A Santarcangelo Festival una danza per la resistenza. Intervista al direttore Tomasz Kireńczuk

Si è conclusa il 17 luglio l’ultima edizione di Santarcangelo Festival, intitolata Can you feel your own voice. Nell’intervista il nuovo direttore artistico Tomasz Kireńczuk si racconta e svela la “politica” alla base delle sue scelte curatoriali

La 52esima edizione di Santarcangelo Festival è trascorsa dolce e impetuosa, con la sua vocazione ad accogliere la pluralità di voci graffianti, di nuove prospettive che, con coraggio, scavano nel profondo degli scenari del presente. Molti i lavori costruiti sull’elemento della ripetizione del movimento: il salto continuo di Pawel Sackowitz, i passi reiterati del Bolero di Ravel di Mónica Calle, fino ai box steps sensuali e stranianti di Alex Baczyński-Jenkins. Una pratica rivoluzionaria e di resistenza, quella della ripetizione, un antidoto contro un tempo sempre più ostile.
Il racconto di quest’ultima edizione lo lasciamo al direttore Tomasz Kireńczuk, incontrato a chiusura della rassegna. Drammaturgo, attivista e critico teatrale polacco, Tomasz – col suo volto disteso e amichevole ma dal temperamento risoluto – forte della lunga esperienza che lo ha visto fondatore di Teatr Nowy a Cracovia, centro di produzione teatrale indipendente in Polonia e curatore per Dialog – Wrocław International Theatre Festival. Una personalità da sempre impegnata nella difesa della libertà della produzione artistica e nel supporto alla creatività emergente.

Camilla Montesi, Caronte, Santarcangelo Festival, photo © Pietro Bertora, 2022

Camilla Montesi, Caronte, Santarcangelo Festival, photo © Pietro Bertora, 2022

Qual è il bilancio di questa prima esperienza come direttore artistico di Santarcangelo Festival?
Ho visto i frutti del lavoro di un intero anno trascorrere velocissimi. Il momento più delicato è sempre l’apertura: quando quello che è stato preparato esce dalla mente e incontra la gente. Sono felice di aver creato un’atmosfera di ascolto, di attenzione profonda e una sensibilità contagiosa che ha connesso gli artisti e il pubblico. Era l’atmosfera che sognavo ma che credo faccia parte dello spirito di Santarcangelo, uno spirito che porta gli artisti a esprimere se stessi, le loro vulnerabilità con la forza dei loro corpi. La lunga eredità del festival da una parte fa sentire il suo peso, dall’altra pensare che qualsiasi cosa sia già stata fatta dà molta libertà e consente di rischiare. Non sono uno di quelli ossessionati dalla ricerca del nuovo, credo invece che sia importante trovare il modo di far combaciare una serie di elementi e farli dialogare tra loro.

Qual è il cuore del lavoro di un direttore artistico?
Il lavoro più importante è l’attivazione di uno spazio in cui gli artisti e il pubblico possano incontrarsi e capirsi, entrando l’uno nella vita dell’altro. Mi ha colpito vedere le persone fermarsi fino alla fine del festival: segno di una profonda condivisione. Come direttore sento molto la responsabilità di preservare le specificità degli artisti, di non tradire i loro progetti con delle proposte che sfidano i limiti delle possibilità della messa in scena. Cerco sempre di trovare un equilibrio tra le loro esigenze tecniche e quelle limitate di cui si dispone; se ci sono riuscito è stato grazie al grande lavoro della squadra tecnica e alla disponibilità dei performer.

Come è stato l’impatto del tuo lavoro con questo piccolo borgo?
Ho cercato di guardare tutte le complessità come possibilità e non come ostacoli. La peculiarità di questo festival è sapersi adattare agli spazi limitati. Il lavoro di un curatore è influenzato dai vincoli spaziali ed economici ma a Santarcangelo c’è qualcosa di speciale: gli artisti sono disposti a mettersi in gioco e a sfidare i limiti, conquistando la possibilità di una buona riuscita. È successo con DOOM di Teresa Vitucci, un lavoro sulla prospettiva femminista contestualizzato nel giardino dell’Eden, per il quale ho pensato alla location del Parco Baden Powell, nonostante le complessità tecniche. Teresa era contenta e allo stesso tempo preoccupata; si è messa in gioco e dopo il debutto ha deciso che quel lavoro lo avrebbe fatto solo outdoor.

C’è un elemento che più di altri ha tenuto insieme i lavori di questa edizione?
Molti progetti erano basati sulla ripetizione, una pratica per me molto significativa e rivoluzionaria. Alcuni degli artisti hanno conquistato un proprio spazio sul palcoscenico proponendo atti ripetitivi ed estenuanti che portavano il pubblico a partecipare alla sofferenza dello sforzo fisico dell’artista fino a volerlo incoraggiare per dargli quell’energia che andava consumandosi in lui, creando le condizioni di un momento collettivo speciale. La ripetizione del movimento e il tentativo dello spettatore di condividere questo stesso momento con l’artista, senza che venga necessariamente prodotto qualcosa, è un vero atto di resistenza. È quello che hanno fatto Mónica Calle, Alex Baczyński-Jenkins, Cristina Kristal Rizzo, Paweł Sakowicz e molti altri.

La tua carriera artistica è intrisa dell’impegno politico. Come porti avanti quest’ultimo con la pratica curatoriale?
Dirigere questo festival è un mezzo molto potente per esercitare questo impegno politico, vista la sua visibilità nel contesto nazionale e internazionale. Santarcangelo è una grande agorà in cui poter parlare di cose poco presenti nel dibattito quotidiano: il senso del festival è portare avanti una narrazione politica profonda, alternativa alla superficialità dei media. Qui abbiamo il privilegio di ritagliarci un momento in cui fermarci ad ascoltare cosa l’altro ha da dire e condividere nuove prospettive. Questo investimento emotivo è il vero senso politico del festival.

Qualche anticipazione sulla prossima edizione?
Il mio lavoro di programmazione non parte mai da temi prestabiliti ma dal confronto con gli artisti. Cerco di rintracciare le linee comuni dei loro progetti influenzato dalle tematiche che mi toccano di più. Alcune problematiche come la questione dell’identità di genere, delle disuguaglianze sociali e della violenza torneranno ma sono convinto che gli artisti abbiano da offrire molto più di quanto io possa immaginare. Continuerò a dare supporto alla creatività emergente italiana e internazionale tramite le residenze artistiche. Come quest’anno partirò da zero affidandomi alla mia intuizione.

– Valentina Cirilli

https://www.santarcangelofestival.com/

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Valentina Cirilli

Valentina Cirilli

Valentina Cirilli (Ancona, 1989) vive a Milano, è giornalista pubblicista per testate online, studiosa attiva nell’ambito delle arti performative con particolare attenzione alla loro relazione con gli spazi urbani. Dal 2016 cura progetti e bandi di diffusione dello spettacolo dal…

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