Hell on Wheels

Prendi il sempiterno amore degli americani per il mito della frontiera, atavico attaccamento alle radici più profonde concesse dalla loro giovane Storia. Mettici personaggi costruiti splendidamente, un intreccio che sa annodare filoni paralleli mai banali, interpreti di profondo carisma e quel gusto mai sopito per l’eroe che si fa giustizia da solo: avrai il successo di Hell on wheels, l’inferno su ruote che da due stagioni trascina l’America nel crudo e irrisolto confronto con il proprio torbido passato.

Thomas Durant, speculatore con infinito pelo sullo stomaco e capacità affabulatorie degne di un seggio in Senato, persegue con disinvolto ricorso all’illecito il sogno di battere la concorrenza e realizzare la First Transcontinental Railroad. Il cantiere della prima ferrovia coast to coast diventa una suburra viaggiante, città del vizio e della desolazione morale; un carrozzone variopinto di miserie umane accompagna, chilometro dopo chilometro, la posa dei binari: l’accampamento dove alloggiano gli operai è, in piccolo, allegoria della società del tempo. Tra saloon e prostitute, conflitti razziali, tensioni con i pellerossa e l’ammorbante cieca devozione a una chiesa settaria e dai toni millenaristici: il caravanserraglio è decisamente ben assortito, con gli eroi a macchiarsi di nefandezze intollerabili.
A dominare, su tutto e tutti, la sete di giustizia di Cullen Bohannon: reduce confederato a caccia dei bruti unionisti che hanno massacrato la sua famiglia. Avete presente la mission di Russell Crowe ne Il Gladiatore? Siamo lì. In effetti Hell on wheels sa fare incetta di situazioni già viste: si passa dal deviato senso dell’etica e dell’onore di un Gangs of New York alle umide atmosfere senza speranza di The Road; il personaggio di Bohannon, ben cucito addosso a un laconico Anson Mount, è versione beona ed estremizzata del Kevin Costner di Balla coi Lupi. Ma l’amalgama funziona, il ritmo è alto, la ricostruzione storica eccezionalmente fedele. E la serie viaggia.

Hell on Wheels

Hell on Wheels

La prima stagione, lanciata in patria nell’autunno 2011, ha raccolto con l’episodio pilota una cifra prossima ai 4 milioni e mezzo di spettatori: dopo The Walking Dead, si tratta dell’esordio migliore di sempre per un prodotto AMC, risultato decisamente al di sopra i ogni più rosea aspettativa. Un successo difficile da mantenere su livelli così alti: con la seconda stagione si viaggia attorno ai due milioni e mezzo di spettatori a episodio; una contrazione che non ha indotto AMC a sospendere la serie, confermata invece per una terza stagione. Alla quale si affaccia però orfana dei suoi creatori: i fratelli Joe e Tony Gayton, ideatori del progetto, mollano la squadra.

Francesco Sala

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #12

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