Fluttuante & ancorato (IX). Fingere normalità

Ancora una volta, la rubrica di Christian Caliandro prende la mosse dall’affermazione del poeta irlandese Brendan Kennelly: “Se vuoi veramente arrivare lì dove la scrittura vive, scrivi come se fossi morto”.

La tua verità, le tue bugie, non le mie. / Io credevo che tu fossi diverso e che magari la provassi quell’angoscia che certe volte ti traversava il volto e minacciava di esplodere, e invece tu ti paravi il culo. Come ogni altro povero stronzo di mortale. / Per la mia mente questo è un tradimento. E il soggetto di questi frammenti confusi è la mia mente” (Sarah Kane, Psicosi delle 4 e 48, in Tutto il teatro, Einaudi 2000, p. 188).

Si finge normalità – si installa normalità – si smonta e si rimonta normalità: e la normalità durante, poi, si rivela per quello che in fondo è: un tentativo.

Tutti ritornano un po’ bambini segnatamente al cospetto dell’autorità costituita, insomma di fronte a me che rappresento il potere. La legge… la legge… tutte le leggi, quelle conosciute e quelle sconosciute, l’indiziato ritorna un po’ bambino. E io divento il padre, il modello inattaccabile, la mia faccia diventa quella di Dio, della coscienza… è una messa in scena. Ma cosa credi? Queste sono le basi su cui si poggia l’autorità costituita!” (L’ispettore in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Elio Petri 1970).

A me sembra che un discorso onesto sulla necessità di proiettarci su qualche cosa, un discorso sulla fiducia, sulla buona volontà, sugli obiettivi comuni, sia ancora pericolosissimo. Quando ascoltiamo chi parla così, immediatamente precipitiamo in uno stato infantile; c’è subito il pericolo, mortale, di abbandonarci, di affidarci, e c’è sempre qualcuno pronto a sfruttare questo abbandono, e a far ricominciare tutta la faccenda da capo, con gli stessi errori, gli stessi equivoci, le atrocità di sempre. Forse, smascherare la bugia, identificare e smantellare l’approssimativo o il falso, continua ad essere, per ora, l’unica risorsa – una sorta di irridente, precaria salvezza – della nostra storia fallimentare” (Federico Fellini, Fare un film, p. 154).

Federico Fellini, Roma (1972)

Federico Fellini, Roma (1972)

slow motion lento movimento / ferma un attimo di gioia o di infelicità / il volo di un gabbiano il salto di un delfino / l’uomo che cade nel momento supremo / l’anima sospesa di un nuovo stupore / slow motion la notte di Babbo Natale / l’orecchio teso per sentirlo arrivare / si estrae la fortuna l’uomo è sulla luna / slow motion per chi ha vinto / quello che fuori di sé il veleno ha respinto / slow motion quando il sole tramonta / slow motion quando s’infrange l’onda / d’inverno davanti alla forza del mare / il respiro rallenta per poterla captare / sogno di fronte all’immensa platea / intorno al mondo in solitario / cento metri in apnea / slow motion fatemi rivedere / l’uomo che vince contro ogni parere / slow motion slow motion” (Lucio Battisti, Slow Motion, in E già, 1982).

Se il punto è la connessione, la rete (l’“infrastruttura di relazioni”) che è l’opera contemporanea, allora la scrittura deve seguire lo stesso metodo: deve farsi essa stessa rete di connessioni, infrastruttura di relazioni – “autobiografia di tutti”, e non solo tua, in grado a sua volta di individuare e intercettare una disposizione d’animo.

Federico Fellini quando lavorava aveva bisogno della confusione: sceglieva di essere circondato dal massimo della volgarità e della «caciaroneria». […] Fellini si isolava all’interno del massimo del rumore e del disordine” (Claudia Cardinale).

Scrittura e arte servono a fare ciò che non è permesso, a deragliare di brutto, a scartare rispetto a ciò che è previsto e atteso, a costruire l’inatteso nel mondo, e dunque una versione del mondo differente da quella che la maggior parte conosce, e che costantemente noiosamente si ripropone ai cervelli e alle loro esperienze.

Strappi, buche – interruzioni, illuminazioni – soste tranquille e brusche ripartenze, deviazioni, digressioni, intervalli. È così che procede il pensiero, e anche il nuovo dell’arte e della cultura. Non ha quindi molto senso offrire ragionamenti & testi & opere già pronti, ready-made, lineari e senza scossoni, perché sono un’illusione infantile. Una consolazione. Ci propongono cioè un modo e un mondo che non esistono, che non rispecchiano in nulla la nostra esperienza mentale ed esistenziale di ogni ora, di ogni minuto. Del presente e – forse – di sempre. Ciò che avviene nella testa di ognuno deve riflettersi il più precisamente possibile sulla pagina, e/o nello spazio esterno.

Io sono qui soltanto per spiegarvi perché un verso del Petrarca è bello, e presumo di saperlo fare. Tutto il resto mi è estraneo, mi annoia. Tanto vale che ve lo dica subito, per me neri o rossi siete tutti uguali, i neri sono più cretini. Dovrò passare con voi solo tre o quattro mesi, il tempo che si aggiusti il femore del professor Mariani. Non sono in gran forma perché non insegno da molto tempo, e mi dicono che intanto sono cambiate molte cose, però ho un mio punto di vista sull’insegnamento: non imporlo a nessuno. Nel senso che se qualcuno vuole studiare io sono qua, gli altri facciano come vogliono, venire, non venire, leggere, scrivere, giocare la battaglia navale, insomma basta che non disturbino” (Daniele Dominici ne La prima notte di quiete, Valerio Zurlini 1972).

Christian Caliandro

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

Scopri di più