Seeyousound 2019. Reportage dal music film festival di Torino

Si è conclusa un'edizione da record, con dieci sold out e otto ore di live in sala, novità di quest’anno insieme alla partnership con Sky Arte e al premio correlato. Non vi parleremo di questo, ma di visioni e concerti: il clima del festival.

Si è appena conclusa la quinta edizione del Seeyousound International Music Film Festival di Torino, dieci giorni di proiezioni di film, documentari, videoclip il cui “centro di gravità permanente” è da sempre la musica. Il capoluogo piemontese ha risposto con entusiasmo, mostrando di avere a cuore non solo il cinema, che qui ha una grande tradizione ‒ non a caso la sala in cui si tiene il festival è quella del Massimo, vicina al Museo del Cinema presso la Mole Antonelliana ‒, ma anche il mondo delle sette note e quello che significa, prima ancora che per i suoi fan, per il territorio in cui nasce.
Il rock, il reggae, il punk (tardo), l’elettronica, la bossa nova, la dance, il soul, il funk, il jazz sono armi di ribellione, sono modi di essere, creano legami di fratellanza, uniscono le comunità, acuiscono le differenze, svelano chi siamo e abbattono le frontiere, quegli innaturali confini che la politica ‒ e quindi il potere ‒ continua a insinuare tra tutti noi.
La prima serata si è aperta con Simphony of Now di Johannes Schaff, lettera d’amore berlinese che ha attualizzato con un montaggio più contemporaneo il classico film degli Anni Venti: Berlino ‒ sinfonia di una grande città di Walter Ruttmann. Preceduta dal live set di Alex Do, l’attesa anteprima ha lasciato un po’ perplessi perché la successione delle immagini, montate dall’alba al tramonto nella capitale della musica elettronica, è apparsa stereotipata; nonostante il flusso sonoro ipnotico e coinvolgente, il film non è riuscito a svelare la vera anima dell’odierna Berlino.
Della sezione Into the groove ‒ un macrocontenitore che ospitava uno spettro di storie e personaggi estremamente e volutamente vario ‒ abbiamo visto Studio 54, documentario sul crollo del mitologico locale newyorkese e Hansa Studios: by the wall 1976-90, affascinante resoconto della storia dei grandi studi di registrazione di Berlino ovest ai tempi del Muro, da David Bowie e Iggy Pop, dall’industrial fino a Nick Cave.
La caratteristica del festival torinese è da sempre quella di accompagnare le proiezioni con dei live e, a questo proposito, Songs with other strangers è stato un esempio calzante: un documentario sui concerti tenuti nel 2010 da nove musicisti, la cui aspirazione era quella di stare insieme e suonare senza avere un frontman, un leader, con spirito libertario e comunitario, divertendosi e trasmettendo al pubblico l’amore per la musica e il rispetto reciproco.

Seeyousound Festival 2019. Gundermann di Andreas Dresen

Seeyousound Festival 2019. Gundermann di Andreas Dresen

DALLA MUSICA AL CINEMA

Da un’idea di Cesare Basile (assente per influenza) e Marta Collica, il regista Vittorio Bongiorno ci ha mostrato come erano nove anni fa Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours, Hugo Race (ex Birthday Party e Bad Seeds), John Parish (Eels), Stef Kamil Carlens, (fondatore dei dEUS), Steve Wynn (ex Dream Syndicate), Giorgia Poli (ex bassista degli Scisma). Nove amici, nove artisti, che si sono ritrovati dopo tanti anni tutti insieme, si sono commossi a rivedersi più giovani e hanno dedicato al loro pubblico un live affettuoso e sincero.
Altro evento degno di nota è stato quello di Torso Virile Colossale, ardito progetto ideato da Alessandro Grazian, dedicato al cinema Peplum italiano (kolossal mitologici realizzati tra gli Anni Cinquanta-Sessanta) e presentato per la prima volta nella città di Cabiria. Un montaggio visionario costruito sulla musica, realizzata dal vivo per l’occasione dallo stesso Grazian, Nicola Manzan, Kole Laca, Luciano Macchia ed Emanuele Alosi, un viaggio in cui le immagini si sono intrecciate alle note, creando qualcosa di nuovo e sorprendente.
Per la sezione LP Feature, abbiamo infine seguito il film indipendente americano Bomb City di James Brooks, tratto dalla storia vera dell’assassinio del giovanissimo musicista punk Brain Daneke in una cittadina texana, nel 1997. Il film prende posizione, non si nasconde, mostra le vittime vere e quelle che la società perbenista americana reputa tali. La diversità delle creste punk, la violenza della vita di provincia e, su tutto, le parole di Marilyn Manson che riecheggiano dolorose come la verità, quella verità che non è la legalità, ma la giustizia di poter vivere liberamente la propria esistenza.

Katiuscia Pompili

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Katiuscia Pompili

Katiuscia Pompili

Nata a Catania, ha studiato a Napoli Conservazione ai Beni Culturali all’Università Suor Orsola Benincasa laureandosi con una tesi in arte contemporanea su Nan Goldin. Fa parte del gruppo di curatori usciti dalla scuola salernitana dei critici Angelo Trimarco e…

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