Ricostruire una performance. Yvonne Rainer a New York

“Parts of Some Sextets” è il titolo della performance del 1965 ricontestualizzata nel presente da Yvonne Rainer.

Video, musica elettronica, oggetti realizzati con stampanti 3D, realtà virtuale si affiancano a sculture fatte di argilla, strumenti musicali tradizionali, materassi, utilizzati in alcune delle performance fruibili durante le tre settimane di novembre.
Performa è ritornata con la sua ottava edizione, disseminando arti performative tra i molteplici spazi espositivi di New York City.
A cent’anni dalla fondazione del Bauhaus di Weimar, Performa celebra la prima scuola di arte e architettura ad aver ospitato workshop teatrali all’interno del curriculum accademico. Valorizzando l’importanza della sperimentazione pluridisciplinare tra le arti, criterio cardine stabilito da Walter Gropius per la nuova scuola, la biennale si pone come teatro di riflessione sul connubio tra arte e tecnologia e sul valore che questo assume nel panorama artistico odierno.

YVONNE RAINER

Tra i diciannove artisti a cui è stata commissionata una performance per questa edizione c’è Yvonne Rainer, fondatrice del Judson Memorial Church e pioniera del movimento di performance post-moderno. Yvonne Rainer dirige, al fianco di Emily Coates, la performance dal titolo Part of Some Sextets, a cui aveva preso parte nel lontano 1965, appena conclusi gli studi di danza. La performance era stata presentata solo in due occasioni presso il Wadsworth Atheneum di Musica e Arte e al Judson Memorial Church.
Un mucchio di dodici materassi faceva da sfondo a dieci performer tra cui Lucinda Childs, Steve Paxton, Robert Morris, Robert Rauschenberg e la stessa Yvonne, intenti a eseguire con accurata precisione una partitura di 31 possibilità di movimento che mutano ogni 30 secondi. Nel 1965, racconta Yvonne, il gruppo di performer si riuniva nel suo studio tre o quattro volte a settimana, per provare e costruire questa danza. Affissi nel suo studio dei fogli di carta a quadretti con su incisi una sequenza cronologica con parole e iniziali che assegnavano a ogni performer una specifica funzione. Il cambiamento ritmico dei movimenti era scandito da una voce di sottofondo che recitava il Diario di William Bentley D.D (1905). Un diario che racconta la vita quotidiana di una comunità di unitariani americani di Salem, in Massachusetts, racchiusa in trenta libri.

Peter Moore, Untitled (The cast of Yvonne Rainer’s Part of Some Sextets, 1965). Courtesy of Barbara Moore e Paula Cooper Gallery

Peter Moore, Untitled (The cast of Yvonne Rainer’s Part of Some Sextets, 1965). Courtesy of Barbara Moore e Paula Cooper Gallery

LA RICOSTRUZIONE

Part of Some Sextets è sia una ricostruzione che una riconfigurazione della danza mostrata al pubblico nel 1965.  Ricostruire questa complicata e rigorosa coreografia di ritmi corporei e sonori ha richiesto cinque settimane di ricerca archivistica, l’aiuto ed entusiasmo di Emily Coates, performer, docente universitaria e direttrice del dipartimento di studi di danza presso la Yale University, e il ritrovamento miracoloso di un nastro da 1/4 di pollice presso la Fondazione Rauschenberg.
Nel libretto allegato alla performance, Yvonne Rainer ammette che non avrebbe mai avuto il coraggio di toccare “il mostro di materassi” senza lo spirito e la confidenza iniziale di Emily Coates. Infatti è proprio grazie alla sua ricerca presso l’archivio dell’artista conservato al Getty Institute of Research a Los Angeles che il progetto di ricostruzione ha iniziato a prendere forma e ha raggiungo il pubblico sul palco del Gelsey Kirkland Arts Center, qualche settimana fa.
Emily Coates interpreta una dei dieci performer e Yvonne Rainer, questa volta, dirige l’intera coreografia. Le performance si apre con la vista di una montagna di materassi e una voce di sottofondo che descrive note biografiche di William Bentley e della vita culturale, politica ed economica di una comunità di parroci del Massachussets. La voce sembra creare un’atmosfera quasi atemporale. Lentamente diversi performer raggiungono il palcoscenico e, seguendo indizi captati nella voce narrante, cambiano movimento e posizione, in modo disomogeneo. Il disorientamento iniziale tra voci e corpi lentamente crea un’aritmica armonia formale.

REINTERPRETARE IL PASSATO

I movimenti sono 31, scanditi con una precisa sequenza, il cui segreto ritmico risulta inaccessibile al pubblico. Alcuni dei 31 movimenti sono stati rivisitati rispetto alla performance eseguita negli Anni Sessanta e una nuova registrazione si è aggiunta al background sonoro, intrecciandosi con quella originale.
In un’intervista moderata da Wendy Perron per la rivista Dance, Yvonne ha confermato che alcuni degli interventi eseguiti sulla registrazione della voce narrante originale siano più conformi alla situazione politica contemporanea. Si tratta di particolari sonori quasi indecifrabili nel linguaggio dei corpi che talvolta rimbalzano silenti, su soffici materassi. Osservando questa performance tornano in mente alcune domande sul valore della ricostruzione di una performance, sul significato della sua ricontestualizzazione storica e soprattutto sul ruolo degli archivi nella rilettura e reinterpretazione del passato. E, forse, Parts of Some Sextets aiuta a trovare qualche risposta.

‒ Flaminia Fortunato

https://performa-arts.org/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Flaminia Fortunato

Flaminia Fortunato

Flaminia Fortunato è una restauratrice di arte contemporanea. Lavora come restauratrice di arte elettronica presso il MoMA di New York. Ha studiato restauro-conservazione di materiali moderni e media presso la Hochschule der Künst di Berna. Ha pubblicato per il MoMA…

Scopri di più