Sulla piattaforma MUBI i lungometraggi delle artiste Martine Syms e Amalia Ulman

Syms e Ulman, due artiste che con le loro opere testano i limiti e le potenzialità dei nuovi media, sono ora sulla piattaforma di streaming con i loro primi lungometraggi

Non è la prima volta che la piattaforma di streaming MUBI si dedica alla presentazione di video d’arte. Infatti la piattaforma dedicata al cinema d’autore e fondata dall’imprenditore turco Efe Çakarel si è prestata in più occasioni ad essere un canale attraverso cui poter accedere a opere di artisti come Hito Steyerl, Matthew Barney, Ryan Trecartin e Lizzie Fitch, Lawrence Abu Hamdan, Mark Leckey e Bahar Noorizadeh. Diventata in poco tempo un punto di riferimento per chi dedica al cinema d’autore la propria professione o il proprio tempo libero, MUBI si differenzia da altri servizi online per una linea editoriale ricercata, ma anche permeabile all’inclusione di blockbuster dimenticati e B movie, e per la capacità di coprire oltre un secolo di immagini in movimento. All’interno di questo panorama audiovisivo a disposizione dell’utente provvisto di abbonamento sono state incluse da qualche tempo due artiste abituate a integrare Internet e la tecnologia nelle loro pratiche: Martine Syms (Los Angeles, 1988) e Amalia Ulman (Buenos Aires, 1989), presenti entrambe con il loro primo lungometraggio.

Amalia Ulman, El Planeta, 2021, © 2020 EL PLANETA LLC

Amalia Ulman, El Planeta, 2021, © 2020 EL PLANETA LLC

IL LUNGOMETRAGGIO DI MARTINE SYMS SU MUBI

The African Desperate (2022), Il film di Syms, è proposto insieme ad altri due video – Soliloquy (2021) e She Mad: Bitch Zone (2020) – in un trittico interamente dedicato all’artista autrice di The Mundane Afrofuturist Manifesto. Un’esilarante Diamond Stingily interpreta il ruolo di Palace, la protagonista di una rappresentazione autobiografica delle prime 24 ore di Syms come “Master of Fine Arts”. Il tono è quello di una coming-of-age comedy, tra viaggi lisergici e stati di coscienza alterati, dj set improvvisati e “fuck boys”, ma quello che The African Desperate riesce a fare è mettere in scena gli stereotipi mimetizzandosi a sua volta in una rappresentazione cliché. I giudizi espressi da chi dovrebbe avere il ruolo di mentore sono evidenti parodie di un sistema dell’arte caratterizzato da una contraddizione strutturale – e irrisolta – tra esclusività e inclusività, ma lo sono anche gli atteggiamenti delle compagne e dei compagni di corso, così come il sarcasmo su cui è costruito l’intero registro linguistico della protagonista, che infatti confessa: “It’s like I’m compulsively drawn to that which disgust me in myself”.

IL LUNGOMETRAGGIO DI AMALIA ULMAN SU MUBI

Un diverso approccio alla propria storia personale è invece quello scelto da Ulman in El Planeta (2022). L’artista, che ha abituato il suo pubblico a fare attenzione ai meccanismi della finzione, cambia strategia e attinge con onestà e disincanto alla sua condizione di immigrata argentina in Spagna e di donna affetta da autismo, oltre che ai ricordi degli strampalati personaggi che popolavano il piccolo paese in cui ha trascorso la giovinezza. Nel film madre e figlia, Maria e Leo, desiderano uno stile di vita che non si possono permettere, sono complici, ma il loro rapporto è compromesso da una povertà alla quale non si vogliono abituare. El Planeta è scritto per fare ridere e ci riesce. Le due protagoniste sono a rischio di sfratto, bugiarde, affamate e superstiziose, ma vengono interpretate con dolcezza e malizia dalla stessa Ulman e da sua madre mentre cercano una via di uscita prostituendosi, indebitandosi o sognando la prigione.
Palace e Leo, un’artista disillusa e una stylist svogliata, sono le rappresentanti di umanità lontane per condizioni sociali ma affini nel sentimento verso il mondo, entrambe nate da un fortunato incontro tra ironia, empatia e scrittura. In Soliloquy un avatar creato da Syms si rivolge ad un’intera generazione accusandola di “reduce imagination to a fundamental realism, a realism unconcerned with style”, ma con El Planeta e The African Desperate lo stile sembra essere stato impugnato dalle rispettive creatrici come un’arma, o come un’ancora di salvezza.

Leonardo Caldana

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati