Cinema e arte. Reportage da Lo schermo dell’arte Film Festival di Firenze

Nomi, titoli e riflessioni attorno al decimo appuntamento con Lo schermo dell’arte Film Festival, la rassegna fiorentina che innesca un dialogo fra il cinema e gli altri linguaggi visivi.

Si è conclusa domenica 19 novembre a Firenze la X edizione de Lo schermo dell’arte Film Festival, dopo cinque giorni di premiere italiane e mondiali, film d’artista, documentari, due progetti di formazione (Feature Expanded e VISIO), cinque premi per artisti, oltre 70 ospiti internazionali e la produzione della mostra Directing the Real. Artists’ Film and Video in the 2010s curata da Leonardo Bigazzi.
Un appuntamento, per gli addetti ai lavori del mondo dell’arte contemporanea in dialogo con il cinema e l’audiovisivo, che si è confermato di qualità, frutto di uno studio attento e costante della produzione mondiale di moving images realizzate da artisti e sugli artisti. La qualità premia sempre, non solo il pubblico, ma anche e soprattutto coloro che un festival lo pensano e lo organizzano, in primis la direttrice artistica Silvia Lucchesi che si è detta soddisfatta di questa importante edizione che ha registrato oltre 6.500 presenze. “Siamo tutti molto contenti. Abbiamo lavorato tantissimo, volevamo celebrare questi dieci anni in una maniera degna. La prima serata è stata veramente straordinaria con il set di Hassan Khan e la prima italiana del capolavoro di Abbas Kiarostami “24 Frames”, ma in generale tutto il festival è andato bene. Un’edizione che ha avuto anche un successo di pubblico, abbiamo fatto quasi sempre il soldout”.

LINGUAGGI

Nella sua continua ricerca delle molteplici interazioni tra cinema e arte contemporanea, Lo schermo dell’arte Film Festival quest’anno ha proposto un’ampia selezione di opere di artisti che sperimentano linguaggi diversi.
Con il Focus 2017, dedicato all’artista e musicista egiziano Hassan Khan, si sono esplorate le potenzialità del suono, della musica, del cellulare e del 35 mm, grazie a una presentazione della sua pratica artistica in cui suono, immagini e performance sono strettamente legati. In 24 Frames il regista iraniano Abbas Kiarostami ha creato un dialogo tra il suo lavoro di filmmaker e quello di fotografo, unendo in questa sua ultima opera i linguaggi artistici a cui ha dedicato la vita. L’artista italiana Rä di Martino nel suo film Controfigura ha giocato con il making of, la documentazione e la fiction, proponendo una sorta di remake del celebre film The Swimmer del 1968. Adrian Paci ha presentato il video Interregnum in cui, attraverso un assemblaggio di immagini estrapolate da film di funerali di dittatori comunisti presi da archivi, ha mostrato la rappresentazione del dolore in un flusso unico di emozioni e ritualità. Nel video The Dust Channel Roee Rosen utilizza il linguaggio dell’operetta lirica con libretto in russo per raccontare un ménage a tre fra una giovane coppia e il loro aspirapolvere, omaggiando l’opera surrealista Un Chien Andalou di Salvador Dalí e Luis Buñuel. Rosalind Nashashibi, con l’anteprima del suo Vivian’s Garden, mostra la quotidianità delle artiste svizzero-austriache Vivian Suter ed Elisabeth Wild, figlia e madre, che vivono insieme in Guatemala in una casa all’interno di un suggestivo giardino tropicale, grazie all’uso poetico di una macchina da presa 16 mm che cattura immagini ravvicinate e a tratti furtive, per renderle intime. Usa invece un linguaggio ironico Jeremy Deller in Bom Bom’s Dream, dove una ballerina giapponese conosciuta col nome di Bom Bom partecipa in Jamaica a un contest locale di musica dance. Il film si sviluppa tra assurde sequenze di danza e strani effetti speciali, in un’atmosfera surreale e con un’estetica e immaginario assolutamente pop.

Jeremy Deller e Cecilia Bengolea, Bom Bom’s Dream, 2016, still da film. Courtesy Lo Schermo dell’Arte

Jeremy Deller e Cecilia Bengolea, Bom Bom’s Dream, 2016, still da film. Courtesy Lo Schermo dell’Arte

DOCUMENTARI, CINEMA E TV

A Lo schermo dell’arte Film Festival gli artisti non sono solo soggetti che sperimentano linguaggi, ma anche oggetti di opere che li raccontano.
Con il linguaggio classico del documentario, in Beuys, realizzato con materiali di repertorio e vecchie interviste, Andres Veiel ha ricostruito la vita e la carriera di Joseph Beuys tra arte, insegnamento e politica. Così come il regista Gilad Baram nel film Koudelka Shooting Holy Land, seguendolo nel suo viaggio attraverso la terra santa, ha mostrato il modo di scattare di Josef Koudelka, celebre fotografo ceco della Magnum. In Art We Trust di Benoît Rossel si raccontano in maniera quasi ironica e senza filtri le dinamiche del mondo dell’arte attraverso gli artisti contemporanei Lawrence Weiner, John Armleder e Liam Gillick. In questi casi sono le storie e i protagonisti a prevalere sui linguaggi di ricerca.
Un vero film per il cinema è Looking for Oum Kulthum dell’artista Shirin Neshat che, con il pretesto di ricordare la cantante-icona Oum Kulthum, torna a riflettere sulla condizione delle donne, soprattutto in relazione alla carriera e al successo. L’artista ha dichiarato di aver voluto utilizzare il linguaggio cinematografico per raggiungere un pubblico più ampio e diverso da quello dell’arte contemporanea.
Spazio anche alla TV, con la presentazione in anteprima mondiale delle due puntate della serie Live Art di ARTE TV, Adrian Villar Rojas in Istanbul e Philippe Parreno, le temps de l’espace. La serie, nata da un’idea di Hans Ulrich Obrist, comprende otto film realizzati dal regista Heinz Peter Schwerfel su artisti che hanno rinnovato il linguaggio dell’arte contemporanea. Alcuni sono monografie, altri raccontano mostre collettive e arti performative, con lo scopo di mostrare anche come si dà vita a una mostra. Un altro degli obiettivi della serie TV era quello di creare una sorta di archivio, una documentazione di mostre e opere site specific, e quindi non permanenti nel tempo, come il lavoro di Villar Rojas che realizza sculture per le quali impiega materiali organici e inorganici che si deteriorano, si decompongono e muoiono. Con registri diversi ma tipici della televisione (ritmo, parlato, timelapse, movimenti di camera), le due puntate presentate al festival mostrano i lavori temporanei dei due artisti Villar Rojas e Philippe Parreno. La loro messa in onda, prevista per l’inizio del 2018, però non è stata ancora confermata perché il canale televisivo ha ritenuto il loro contenuto troppo complesso. Resta quindi aperta la diatriba fra la TV e l’arte contemporanea, che ancora oggi non sembrano aver trovato un modo di dialogare per rendere l’arte accessibile a tutti attraverso un linguaggio non necessariamente scontato e didascalico.

I TEMI

Tra i temi ricorrenti nelle opere e nei film selezionati a Lo schermo dell’arte Film Festival ci sono l’attualità, i conflitti sociali e politici, la libertà di espressione, l’emigrazione e la riflessione sull’utilità sociale dell’arte. Ma anche il rapporto dell’uomo con la natura e con il proprio corpo, come nel cortometraggio Il giardino delle erbacce (prima mondiale al festival) del coreografo Virgilio Sieni, in cui appare un’umanità che riflette sulla natura. E poi la ricerca del sé, come in Pre-Image (Blind as the MotherTongue) di Hiwa K, in cui l’artista curdo iracheno, con uno strano palo tenuto in equilibrio sul naso con attaccati alcuni specchi, ripercorre a piedi il tragitto dalla Turchia alla Grecia fino a Roma, che fece quando fu costretto a fuggire dalla sua terra.

Hiwa K, Pre Image (Blind as the Mother Tongue), 2017, still da film. Courtesy Lo Schermo dell’Arte

Hiwa K, Pre Image (Blind as the Mother Tongue), 2017, still da film. Courtesy Lo Schermo dell’Arte

IL FUTURO

Lo schermo dell’arte Film Festival è un’iniziativa che in questi anni ha portato a Firenze oltre 280 artisti e coinvolto più di 50 istituzioni di tutto il mondo in un programma che si sviluppa l’intero anno con anteprime, eventi speciali e di formazione e trova la sua massima visibilità nel festival di novembre. “Lo scouting di ricerca non può smettere per un progetto come il nostro”, ha sottolineato Silvia Lucchesi, “ma insieme a questo c’è un impegno ad allargare la rete di relazioni perché solo attraverso le collaborazioni con altre istituzioni e con progetti simili al nostro ci si scambiano idee, si può crescere e far nascere variazioni progettuali. In futuro vedo Lo schermo dell’arte proiettato nella produzione e distribuzione, per lavorare sempre a cavallo dei linguaggi dell’arte e del cinema che appartengono alla visione e continuare con progetti di produzione, non solo di film. A proposito di distribuzione, quest’anno per la prima volta il festival ha sperimentato Moving Archive, un nuovo modello di distribuzione alternativo alla sala cinematografica: la possibilità di fruire di cinque documentari difficilmente accessibili su tablet, computer, salette proiezioni e monitor in biblioteche e istituzioni di nove comuni della Città Metropolitana di Firenze. “Il progetto è nato con un duplice obiettivo, da una parte utilizzare i materiali dei nostri archivi che ormai sono tanti, interessanti e sottotitolati in italiano, e dall’altra cercare di avvicinare altri pubblici del mondo della cultura. Chi va in biblioteca o in un posto come Le Murate è una persona che tendenzialmente dovrebbe essere interessata e incuriosita a vedere i nostri materiali”, ha concluso Lucchesi. Lo schermo dell’arte si riconferma quindi un festival di ricerca, non solo per quanto riguarda l’approfondimento delle nuove forme espressive dell’arte contemporanea legate al cinema, ma anche per la produzione e la distribuzione, in quanto riflette e agisce sull’intera catena produttiva del cinema d’arte e dell’audiovisivo.

Lorenza Fruci

www.schermodellarte.org

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