Febvre, Bloch, Zumthor, Foucault, Le Goff: in molti, negli ultimi decenni, si sono occupati della riconsiderazione dello statuto teorico dei documenti. Quali principi guidano te, nel lavoro di riordino e catalogazione del vostro Archivio?
Ho cominciato a raccogliere in cartelle tutti i fogli con i disegni, gli scritti e le lettere. È stato sempre l’ultimo gesto dopo l’uso, ma è valso solo per certe cose. Ho sempre scelto e scartato. Dunque l’intento era quello di ordinare materiali per futuri libri ipotetici.
L’archivio vero e proprio, cioè scientifico, è partito da una proposta generosa da parte di due accademiche greche, Elena Papalexiou e Avra Xepapadakou, che hanno cominciato a digitalizzare e a ordinare tutto. Loro hanno anche cercato e ottenuto il sostegno europeo dell’Archivio, che ha permesso di impiantare un insieme di lavoro piuttosto numeroso. Il fatto che l’Archivio sia in mano loro, dunque collegato alla Grecia, è oltremodo significativo e luminoso.
Com’è materialmente organizzato, oggi?
Nel nostro teatro c’è una soffitta, che gli studiosi e gli studenti conoscono, perché è lì che vengono a fare le loro ricerche. In questo luogo ci sono armadi e librerie per la raccolta ordinata delle cartelle. Poi c’è un lungo tavolo dove l’equipe greca si sistema quando viene a lavorare in periodi di due settimane e per due o tre volte l’anno. Hanno cominciato a costruire il sito dell’archivio.

Questi oggetti sono oggi disponibili alla consultazione? Se sì: come?
L’équipe greca ha predisposto cartelle di consultazione che replicano gli originali. Attualmente la consultazione è ancora fisica, ma la parte più generale sarà disponibile in rete. Escludiamo comunque dalla rete la parte più consistente (che coincide con la più datata) dei documenti, per i quali vogliamo mantenere un rapporto fisico. Il modo è quello di chiedere di potervi accedere in base a una relazione scritta sullo studio che si intende compiere.
Archivio non come hortus conclusus ma come sistema aperto?
Tutte e due le cose sono ammesse, ma è il modo che le distingue. Ognuna svolge una peculiare funzione, ma entrambe sono frequentabili con gradi differenti di intensità esplorativa.
Nel tuo libro Setta. Scuola di tecnica drammatica dici: “Usciamo per il bisogno di trasferire fuori quello che facciamo dentro”. Ciò potrebbe essere applicabile anche al vostro archivio?
Sì, e la risposta è sì anche per ciò che riguarda il nascondimento e la custodia. Entrambi i modi contano. Uno lavora per l’altro.

Vuole tramandare il lavoro della Socìetas?
L’Archivio raccoglie cose passate. È un modo di frenare il passato. Non ha alcuna prospettiva di germinazione futura. È un’inclinazione esclusivamente rivolta al passato. Al presente, è valido soltanto per chi voglia studiare il passato. Sta a lui ricavare eventualmente qualcosa. Questo non è il nostro compito.
La SRS esisterà ancora, dopo di voi?
Già non esiste più. Alcune sue tracce si trovano nell’archivio.
Il riconoscimento del Ministero cosa comporterà, in concreto?
Un contributo utile a creare discrete condizioni di conservazione e di ricevimento.
“422 contenitori di pezzi di storia del teatro contemporaneo in forma di bozzetti, copioni, manifesti, programmi, carteggi, foto, video e pubblicazioni”: quale parte della vostra esperienza non può, per propria natura, essere contenuta in un archivio?
Il mero teatro.
Michele Pascarella