Sotto le nuvole: il nuovo film di Gianfranco Rosi sul tempo sospeso del Vesuvio

Tra archeologie sepolte e vite quotidiane, il regista racconta Napoli e i suoi dintorni in un bianco e nero che cerca la verità oltre la realtà. Qui il trailer

Il cinema documentario deve trascendere la mera realtà dei fatti e cercare una verità più profonda”, sostiene Werner Herzog. Una convinzione che sembra guidare anche Gianfranco Rosi nel suo lavoro, nel suo cinema e nelle sue storie.

Il regista di Sacro GRA – primo documentario a ricevere il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema, in quell’occasione assegnato da una giuria presieduta da Bernardo Bertolucci – torna oggi al festival presentando in Concorso Sotto le nuvole, in sala dal 18 settembre con 01 Distribution.

Sotto le nuvole: il nuovo film di Gianfranco Rosi

Tra il Golfo di Napoli e il Vesuvio, la terra talvolta trema. Le fumarole dei Campi Flegrei segnano l’aria, le rovine sommerse raccontano di ville romane sprofondate, Pompei ed Ercolano parlano di un futuro interrotto, sepolto dal tempo. Sotto le nuvole segue le tracce della storia e delle memorie del sottosuolo: in un bianco e nero sospeso, una Napoli meno conosciuta si anima di presenze.

Abitanti, devoti, turisti, archeologi che riportano alla luce frammenti del passato; curatori di musei che provano a restituire vita e senso a statue, reliquie, rovine. La Circumvesuviana attraversa il paesaggio; cavalli da trotto corrono sulla battigia; un maestro di strada si dedica al doposcuola per bambini e adolescenti; i vigili del fuoco fronteggiano le paure quotidiane; le forze dell’ordine inseguono i tombaroli.

Intanto, a Torre Annunziata, navi siriane scaricano grano ucraino. Da vent’anni una squadra di archeologi giapponesi scava Villa Augustea, raccogliendo semi, ossa e sedimenti che raccontano storie millenarie. I turisti affollano Pompei, i fedeli strisciano nel santuario della Madonna dell’Arco, ex voto e cripte tramandano un credo che resiste al tempo. Il Golfo si rivela così come un’immensa macchina del tempo.

Il Vesuvio come orizzonte

Protagonisti di questa nuova narrazione visiva – in un bianco e nero magico, irrequieto e al tempo stesso immobile – sono Napoli, il Vesuvio e i loro dintorni. Un documentario di vita, di storia, di contraddizioni, di popolo.

Ho girato e vissuto per tre anni all’orizzonte del Vesuvio cercando le tracce della Storia, lo scavo del tempo, ciò che resta della vita di ogni giorno”, scrive Rosi nelle note di regia. “Raccolgo le storie nelle voci di chi parla, osservo le nuvole, i fumi dei Campi Flegrei. Quando filmo accolgo la sorpresa di un incontro, di un luogo, della vita che scorre. La sfida del racconto è assecondare l’inquadratura, lasciando che le storie prendano forma. Il tempo del film è la fiducia in quell’incontro”.

L’idea del film nata da un dialogo

Dopo Roma, Lampedusa e i confini di un mondo in guerra, Rosi sceglie Napoli e il Vesuvio per immergersi in una nuova osservazione. Un’idea nata da una conversazione con Pietro Marcello, anche lui in Concorso alla Mostra con Duse: “Mi disse che voleva fare un film a Pompei, ma che non aveva la mia stessa devozione per restare tre o quattro anni nello stesso luogo. Quelle parole mi hanno aperto uno spiraglio. A Napoli ero stato solo un paio di volte, da turista. La mia prima impressione è stata che nascondesse molto di più, un immenso fuori campo. E mi sono ricordato che Bertolucci, parlando di Sacro GRA, mi aveva detto che io raccontavo ciò che non si vede, il fuori campo. Da allora quella suggestione mi accompagna”.

Tra visione e ritorno

Una delle immagini diffuse per la promozione mostra Gianfranco Rosi con la sua telecamera, intento a osservare da lontano il Vesuvio: uno scatto che richiama Il viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich.

Due osservatori del mondo, in modi diversi. Per Rosi, che trascorre lunghi periodi lontano da casa per realizzare i suoi film, questo lavoro segna anche un momento di ritorno: una fase di passaggio tra la fine di una storia e l’inizio di un’altra, tra il congedo e la ripartenza. Il suo è un cinema che non si arresta, che prosegue nel tempo, e forse proprio per questo – divisivo o meno – offre agli spettatori un’esperienza irripetibile.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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