Il cinema dei piagnoni. L’editoriale di Fabio Severino
L’economista della cultura Fabio Severino affronta le lamentele che si levano dalle associazioni di categoria legate al cinema. Nonostante la buona salute del settore.
Il cinema gode di buona salute. Lo attestano i dati presentati ad aprile con una ricerca congiunta Confindustria e Anica (sindacato di categoria produttori e distributori audiovisivi). Numerosità imprese, occupazione, distribuzione, pubblico: il cinema si dimostra un comparto vivace e fertile.
Del resto, come potrebbe essere diversamente? Cercando di guardare il nostro periodo storico con distanza, come se si potesse attivare uno zoom out, quale periodo più florido vi potrebbe essere di questo? La multimedialità sta diventando totale: usabilità e accessibilità sono quasi al massimo delle possibilità. Il prossimo stadio sarà la totalità della popolazione nativa digitale. Ma a quel punto ci saranno dei flessi, segmenti di maturazione nel mercato, inizieranno a essere discernenti più le cose fatte bene che il solo fatto di esserci.
Quindi, nonostante l’attuale enorme potenzialità del periodo storico per coloro che producono contenuti audiovisivi, forse irreplicabile per facilità di business in relazione alle possibilità di raggiungimento del pubblico, che fanno le loro associazioni di categoria? Si lamentano. In questo Paese di piagnoni al cui peggio non c’è mai fine, dove raschiare il fondo è sport nazionale, nel compiacimento di trovare un fondo ancora più fondo e vergognoso, che invece di guardarsi intorno e capire come e perché sta cambiando il mondo, guardarsi dentro per capirsi e migliorarsi, guardano a mamma’ – lo Stato – per un ulteriore aiutino.
LE REGOLE DEL GIOCO
Il cinema è un business. L’unico aiuto che dovrebbe dare la collettività è: formazione professionale, contributi alle produzioni (e conseguenti distribuzioni) oggettivamente sperimentali nei contenuti e nelle forme e quindi con un insostenibile rischio d’impresa, formazione del pubblico. Tutto il resto sono regole del gioco. E il cinema è un gioco di investimenti (lavoro e capitali) e conseguente potenziale remunerazione esponenziale.
Chiedere di essere tenuti per mano, sempre, comunque e chiunque, oltre che improprio, porta a un altro danno: distrae dai problemi veri. Sono nati nuovi prodotti (le serie) nei formati, nei linguaggi ecc. Sono nati nuovi player, i distributori digitali B2C. Ci si concentri a capire bene le regole del gioco nella nuova filiera produttiva. Ci si dedichi a capire i gusti del pubblico, la domanda, la cui base sta raggiungendo la totalità della popolazione – lo smartphone da qui a poco lo avranno tutti, le connessioni per velocità e diffusione ormai sono quasi ineccepibili. Dovrebbe dare euforia una tale contingenza di opportunità. Il cinema, o ancor meglio il prodotto audiovisivo, è una prateria. Si sciolgano i cavalli al galoppo.
‒ Fabio Severino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #49
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