Case, viaggi e fogli di giornale: l’Ettore Sottsass fotografo in mostra alla Triennale di Milano
Il celebre architetto e designer viveva fotografando il mondo con la sua Leica. 1.200 scatti realizzati tra il 1976 e il 2007 e oggi, esposti per la prima volta fianco a fianco, costruiscono una “Mise en scène”, una messa in scena vivida e spontanea nella quale pubblico e privato si intersecano
Le distese di sabbia dell’Arizona o dell’Algeria, gli atolli della Polinesia Francese, Kyoto, Delhi, Chennai, Palm Springs, Gerusalemme, Giava, Kuala Lumpur, Doha, l’Iran, lo Yemen, le rive del Mississippi, Antibes, Filicudi. Oliviero Toscani, Frank Gehry, Romeo Gigli, Fran Leibovitz, Helmut Newton, Stefano Casiraghi e Carolina di Monaco, Mick Jagger. Ci sono tantissimi luoghi e quasi altrettanti volti, noti e immediatamente riconoscibili oppure anonimi, fissati nell’espressione di un istante, nelle 1.200 fotografie in bianco e nero e a colori scattate da Ettore Sottsass (Innsbruck, 1917 – Milano, 2007) in giro per il mondo nell’arco di circa trent’anni e riunite in una mostra-tributo alla Triennale di Milano che rimarrà aperta fino al prossimo 15 febbraio.
Ettore Sottsass e Barbara Radice, un sodalizio in movimento
E poi c’è lei, Barbara Radice, compagna di Sottsass e presenza costante al suo fianco per oltre tre decenni, immortalata in una serie di pose quotidiane e momenti intimi. È proprio lei che ha custodito a lungo queste immagini inedite nel suo appartamento, e che a un certo punto ha deciso di imbarcarsi nell’impresa di stamparle tutte e di esporle fianco a fianco come un racconto in presa diretta dell’ultimo terzo della vita del suo uomo. Il filo conduttore non c’è, o meglio, sta proprio nel pigro srotolarsi della quotidianità e nel movimento di uno sguardo, allenato per mestiere e per vocazione a cogliere il bello nelle cose, tra un paesaggio naturale e una rovina archeologica. Non ci sono neppure gerarchie, nella disposizione delle fotografie semplicemente accostate le une alle altre sulle pareti del museo, e un momento di relax su un giaciglio improvvisato in aeroporto o la lettura di una rivista nella casa milanese della coppia convivono, sullo stesso piano, con una veduta di Rio de Janeiro dall’alto o con i mosaici azzurri della moschea di Isfahan.
Il Sottsass fotografo e viaggiatore, alla ricerca di senso nelle viscere del mondo
Nella sua lunga parabola esistenziale e professionale, Ettore Sottsass è stato tante cose: un designer tra i più famosi anche a livello internazionale, un membro di Alchimia e il padre nobile di Memphis, il movimento fondato nel 1981 e famoso per la sua estetica provocatoria, un architetto con parecchi progetti realizzati e altrettante, se non di più, utopie nascoste nel cassetto. È stato, anche, un grande viaggiatore, impegnato a cercare, come scrisse lui stesso in un testo poi raccolto nel volume Esercizi di viaggio (Nino Aragno Editore, 2000), “negli spazi vasti del pianeta e nelle sue innumerevoli storie l’ombra di se stesso, o la propria identità, o uno speciale nutrimento per la propria esistenza”, e un fotografo inseparabile dalla sua Leica M6 che portava dappertutto come un fumatore fa con il suo pacchetto di sigarette. Nello spostarsi da una città a un’isola, da un parco archeologico a un deserto, assorbiva le culture architettoniche di popoli lontani e notava simboli che poi si sarebbero ripresentati, trasfigurati, in un pattern o nelle linee di un vaso. Fotografava tutto, a qualsiasi ora e con qualunque condizione di luce, cercando di fissare sulla pellicola attimi, persone, sculture, edifici. Per un paio d’anni, tra il 2003 e il 2006, ha tenuto sulla rivista Domus diretta da Stefano Boeri una rubrica intitolata Foto dal finestrino nella quale le sue istantanee erano abbinate a brevi riflessioni sulla realtà e reportage.
Sottsass l’”anti-influencer”: documentare ogni attimo prima di Instagram
La mostra, curata da Barbara Radice con Micaela Sessa e con lo Studio Sottsass, con il quale la Triennale ha già avviato da alcuni anni un percorso di approfondimento della figura del suo fondatore che ha avuto come tappe principali la ricostruzione di Casa Lana e l’organizzazione di una serie di mostre tematiche, si intitola Ettore Sottsass. Mise en scene perché lui sosteneva che la vita somigliasse a una messa in scena, cioè alla rielaborazione di un canovaccio condita da una buona dose di improvvisazione. Ci riporta, però, a un clima, sia storico che estetico, ben diverso da quello attuale, dai social e dai feed patinati (e omologati) degli influencer viaggiatori. Innanzi tutto, ci troviamo in un mondo non ancora globalizzato, nel quale viaggiare è ancora un andare all’incontro dell’altro senza troppe informazioni preliminari, al netto delle letture, del sentito dire e della propria cultura personale, una ricerca che può sorprendere ed emozionare ma anche avere risvolti ruvidi e spigolosi. Nelle fotografie di Sottsass c’è un po’ tutto questo, per quanto filtrato da uno sguardo evidentemente “educato” e abituato a guardare: il caos, nel senso più nobile del termine, i letti sfatti in diversi angoli del mondo, i bicchieri riempiti solo a metà, i corpi che si modificano in funzione dell’età. In una parola, la vita, così com’era, senza finzioni e senza inganni.
Giulia Marani
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