Loach, Almondovar, Elton John e Refn. Come sta andando a Cannes 2019
Il sistema lavorativo, i fantasmi opprimenti del passato, il brutto anatroccolo che diventa all’improvviso una star e una serie thriller d’autore. La prima settimana del Festival di Cannes presenta grandi e bei film.
Sulla carta sembrava essere un festival molto pop e dopo una settimana possiamo confermarlo. La 72esima edizione del Festival di Cannes è decisamente in forma smagliante: bei film, grandi temi, idee cinematografiche d’autore ma godibili da tutti. Nella prima parte sono passati in rassegna i film di Ken Loach, Pedro Almodovar, Nicolas Winding Refn e il biopic su Elton John. Nella seconda parte sono attesi Terence Malick, i fratelli Dardenne, Quentin Tarantino, Xavier Dolan e Marco Bellocchio. Una panoramica sui quattro titoli più importanti della prima settimana di festival.
SORRY WE MISSED YOU
“Non si tratta più dello sfruttamento da parte dei padroni, ma di quello che infliggiamo a noi stessi, dell’auto-sfruttamento che porta a una schiavitù autoindotta: lavorare di 14/15 ore al giorno per racimolare denaro appena sufficiente a sopravvivere”. Ogni volta che Ken Loach propone un nuovo film è sempre una gioia. I suoi temi sono sempre forti, crudi, cupi. Sono argomenti familiari. Il regista due volte Palma d’oro, nel 2006 per Il vento che accarezza l’erba e nel 2016 con I, Daniel Blake, con Sorry We Missed You mette sotto i riflettori del grande cinema il tema del lavoro. Il suo protagonista lo perde infatti. È un uomo e deve pensare alla famiglia. Ricky, Abby e i loro due figli, vivono a Newcastle e sono una famiglia unita. Ricky ha avuto una carriera variegata, mentre Abby fa assistenza domiciliare a persone anziane e disabili. Nonostante lavorino duro entrambi si rendono conto che non potranno mai avere una casa di loro proprietà. Giunge allora quella che Ricky vede come l’occasione per realizzare i sogni familiari. Se Abby vende la sua auto sarà possibile acquistare un furgone che permetta a lui di diventare un trasportatore freelance con un sensibile incremento nei guadagni. Non è un film di speranza, è un film che annienta ogni pensiero positivo, che in modo diretto mostra una nuova schiavitù, quella contemporanea, dovuta alla forte crisi lavorativa.
ROCKETMAN
Rocketman, il biopic su Elton John prodotto da lui stesso, interpretato da un notevole Taron Egerton, è un’operazione geniale, in particolare dal punto di vista commerciale. In Italia lo vedremo in sala con 20th Century Fox a fine mese. Rocketman, presentato Fuori Concorso, racconta l’incredibile storia del percorso di trasformazione del cantautore da timido pianista prodigio Reginald Dwight a superstar internazionale. A Cannes sono tutti impazziti per il film, per l’interpretazione di Egerton e per Elton John giunto sul red carpet con occhiali da sole con vetro rosa e a forma di cuore. Rocketman è un lavoro spettacolare che ha una storia reale che si presta perfettamente alla finzione, un film che va ben oltre il genere biopic e si mescola bene alla musica: le canzoni infatti intervengono nella narrazione e nei dialoghi, e sono regolarmente coreografate. Il personaggio che vediamo sullo schermo ha tutte le debolezze e i difetti della grande star. È drogato, alcolista, sessuomane, shopaholic, bulimico. Elton John, presente alla premiere ma non alla conferenza stampa, è stato protagonista di una festa in spiaggia alla quale non si è sottratto né risparmiato al pianoforte. In questa occasione, riferendosi all’attore che ne ha vestito i panni, ha detto: “quando guardo il film, non vedo un attore. Vedo me stesso. E questo è un fatto straordinario per un attore. Taron ha dato il massimo per questa performance”.
DOLOR Y GLORIA
Pedro Almodovar è il pupillo della prima settimana del Festival di Cannes 2019 (e in molti sperano resti così fino alla fine). Il regista spagnolo ha preso i fantasmi del suo passato, quelli del bambino e quelli del regista, e ha raccontato al pubblico qualcosa di profondamente suo, intimo. Dolor y Gloria è un racconto personale sia per la storia sia per i luoghi, i colori, gli atteggiamenti. Antonio Banderas, che veste i panni di Salvador – il protagonista –, è in parte l’alter ego di Almodovar che sul suo rapporto con il regista racconta: “Il nostro rapporto è cambiato molto da quando abbiamo girato La pelle che abito. In quel film ho commesso alcuni errori. Alle prove sono arrivato con un Banderas che a lui non interessava. Ero lì così orgoglioso dopo 22 anni in cui mi ero impegnato a costruire il profilo di un attore diverso, così sicuro di se e che interpretava personaggi con tanta sicurezza. E lui mi disse ‘no, dobbiamo cercare il Banderas vero’. Quando ho visto il film ho dovuto fare un esercizio di umiltà perché Pedro era riuscito a tirare fuori un personaggio che non pensavo fosse dentro di me. È stata una grande lezione. Quando sono arrivato sul set di questo film avevo già appreso il suo insegnamento, mi sono presentato come un soldato, desideroso di ascoltare e capire cosa aveva in mente. In poche parole, io e Pedro insieme abbiamo dovuto uccidere Banderas”. Dolor y Gloria è al cinema nelle sale italiane dal 17 maggio distribuito da Warner Bros.
TOO OLD TO DIE YOUNG – NORTH OF HOLLYWOOD, WEST OF HELL
Refn, regista molto amato a Cannes, presenta la sua prima serie televisiva che vedremo presto su Amazon. Fa una scelta particolare: mostrare alla stampa e agli spettatori del festival le puntate 4 e 5, una cosa molto bizzarra nell’era del “no spoiler”. Questo perché dovrebbe essere una serie antologica con ogni puntata fine a se stessa se pur legata l’una all’altra. In tutto 10 episodi da 90 minuti ciascuno in cui l’impronta registica di Refn, il suo stile visionario e visivo non mancano neanche per un secondo. A Refn non va per nulla a genio che Too old to die young – north of hollywood, west of hell sia definito “serie tv” e in conferenza sottolinea: “questo è un film! È un film di 13 ore. Non è la TV! La TV sono cose come come reality show e canali di notizie. Questo è il futuro, che è in streaming”. È la storia di un sicario che si muove come giustiziere in una Los Angels infernale, quasi apocalittica distante da quella città hollywoodiana che conosciamo cinematograficamente sin troppo bene.
A HIDDEN LIFE
A Hidden Life, la storia di un contadino che si è ribellato al nazismo. È un ritratto meraviglioso che propone Terrence Malick, il suo miglior film degli ultimi tempi. Il regista ha girato la storia di Franz Jägerstätter nel 2016 ma il montaggio ha richiesto 3 anni di lavorazione con il risultato di un’ opera etica ed estetica eccezionale, in cui la natura si fa simbolo e scenario perfetto. Un film destinato a restare nel tempo, entrando di diritto tra i migliori film di sempre e magari vincere la Palma d’oro. Il contadino austriaco Franz Jägerstätter durante la II Guerra Mondiale si rifiutò di giurare fedeltà a Hitler. “Il suo NO rappresentò una forma di resistenza silenziosa ma assoluta” dichiara il protagonista, il popolare e talentuoso attore tedesco August Diehl già visto in Bastardi senza gloria di Tarantino. E aggiunge: “Non fu infatti un attivista, si limitò con sapiente semplicità e dichiarare il suo rifiuto di collaborare in qualunque modo con le aberrazioni perpetrate da Hitler”. A hidden life è un film storico, giusto, di grande coraggio e di inno alla libertà di parole e pensiero. Un film molto contemporaneo e accolto benissimo qui a Cannes.
–Margherita Bordino
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati