “Caprice” e “Fellowship”.
La trattazione inizia con una serie di riferimenti legati al primo elemento, “Spring”, e al mondo naturale, con le stalattiti e l’opera delle api: questi elementi naturali infatti costruiscono strutture per sé, collegando la loro opera a quella originale in maniera inconsapevole (basti pensare alle celle degli alveari). Le piante, invece, esaminate nel dettaglio, ramificano dalle radici, quindi dall’origine della struttura di appartenenza in maniera consapevole e in base a una serie di variabili mutevoli e dinamiche: in particolare in base al peso delle foglie, all’eredità trasmessa dagli altri rami e alle condizioni dovute alla posizione e al vento; tutte considerazioni che nascondono una forte valenza etica da ricercare nella natura e da divulgare nella società tramite l’opera d’arte.
Il contesto naturale in questo caso è fondamentale per far sì che l’intelligenza diffusa vegetale si estenda dove più riesce a trovare benessere e vita. Queste scelte biologiche della natura su dove estendersi e come crescere, le sue lotte e i suoi sforzi per mantenere la vita al meglio possibile compongono la sua bellezza e un buon artista deve saper cogliere questo tipo di atteggiamento chiedendosi, quando osserva un elemento naturale per riprodurlo: “Quante vicissitudini ha attraversato?”.
Ruskin, per far comprendere questa istintiva forza naturale che determina la forma vegetale, afferma: “E se ragionassi ulteriormente sulla questione, potresti capire, anche se non riesci a vederlo, che un’assoluta necessità matematica mette in relazione ogni curva del corpo alla velocità e alla direzione del suo movimento, e che la fantasia e il desiderio momentanei della volontà si misurano da soli, persino nella loro allegra libertà, attraverso le rigide leggi della vita frenetica e dall’attrazione materiale, che regolano eternamente ogni impulso della forza dell’uomo e ogni movimento delle stelle in cielo”.

William Turner, dalla serie Aske Hall, 1820

William Turner, dalla serie Aske Hall, 1820

RUSKIN E GLI ARTISTI

Ruskin continua in The Leaf Monuments facendo una serie di confronti tra alcuni studi di rami degli artisti Salvator Rosa e Albrecht Dürer, ribadendo l’esattezza compositiva del secondo e la grossolana interpretazione del primo; la fedeltà alla natura ottenuta da Dürer, infatti, deriva dal fatto che l’artista tiene bene in mente questo tipo di tematiche, le quali sono custodite all’interno delle forme vegetali che osserva. L’inserimento di immagini da parte di Ruskin nel testo è fondamentale e volto alla didattica, infatti l’associazione di queste teorie agli esempi visivi proposti è molto più comprensibile rispetto allo spiegare questi fenomeni senza mostrarne le caratteristiche visive.
Anche Veronese si rivela un buon osservatore della natura nell’opera Susanna e i vecchioni, in cui le parti delle raffigurazioni vegetali appaiono in relazione reciproca fa di loro, proprio secondo la Law of Help di cui Ruskin parla nel quinto volume di Modern Painters del 1860.
“Caprice” è il secondo elemento al quale si deve far fronte nell’osservazione di questi fenomeni. Ruskin propone un esempio ancora una volta errato da parte di Salvator che realizza una composizione in cui nessun ramo si incrocia (in maniera molto improbabile) e uno corretto dalla serie Aske Hall di Turner.
L’ultimo elemento essenziale secondo il critico è la “Fellowship”, ossia l’associazione in masse: vi sono una serie di esempi di sistemi di ramificazione come quello concavo o convesso e Ruskin afferma: “Senza l’associazione in masse, non c’è alcuna bellezza; senza la costanza, nessuna bellezza; senza problemi e morte, niente bellezza; senza piacere individuale, libertà e capriccio, per quanto possano essere incompatibili al bene universale, non c’è alcuna bellezza”.
Ruskin esplicita quattro condizioni per ogni atomo organico: armonia, obbedienza, angoscia e deliziosa disuguaglianza, alle quali già i germogli vengono sottoposti.
Conclude con una riflessione di valore etico-sociale: la foglia collega il suo lavoro a quello dei suoi predecessori e se ne fa carico per migliorarlo e per continuare la vita e assicurarne una migliore alle successive generazioni. Questa stessa umiltà è stata dimenticata dall’uomo, bisognerebbe imparare sempre dalle fatiche degli antenati. La storia delle nazioni è stata impoverita dall’industrializzazione che nega il valore di questo lavoro e di questo spirito che bisognerebbe riacquistare. “Se mai, in autunno, una pensiero si posasse su di noi mentre le foglie scivolano via nel loro svanire, non potremmo saggiamente alzare lo sguardo a contemplare speranzosi i loro potenti monumenti? Ecco quanto sono belli, quanto duraturi, negli archi e nelle navate, i viali delle valli; le frange delle colline! Così maestosi, così eterni; la gioia dell’uomo, il conforto di tutte le creature viventi, la gloria della terra, non sono che i monumenti di quelle povere foglie che volteggiano stanche attorno a noi per poi morire. Non lasciatele cadere senza comprendere il loro ultimo consiglio ed esempio: che anche noi possiamo, lasciando da parte il monumento presso la tomba, costruire nel mondo un monumento attraverso il quale si possa insegnare agli uomini a ricordare, non dove siamo morti, ma dove abbiamo vissuto”.

Albrecht Dürer, Bouquet di viole, 1502

Albrecht Dürer, Bouquet di viole, 1502

DA MANCUSO A BRUNI A LEONARDO

Il concetto di resilienza ed equilibrio botanico è molto vicino a quello che afferma Stefano Mancuso, neurobiologo italiano, nel suo libro Plant Revolution: “Le piante costituiscono vere e proprie reti viventi, capaci di sopravvivere a eventi catastrofici senza perdere di funzionalità, sono organismi molto più resistenti e moderni degli animali. Perfetto connubio tra solidità e flessibilità, le piante hanno straordinarie capacità di adattamento, grazie alle quali possono vivere in ambienti estremi assorbendo l’umidità dell’aria, mimetizzandosi per sfuggire ai predatori e muovendosi senza consumare energia. Se vogliamo migliorare la nostra vita non possiamo fare a meno di ispirarci al mondo vegetale. La struttura corporea modulare delle piante è una fonte di continua ispirazione in architettura. E ancora le piante producono molecole chimiche di cui si servono per manipolare il comportamento degli animali e la loro raffinata rete radicale formata da apici che esplorano l’ambiente può tradursi in concrete applicazioni della robotica. Organismi sociali sofisticati ed evoluti che offrono la soluzione a molti problemi tecnologici, le piante fanno parte a pieno titolo della comunità dei viventi”.
Importante allo stesso modo ciò che viene espresso in Mirabilia, la botanica nascosta nell’arte di Renato Bruni, professore associato in botanica e biologia farmaceutica dell’Università di Parma. In riferimento all’opera La grande zolla d’erba di Dürer, un acquerello su pergamena del 1503, afferma: “Con la sua istantanea brulicante di biodiversità, Dürer ha inventato un nuovo soggetto artistico, una sorta di neorealismo vegetazionale libero dai lacci dei simboli e delle proiezioni umane con cui le piante son sempre rifinite in quadri e affreschi. Anche se appaiono sospese a mezz’aria, le piante della zolla non sono isolate come in una natura morta e la loro vitalità è espressa anche dall’essere ritratte formando un piccolo mondo e non un mondo distinto e separato. Quasi viene voglia di spostare le foglie per vedere cosa celano mentre sgomitano per luce, acqua e spazio, tutte affastellate eppure connesse come tessere di un puzzle, e viste raso terra si capisce che la loro posizione non è casuale.
Le piante della zolla raffigurate da Dürer scambiano in ogni istante migliaia di segnali con l’ambiente circostante e con gli organismi che lo popolano. Tutti i sistemi fisiologici sono all’erta per captare segnali di pericolo o favorevoli e per mediare e prevenire i rischi legati a parassiti, microbi, insetti, animali, altre piante, freddo, caldi, siccità, eccesso di ombra o luce […] Agrostis, Plantago e Poa non sono cadute lì davanti al naso di Dürer ma al contrario l’apparente caos della vegetazione segue dinamiche ecologiche precise”.
Diceva Leonardo da Vinci: “La natura è piena d’infinite ragioni che non furon mai in isperienza. Nessuno effetto è in natura sanza ragione; intendi la ragione e non ti bisogna sperienza. L’uomo ha grande discorso, del quale la più parte è vano e falso”.

Matilde Lanciani

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Matilde Lanciani

Matilde Lanciani

Matilde Lanciani nasce a Macerata nel 1998. Dopo la maturità scientifica, consegue la laurea triennale in Beni Culturali indirizzo storico-artistico presso l'Università degli Studi di Perugia con una tesi dal titolo "L'alfabeto del secondo preraffaellismo a Roma. Alma Tadema e…

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