Disco Boy, un saggio lirico e melancolico. Intervista con Abbruzzese dalla Berlinale

In sala dal 9 marzo, è un warfilm atipico e politico, che saggia la traiettoria vitale di tre personaggi tra ripresa di riti antichi e coreografie ipercontemporanee. Un racconto vitalista dei conflitti ed ecocidi di oggi

Da America, girato col telefono, a Disco Boy c’è un bel salto, premiata anche la sceneggiatura al Festival Les Arc con ARTE TV. Disco Boy ha una narrazione mistica e travolgente, “giovane e antica”. Aleksei (Franz Rogowski), bielorusso in fuga dal suo passato, raggiunge Parigi e si arruola nella Legione Straniera francese per ottenere il passaporto della Republiqué. Nel delta del Niger, Jomo (Morr Ndiaye), giovane rivoluzionario, si batte contro le compagnie petrolifere che hanno devastato il suo villaggio assieme al MEND, movimento di emancipazione del Delta del Niger (noto anche per i rapimenti degli italiani Francesco Arena, Cosma Russo, Bernalda e Roberto Dieghi nel 2007). La sorella Udoka (Läetitia Ky) sogna di fuggire, consapevole che ormai tutto è perduto. I loro destini si intrecceranno, al di là dei confini, della vita e della morte, dando vita ad una narrazione vorticosa, che pulsa tra immagini potenti generando un magnetismo visivo paziente. Disco Boy riesce a portare uno stato di “grazia” e  far penetrare tematiche pesanti (neocolonialismo, sofferenza, ecocidio) mentre incrocia e meticciare la diegesi colmando di estetica la tragedia umana di chi è nato tra “I dannati della Terra” (Fanon, Einaudi, 2007). Le vicende di che sa di essere ai “margini” ma che ardentemente vuole ancora “danzare”, liberandosi. Ecco la conversazione con il regista Giacomo Abbruzzese, unico italiano in concorso alla Berlinale e unico regista ad aver portato un’opera prima.

2 Alexei (Franz Rogowski) in Disco Boy, Giacomo Abbruzzese

Alexei (Franz Rogowski) in Disco Boy, Giacomo Abbruzzese

L’INTERVISTA A GIACOMO ABBRUZZESE, REGISTA DI DISCO BOY

Come ti senti ad essere qui a Berlino con questo contributo dopo dieci anni di durissimo lavoro? Un’odissea visto che si parla di mitologia…Esausto da questi giorni berlinesi. Il film ha avuto una buona accoglienza, molte interviste, tutte cose molto belle; ma la concentrazione di cose belle a volte può essere decisamente sfiancante. Fare otto ore di interviste e poi reggere la prima del tuo film davanti a duemila persone… dopo 10 anni di lavoro è veramente un’emozione grande…ma sei così sfinito che non sai se riesci veramente a viverla, sei come in trance.

Disco Boy narra il dramma dell’emigrazione dall’Est verso la Francia, è il dramma del saccheggio francese (e occidentale, in generale e anche italiano) nel Delta del Niger attraverso tre sguardi. È un film politico? Sicuramente, ma nel senso più ampio del termine; non mi interessa fare un film politico e poi essere semplicemente legato a un tema, un soggetto o fare un film politico per rassicurare la gente che la pensa come me. Non voglio “caresser dans le sens du poil” lo spettatore, desidero piuttosto farlo contropelo.

Rischi che il gatto si rigiri?
E’ un rischio che va corso perché alla fine non bisogna dare allo spettatore sempre ciò che si aspetta dal film. In questa tensione e gioco di sguardi c’è qualcosa di vivo ed è qualcosa di intellettualmente più stimolante. Anche politicamente a me interessa di più porre degli interrogativi e avere un approccio più iconoclasta.

DISCO BOY, UN FILM IMPEGNATO E UMANO

È un film “engagé”  se vuoi, ma è anche la storia interiore ed emotiva di tre umani unici. Aver scelto Vitalic, il sound design è più che un accompagnamento. Hai seguito personalmente i tuoi tecnici?
L’idea di Vitalic mi ha accompagnato sin dall’inizio del progetto, il progetto Disco Boy è durato dieci anni e nel frattempo ho girato documentari e cortometraggi di finzione più o meno complicati; però Disco Boy pareva fosse un progetto impossibile nel panorama attuale…anche i miei cortometraggi in Italia dicevano fossero impossibili…

Hai mai lavorato nel Delta del Niger? 
No, io non sono stato in Nigeria e nella Regione del Delta del Niger. Quando sono i tuoi stessi consulenti nigeriani a sconsigliarti meglio ascoltare. Avrei potuto visitare Lagos, ma in realtà è un altro mondo. Quindi purtroppo non sono stato in Nigeria ed è una cosa molto diversa rispetto ai miei lavori precedenti girati in Palestina, Israele, a Taranto…

Hai però diretto anche una scuola in Palestina…
Sì, ho lavorato alla televisione pubblica e ho insegnato sceneggiatura nel 2008-2009. Ed è stata un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Penso che Disco Boy non sarebbe un film così se non avessi vissuto due anni lì. Per la prima volta mi sono confrontato con il non sapere nulla dell’Altro; del sapere davvero molto poco dell’altro o di conoscere solo una narrazione alla quale io appartengo inevitabilmente, che è quella dei vincitori, ma c’è la narrazione dei vinti.

I momenti di lotta, molto maschili – che si legano ad una ritualità antica -, sono “testosteronici” girati però in termocamera quasi “ingentilendo” l’approccio corporale dei “bruti”; conferendo loro “grazia”?
La scena di lotta era fin dall’inizio prevista come un girato “non normale”. Non avrebbe potuto funzionare Alexej vestito da legionario, Jomo a torso nudo fare ‘sta lotta nell’acqua… Da un lato detesto l’ultra violenza – il mio film non è Rambo – soprattutto oggi dove c’è una pornografia della violenza in tv e social media. Questa soluzione dai colori bluastri e rossastri mi permetteva di creare un’astrazione senza depotenziare la diegesi. Attraverso il suono per esempio senti i colpi del coltello, il suo fruscio, è spaventoso. Ho quindi lentamente virato il film da qualcosa di più “naturalistico” a qualcosa di più “psichedelico”. I colori della camera termica nella discoteca appaiono nelle scene finali, di “rivoluzione corporea” con la danza di Udoka (Läetitia Ky). Credo ne scaturisca una sorta di vortice che insieme alla danza è un po’ il cuore del film.

E il cast? intuito immediato o lento lavorio e lunghi provini?
E’ stato un processo molto lungo a parte quella di Franz Rogowski, in lui sentì subito una profondità… e poi questo volto, questo corpo estremamente particolare. Ti fa immaginare tutto un passato che non è raccontato nel film. La metamorfosi del suo corpo, ci abbiamo lavorato nei dettagli, che arriva agli spettatori. Il suo corpo lo puoi “scolpire”.
Ho passato davvero due anni a fare casting. Nel caso di Udoka (Läetitia Ky), l’abbiamo cercata a Londra, Roma, Parigi, Nigeria; l’abbiamo cercata ovunque e non trovavo una persona che potesse interpretare questa duplicità: da un lato credibile in questo villaggio e dall’altro essere iconica in discoteca… ma l’abbiamo trovata, fu un’intuizione della mia produttrice francese Paulin Segolen. Le proposi dei casting a distanza e lei fu molto professionale, e vidi la sua capacità di adattarsi. Così poi ci siamo visti per altri due casting a Roma e a Parigi…è stata un’evidenza.

Udoka, sembra essere la più “sana” di mente. Quando, in un momento di tranquillità malinconica tra sorella e fratello afferma: “Io me ne voglio andare da qui Jomo”,  sembra che la figura femminile sia la più equilibrata…quella che cerca un miglioramento oltre la violenza, oltre la cocciutaggine, oltre l’ostinazione dei corpi che si debbono avvinghiare nel sangue della lotta.
Sì, e secondo me è insolito. Se ragioniamo con visioni stereotipate poteva essere che il maschio emigra e la donna resta al “focolare domestico”. Invece i miei personaggi non sono catalogati né catalogabili. Un personaggio sa che tutto è perduto e vuole andare via, l’altro invece prova a sistemare le cose con il MEND. Ma io in realtà sono con entrambi come sono anche con Alexej. Non ci sono personaggi buoni o cattivi, ma umani con il desiderio di migliorare la loro condizione.

Udoka (Läetitia Ky) in Disco Boy, Giacomo Abbruzzese

Udoka (Läetitia Ky) in Disco Boy, Giacomo Abbruzzese

IL FUTURO DEL CINEMA SECONDO GIACOMO ABBRUZZESE

Passando ad una questione in questi anni attuale, il mondo “piattaforma” si sta mangiando pezzi del cinema d’autore? Cosa ne pensi?
Certo e non è solo la questione finanziamenti, anche trovare un tecnico libero con un minimo di esperienza: fanno tutti le serie e le serie li bloccano per molto tempo e non vengono a fare il cinema più impegnato. C’è un over production prodotti magari dimenticabili. E facciamo il nostro lavoro con enorme fatica; io non mi sono divertito un giorno durante le riprese di Disco Boy…

Qual è il film dove ti sei divertito di più?
Forse America , This is the way, i film dove ero solo a fare il film col telefono; hai meno stress, meno pressioni; dipende tutto da te stesso e sei più libero. Ovviamente non puoi fare tutti i film così… Fireworks, per esempio, è stato un film molto duro, però mi sono molto divertito. L’attrice principale non aveva difficoltà ad aiutare, preparare le camere, sollevare valige. C’era una solidarietà reciproca insomma. Eravamo come un commando. Non c’era questa ultra specializzazione dove ognuno sa fare una cosa specifica e come chiedi ad un elettricista un’altra cosa c’è il panico. E’ un peccato questo, secondo me questo aspetto di comunità andrebbe difeso, è forse la peculiarità nostra dell’Europa…del nostro modo di fare arte.

G. Olmo Stuppia

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g. olmo stuppia

g. olmo stuppia

g. olmo stuppia (Milano, 1991) è artista contemporaneo, autore e speaker radio. Nel 2017 fonda Cassata Drone Expanded Archive a Palermo. Vive in Italia e in Francia.

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