Sanremo come Arca di Noè dello spettacolo (se Noè è Achille Lauro)

Il commento di Clara Tosi Pamphili sul festival di Sanremo appena concluso. Un festival angosciante nel quale spicca l’immaginario evocato da Achille Lauro

Non è stato facile seguire questo tour de force del festival. Onestamente mi hanno aiutato la finale di Masterchef, Propaganda Live, Shining, Il Padrino parte seconda: programmi paralleli dove ogni tanto andavo a riprendere fiato dall’apnea della diretta di Sanremo. Sicura anche del fatto che se qualcosa mi fosse sfuggita sarebbe arrivata comunque dai commenti sui social, da un messaggio di un amico esperto, dal tweet o addirittura dal programma competitor che non poteva esimersi dal commentare la dichiarazione di Orietta Berti che vorrebbe cantare con i “Naziskin” (confesso che ho chiamato spesso Moleskin i Maneskin…).

Stanley Kubrick, The Shining (1980)

Stanley Kubrick, The Shining (1980)

UN FESTIVAL ANGOSCIANTE

Alla fine, quando il quadro è completato cerco di capire le due immagini che si sovrappongono, una negativa e una positiva, comunque entrambe mi dicono che valeva la pena farlo, che alla fine c’è un racconto dietro a questa edizione, più che in altre. La prima immagine negativa me l’ha suggerita proprio Shining: è quella dell’ultima scena, la famosa foto della festa dove tutti coloro che vediamo in abiti eleganti e stravaganti sono in realtà i cadaveri seduti nei saloni vuoti coperti da ragnatele che avevano spaventato poco prima Shelley Duval. Davanti a tutti, il ritratto della follia incarnato da Jack Nicholson come vuol essere oggi Achille Lauro, e dietro tutte le figure che hanno partecipato a questa “festa” mortale. Inutile negarlo c’è qualcosa di angosciante in questo Festival che si illude di distrarci o di lanciare un messaggio di rinascita: è la dimostrazione che lo spettacolo in un teatro non può esistere senza pubblico, a meno che non lo si reinventi. La seconda immagine positiva me la suggeriscono i look per evocano tante forme di vita, animali e animaletti colorati che vedo salire sul ponte di un’arca più che scendere dalla scala del Teatro Ariston. Vedo ancora Achille Lauro come Noè, forte della sua fede, che fa salire a bordo cantanti giovani e vecchi, musicisti, attori, presentatori, giornalisti, la banda, i politici e l’educazione siberiana di Zlatan Ibrahimovic.

LAURO COME FELLINI

Ma in uno slancio di generosità, c’è anche una dimensione felliniana: vedo la Masina e Mastroianni in “Ginger e Fred”, nel quale due vecchi ballerini di tiptap vengono richiamati a ballare insieme in un programma speciale per Natale, insieme ad un variopinto campionario tra dilettanti, giovani e anziani, imitatori, transessuali e un frate che fa miracoli. In questa visione fatico a mettere a fuoco i singoli look, a ricordare i monologhi femminili, estrema espressione di una quota rosa che serve a tutti fuorché alle donne, a ricanticchiare qualcosa. Vedo almeno due o tre veli da sposa che volano, come quella di Chagall, per poi scendere dall’alto sul palco per alzarsi il vero e rivelare altro. Vedo tailleur pantaloni troppo stretti come antica garanzia di femminismo intellettuale. Vedo l’orchestra che fa il doppio lavoro, un po’ pubblico un po’ orchestra. Vedo i vincitori vestiti come se fossero a Holiday on Ice, perché se si è in quattro meglio non vestirsi tutti uguali a meno che non siamo i Beatles. Capisco che manchi una visione generale, che manchi la mano dell’artista a questa immagine. Manca la sceneggiatura. Capisco che dietro ad ogni personaggio c’è uno stylist e un brand e che ogni storia si perde in una dimensione così grande: tutto è talmente troppo da risultare nulla.

LAURO, ZERO, BOWIE: MA QUALE PRIMATO?

Senza esprimere giudizi sulle parole, sulle citazioni, sul fatto che il sangue finto fosse troppo rosso…vedo a fuoco solo Achille Lauro, come Jack Nicholson e come Noè, ma perfettamente a fuoco.  Siamo onesti, tutti abbiamo aspettato il suo spettacolo nello spettacolo ogni sera, ci siamo nutriti del suo sacrificio che esprime la dolcezza, la fragilità degli animali disposti a scendere sul palco come in una arena. Sorrido quando leggo i commenti degli esperti che “spiegano” come prima di lui Bowie o Renato Zero avessero portato piume e glamrock: evidentemente siamo ancora attaccati all’idea di “primato” dimenticandoci che ci copiamo da sempre.  Quella di Lauro è una spettacolarizzazione di se stesso cui collabora Alessandro Michele con Gucci insieme ai migliori artigiani di moda e costume, artisti che rappresentano il Made in Italy più inarrivabile nel mix che trova spazio nell’andare in scena su un magazine come al Teatro Ariston. Mi dispiace dirlo a chi commenta anche le scelte del virologo plurilaureato, ma non c’è nessuna certezza nel domani se non in ciò che sapremo costruire come difesa dalle aggressioni virali e culturali e quindi l’Arca di Achille Lauro trasporta chi sa reinventare sempre lo spettacolo.

Clara Tosi Pamphili

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Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili si laurea in Architettura a Roma nel 1987 con Giorgio Muratore con una tesi in Storia delle Arti Industriali. Storica della moda e del costume, ha curato mostre italiane e internazionali, cataloghi e pubblicazioni. Ideatrice e curatrice…

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