Cina: 7 cose che abbiamo visto alla Shanghai Art Week 2025 

Dalle fiere alle gallerie, c’è pittura dappertutto a Shanghai durante l’Art Week 2025. Ma c’è anche molto altro, tra cui una Biennale di tutto rispetto e spazio anche per i progetti artist-run. Ci siamo stati e ve la raccontiamo

Tornare a Shanghai dopo aver visto (in mostra da Michela Rizzo a Venezia) le foto che Gabriele Basilico ha scattato qui nel 2010, ha tutto un altro sapore. I ritratti che Basilico ha fatto delle strade e dei tetti della metropoli cinese sono la testimonianza di una città che cambia, ma senza tradirsi: certo, negli ultimi 15 anni sono sorti innumerevoli nuovi grattacieli (e altrettanti sono tuttora in costruzione) ma, a differenza delle altre grandi città cinesi, Shanghai mantiene perfettamente in equilibrio una natura orientale e uno sguardo puntato a ovest – nelle sue manifestazioni più contemporanee, quanto in quelle più storiche. Un equilibrio che ha dimostrato anche nell’art week che l’ha animata dall’11 al 17 novembre. Tanti gli eventi, disseminati in tutta la città: dalla biennale alle fiere, dalle mostre in musei e gallerie a quelle organizzate in spazi meno convenzionali, come ex scuole primarie o ristoranti – e anche diverse feste, alcune più chic, altre più underground. Abbiamo selezionato alcuni highlights di questa settimana, che sembrano delineare una polarizzazione a cui non siamo di certo nuovi, ma che qui emerge con forza: la pittura domina quasi ovunque, e in particolar modo laddove la mano del mercato si fa sentire – fiere, rassegne istituzionali che sono evidentemente strategie di posizionamento commerciale, esposizioni in galleria; laddove invece l’approccio è di stampo fortemente curatoriale e/o indipendente, la pittura si riduce di molto, del tutto surclassata dalle installazioni e dai video. Si misura qui il termometro del mercato cinese: la pittura è il medium più semplice da vendere perché è anche quello più semplice da acquistare e da immagazzinare, in attesa di momenti più floridi – e molte voci interne al settore confermano quanto l’inclinazione dei collezionisti cinesi a spendere sia calata negli ultimi anni. Ciò, tuttavia, non significa che la pittura che viene esposta sia cattiva pittura, anzi: i pittori cinesi contemporanei stanno emergendo come pochi altri sulla scena globale, imponendosi con tele di grandi dimensioni, un uso innovativo dell’astrazione e tanta sensibilità all’estetica post-digitale. 

Allora & Calzadilla, Shanghai Biennale, 2025. Photo Alberto Villa
Allora & Calzadilla, Shanghai Biennale, 2025. Photo Alberto Villa

La 15esima Biennale di Shanghai 

Al momento della sua fondazione, nel 1996, quella di Shanghai era la prima biennale in Cina. Tre decenni dopo inaugura la 15esima edizione, intitolata Does the Flower Hear the Bee? e ospitata, come da tradizione dal 2012, alla Power Station of Art, ex centrale elettrica riconvertita in spazio espositivo di pregio. La rassegna, quest’anno curata per la prima volta da una donna (Kitty Scott), indaga in che modo l’arte contemporanea cinese, asiatica e globale affronta le domande del presente cercando le risposte nelle esperienze più che umane. Con oltre 250 opere di 67 artisti e collettivi, sono tanti i momenti che richiedono di soffermarsi e riflettere, a partire dalla grande installazione nell’atrio: il duo di base portoricana Allora & Calzadilla invade gli alti soffitti della Power Station of Art con tre nuvole di iperrealistici fiori gialli in plastica, con un riferimento diretto al titolo della Biennale. Anche l’artista cinese Chen Ruofan realizza una nuvola, stavolta di polvere accumulata su fili invisibili, in una delicatissima opera che – come la maggior parte dei suoi lavori – esplora i concetti di trasparenza e transitorietà. Interessanti anche le eclissi dell’indiana Rohini Devasher, realizzate trattando dei fogli di rame con particolari acidi. Tra gli altri artisti partecipanti alla Biennale troviamo i grandi nomi di Francis Alÿs, Theaster Gates e Rirkrit Tiravanija
 
Shanghai // fino al 31 marzo 2026 
15th Shanghai Biennale: Does the Flower Hear the Bee? 
POWER STATION OF ART 

ART021, Shanghai, 2025. Photo Alberto Villa
ART021, Shanghai, 2025. Photo Alberto Villa

Le fiere: West Bund Art & Design e ART021 

Sono tante le differenze tra le due fiere maggiori di Shanghai, a partire dalle loro sedi. Se West Bund Art & Design è suddivisa in diversi e modernissimi centri espositivi, con stand ariosi e poche distanze dalle grandi fiere occidentali, ART021 si visita tutta in un’unica sede, decisamente caratterizzata: lo Shanghai Exhibition Center è un edificio a dir poco eclettico, dall’architettura fortemente influenzata dal neoclassicismo sovietico Anni Cinquanta. Non si può parlare di fiera maggiore e fiera minore, dato che entrambe ospitano gallerie di rilievo internazionale. A West Bund, Hauser & Wirth con alcuni disegni e una piccola scultura di Louise Bourgeoise; le italiane MASSIMODECARLO e Galleria Continua con una selezione dei loro pezzi forti (rispettivamente Cattelan, Paladino, Salvo, Yan Pei Ming e Kapoor, Le Parc, Cecchini, Pistoletto); curiosa la doppia presenza di Georg Baselitz, nei booth adiacenti di White Cube e Thaddaeus Ropac (che proprio con Baselitz ha inaugurato la sua sede milanese); la vera chicca della fiera, sempre da Ropac, sono le fotografie di Rauschenberg realizzate in Cina, tra gli Anni Ottanta e Novanta; pochi gli allestimenti audaci, ma tra questi è senz’altro da segnalare quello di Ota Fine Arts con un solo show del cinese Chen Wei, spiccando (in una fiera del tutto white cube) con un booth interamente ricoperto di piastrelle.  
Menzione d’onore a xiàn chǎng, la sezione curata di West Bund, che abbandonando il format dei booth realizza una esposizione con 40 artisti invitati a presentare opere di grande formato. 
Più caotica, ma anche più frizzante, ART021 ospita – oltre a grandi gallerie locali (ShangART, Tang) e internazionali (David Zwirner, Lisson, Almine Rech) – anche meno istituzionali. Questo vuol dire che se da un lato troviamo proposte di grande interesse (come il collettivo di gallerie indonesiane emergenti Young Galleries Organization by MTN, che si presenta con un progetto curatoriale coordinato), dall’altro è anche meno difficile riscontrare attitudini fin troppo commerciali. Vincente la scelta della galleria ROH di Jakarta, che per la sua prima partecipazione alla fiera cinese scommette sulle opere di Maria Tanicughi: un booth semplice, pulito e per questo di grande impatto nel grande marasma di ART021. 

Yang Bodu. Black Eagle, White Eagle. Installation view at Long Museum, Shanghai, 2025
Yang Bodu. Black Eagle, White Eagle. Installation view at Long Museum, Shanghai, 2025

La mostra di Yang Bodu al Long Museum 

Dopo averla vista anche nel booth di MASSIMODECARLO, la ritroviamo in una ineccepibile mostra al Long Museum: Yang Bodu (Tianjin, 1986) è una delle pittrici cinesi più in vista del momento, e la sua mostra personale Black Eagle, White Eagle spiega il perché. I suoi dipinti sono apparizioni desertiche di un futuro che sembra già alle nostre spalle da secoli. Protagonisti sono il vuoto, le rovine, i forti contrasti, gli orizzonti lontani. Il tutto in un allestimento che sfrutta le suggestioni dell’oscurità e degli specchi d’acqua e che, accogliendo le opere di Bodu Yang, ne esaspera la natura di soglie dell’abisso.  
Da non perdere, sempre al Long Museum, anche la grande mostra 10-60, che raccoglie artisti internazionali nati tra gli Anni Dieci e Sessanta del Novecento suddividendoli in figurazione e astrazione. Una mostra di grandissimi nomi (da Jeff Koons ad Albert Oelhen, da Louise Bourgeoise a Liu Ye, da Robert Rauschenberg a Yayoi Kusama), ma che purtroppo soffre di un allestimento estremamente sovraffollato. 

Shanghai // fino all’11 gennaio 2026 
Yang Bodu. Black Eagle, White Eagle 
LONG MUSUEM 
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Michaela Yearwood-Dan, RECESS, installation view at Longlati Foundation, Shanghai, 2025
Michaela Yearwood-Dan, RECESS, installation view at Longlati Foundation, Shanghai, 2025

Le mostre della Longlati Foundation 

Al contrario, è proprio l’allestimento il grande punto di forza della Longlati Foundation, sita al penultimo piano del condominio culturale Suhe Haus, soprattutto per quanto riguarda la mostra personale di Michaela Yearwood-Dan (Londra, 1994). Un’astrazione che è anche e profondamente politica, supportata da un allestimento curato nei minimi dettagli, seppur spesso esteticamente piatta, priva di climax. Figurativa e più accattivante è invece la pittura di Georgina Gardner Grey (New York, 1998), che esplora l’identità femminile nella società urbana contemporanea, facendosi anche un’intelligente interprete di quella che oggi si chiama split-screen painting e che rappresenta in una stessa tela composizioni nettamente separate: per farlo, Gardner Gray sfrutta elementi architettonici rendendo lo split-screen evidente ma anche estremamente naturale. 
 
Shanghai // fino al 7 febbraio 2026 
Michaela Yearwood-Dan. RECESS 
Georgina Gardner Grey. Metal Madonna 
LONGLATI FOUNDATION 
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Zhao Gang, installation view at Lisson Gallery, Shanghai, 2025
Zhao Gang, installation view at Lisson Gallery, Shanghai, 2025

Le mostre in galleria: Arario, Lisson, Capsule 

Rimaniamo in Suhe Haus per visitare la sede di Shanghai della galleria coreana Arario. Fra le tante gallerie dell’edificio, la proposta di Arario è la più convincente: una mostra personale dell’artista coreano Aokizy (1988), che attraverso sculture e soprattutto dipinti indaga i concetti di originalità in un’epoca post-digitale. Lo fa creando un compendio emotivo estrapolato dalla cultura manga, con primi piani superflat, a metà strada tra pathos e rigore. 
Un altro edificio ricco di gallerie – non molto lontano da Suhe Haus – si trova al numero 27 di Huqiu Road, proprio davanti al Rockbund Museum. Qui troviamo Perrotin e Almine Rech, con mostre personali rispettivamente dedicate a JR e Oliver Beer, ma è Lisson a catturare l’attenzione: il solo show del cinese Zhao Gang (Pechino, 1961) unisce pittura di paesaggio, natura morta e ritrattistica, in un’accezione romantica ricercatamente occidentale ma dal sapore inevitabilmente orientale. La mostra, intitolata The Basterd Gentry, si presenta anche come il progetto più autobiografico di Zhao Gang, che all’interno delle sue opere non si nasconde affatto (tanto da inserire un catalogo col suo nome in bella vista, quasi una firma, nell’angolo di uno dei dipinti). Ci spostiamo invece a sud-ovest, nella trendy Anfu Road, per visitare Capsule Shanghai, con la mostra Perpetual Tentation di Miranda Fengyuan Zhang (Shanghai, 1993): come ci spiega Enrico Polato, il fondatore della galleria, la pratica di Zhang intreccia esperienze personali a riferimenti musicali e letterari (come le mani del pianista Glenn Cloud, riproposte in uno dei suoi ricami, o la Sirenetta di Hans Christian Andersen, che informa le sculture di piedi dotati di coda).  

Li Hei Di, installation view at Pond Society, Shanghai, 2025. Photo Alberto Villa
Li Hei Di, installation view at Pond Society, Shanghai, 2025. Photo Alberto Villa

La pittura di Li Hei Di alla Pond Society 

Quella di Li Hei Di (Shenyang, 1997) è una pittura biomorfa, intricata, generata da continue sovrapposizioni ed evocazioni. Una figurazione che, nel suo perpetuo disintegrarsi e riformarsi diventa astrazione, dove – come in un sogno – ogni cosa cambia non appena la si afferra. Nata in Cina, residente a Londra e rappresentata dalla titanica Pace Gallery, Li Hei Di è una degli astri nascenti dell’arte contemporanea cinese. Nella sua mostra Tongues of Flare, ospitata nell’istituzione no profit Pond Society, dodici dipinti e una scultura riflettono il paesaggio interiore dell’artista, fatto di figure effimere e colori cangianti. Un vero must see di Shanghai per le prossime settimane. 
 
Shanghai // fino al 31 dicembre 
Li Hei Di. Tongues of Flare 
POND SOCIETY 

L'opera di Bao Rong per Artist's Treat, Shanghai, 2025. Photo Alberto Villa
L’opera di Bao Rong per Artist’s Treat, Shanghai, 2025. Photo Alberto Villa

Artist’s Treat: arte emergente in un’ex scuola primaria 

Abbiamo lasciato per ultimo il progetto che più ci ha fatto venir voglia di tornare a Shanghai anche l’anno prossimo. Di Artist’s Treat (ideato dall’artista concettuale Xu Chen in collaborazione con Hol Platform e ShangART Gallery) si parla in tutta Shanghai, e il motivo è chiaro: quella che era una scuola primaria francese, è stata affidata a un collettivo di artisti per realizzare una ricognizione dell’arte contemporanea cinese e non solo. E c’è di tutto: dalla pittura alla scultura, dal video all’AI, ciascuno degli artisti incaricato della curatela delle diverse specifiche sezioni ha coinvolto colleghi e colleghe di diverse discipline. All’ultimo dei cinque piani di questo edificio del 1935 (che nel 2020 è stato incredibilmente spostato integralmente di diverse decine metri) c’è anche un’opera di Bao Rong, cover artist dell’ultimo magazine di Artribune, che con la sua solita ironia reinterpreta e sovverte il tradizionale gong cinese. Non manca anche un archivio delle esperienze artist-run in Cina, accessibili tuttavia solo a chi sa leggere il cinese. Il progetto è di considerevole sforzo, se valutiamo la sua natura pressoché indipendente, in grado di portare al pubblico diverse proposte artistiche e curatoriali interessanti. Un debutto soddisfacente, che crea alte aspettative per le prossime edizioni.  

Alberto Villa 
 
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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, è critico e curatore indipendente. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers (relatore Marco De Michelis) e attualmente…

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