“Dobbiamo parlare del futuro di Roma”. Colloquio coi nuovi vertici dell’Ordine degli Architetti
A dialogo con gli architetti Christian Rocchi e Lorenzo Busnengo, rispettivamente presidente e vicepresidente del nuovo Consiglio nell’Ordine degli Architetti PPC di Roma e provincia, che è il più grande del Paese per numero di iscritti
Dallo scorso 30 settembre, nell’Ordine degli Architetti PPC di Roma e provincia (OAR) si è insediato il nuovo Consiglio, che opererà fino al 2029. A presiederlo è l’architetto Christian Rocchi (Roma, 1969; ha co-fondato lo studio CHVL Architetti Associati nel 2010); per il ruolo di vicepresidenti sono stati scelti gli architetti Lorenzo Busnengo (Roma, 1972; nell’OAR ha la delega ai rapporti con la Pubblica Amministrazione e ai Concorsi di Progettazione) e Maria Costanza Pierdominici. Le linee programmatiche per il prossimo quadriennio e il lavoro da svolgere nel contesto capitolino, con specifico riguardo per la rigenerazione e lo spazio pubblico, sono tra i temi affrontati in questa conversazione con Rocchi e Busnengo.
Il più grande tra gli ordini degli architetti d’Italia ha un nuovo Consiglio
Fondi PNRR, investimenti pubblici trainati dal Giubileo, ma anche una serie di iniziative di ricerca e sperimentazione, dal Laboratorio Roma 050 al concorso Roma Regeneration: qual è la vostra opinione rispetto a questa fase di rinnovato interesse verso la Capitale?
Lorenzo Busnengo: Iniziamo con il dire che negli anni passati (e ancora oggi) siamo stati fortemente critici, nel merito e nel metodo, sull’esperienza del Laboratorio Roma 050: lo abbiamo comunicato in tutte le sedi, anche istituzionali. Non è una novità.
Cosa non vi ha convinto di quell’operazione?
LB Pensiamo che la visione futura di Roma non debba essere affidata a un modello culturale e di sviluppo esportato da un’altra singola realtà italiana, che, tra l’altro, come stiamo vedendo in questi mesi di indagini della magistratura, non ha dimostrato di saper funzionare, anche solo sotto il profilo regolamentare e del rispetto della legislazione sovraordinata vigente. E poi siamo stati assolutamente contrari alla modalità di selezione: non si può affidare a un unico professionista la visione di una città. Il rischio è quello di una caduta dall’alto sul territorio. Piuttosto servirebbe un processo che si origina dal contributo dei territori, per poi arrivare a una successiva sintesi.
Christian Rocchi: Non dimentichiamo che la città non è costituita soltanto da architetti, ingegneri o geometri, che comunque incarnano una visione parziale: è un sistema molto complesso e, nel caso di Roma, anche stratificato. Per arrivare a capire che cosa possa diventare, innanzitutto bisogna capire cosa sia in quel preciso momento e quindi si procede scegliendo gli strumenti per poter costruire una visione di futuro. Nel contesto spagnolo è stata fatta un’esperienza straordinariamente efficace: attraverso una piattaforma sono arrivati migliaia di contributi diversi, sui quali poi il legislatore ha lavorato. Ci sono degli oneri che devono essere per forza essere della politica.

Roma sta davvero tornando al centro della riflessione architettonica in Italia?
Andando oltre questa esperienza, quale idea avete maturato rispetto alla cosiddetta “nuova centralità” di Roma?
LB La spinta di Milano sembra essersi esaurita e ora si guarda a Roma, ma il tema della centralità ci sembra più uno slogan, una mossa comunicativa: non corrisponde alla realtà dei fatti, almeno non per la comunità che rappresentiamo, formata da circa 19mila professionisti. Tuttavia, a nostro avviso, la questione urgente è quella della riappropriazione dei singoli ruoli ai vari livelli, comunale, regionale, nazionale. Abbiamo bisogno di leggi semplici, chiare, di indirizzo. Quale rigenerazione possiamo fare oggi nelle nostre città? È veramente difficile fare davvero rigenerazione con a disposizione leggi di ormai 80 anni fa, pensate per l’espansione della città anziché per le necessità attuali. Siamo di fronte a un “testa-coda normativo”.
Ovvero?
CR Il quadro normativo a disposizione non funziona e, allo stesso tempo, sembra che la classe politica stia perdendo la visione complessiva, a livello culturale, delle città. Bisogna ritornare a pensare che siamo un unico sistema, un unico ingranaggio, un unico meccanismo all’interno del quale ognuno fa la sua parte.
E quindi da dove ripartire?
LB Come si diceva, visti anche i grandi obiettivi che non solo come architetti, ma come rappresentanti di un ente pubblico che persegue il bene collettivo abbiamo, bisognerebbe tornare a essere un unico corpo, con uno Stato che non si deve allontanare dalle specifiche dinamiche territoriali, ma che sia in grado di definire indirizzi precisi e chiari. Serve una mentalità pubblica forte.
Rigenerazione urbana e spazio pubblico a Roma
Il nuovo consiglio dell’OAR si è appena insediato. Date queste riflessioni di partenza, su quali urgenze inizierete a lavorare?
LB Premesso che Roma non è una città proprio facile, e chiunque lavori su Roma sa benissimo che dovrà misurarsi con un certo numero di vincoli, ormai non possiamo più sottrarci: dobbiamo parlare del futuro della città. E dobbiamo farlo insieme. Con le forze che abbiamo e con i contributi che possiamo dare, noi siamo a disposizione. Vogliamo essere da stimolo e di supporto all’amministrazione
CR Alle scorse elezioni, l’unico incontro che è stato fatto tra tutti i candidati sindaco si è svolto da noi, alla Casa dell’Architettura, che poi è la casa di tutti. Sicuramente lo faremo anche alla prossima tornata elettorale. E, intanto, come diciamo anche al sindaco, c’è bisogno di far innamorare i cittadini di un progetto nuovo per Roma, ambizioso anche.
Potrebbe riguardare lo spazio pubblico, per esempio?
LB Assolutamente sì. Anzi, abbiamo un dialogo attivo con l’amministrazione capitolina riguardo ai concorsi di progettazione in questo ambito. Si tratta di individuare 15 aree pubbliche, nei 15 municipi, su cui sviluppare altrettanti concorsi di progettazione proprio per introdurre più qualità nello spazio pubblico, che è anche spazio di relazione tra i cittadini. È anche lì che si forma quel senso di comunità, che invoglia verso la socialità e genera benessere collettivo. Ma non ci limitiamo a parlare con il pubblico, che non ha risorse per investimenti infiniti. Occorre la sinergia con il privato.
CR Come dimostra in maniera esemplare Valencia, che negli anni scorsi è riuscita a rigenerare una vasta area sul sedime del suo fiume che era estremamente degradata e pericolosa attraverso una collaborazione pubblico-privato, occorre avere lo sguardo più aperto, specie ora con il PNRR che sta per esaurirsi. Bisogna che nelle città ci sia un’alleanza di intenti tra pubblico e privato. E si realizza quando il pubblico è in grado di presentare visioni concrete e credibili.

La Casa dell’Architettura come punto di riferimento per la città di Roma
In conclusione, un’anticipazione sulla visione per il prossimo quadriennio in ambito strettamente culturale. Negli anni l’OAR si è distinto per le iniziative destinate non solo alla nutrita comunità di professionisti. Come proseguirà questo impegno?
LB Sarà in continuità con quanto fatto negli scorsi quattro anni. La nostra sede, la Casa dell’Architettura, è un luogo aperto a tutti, in cui si discute di architettura, trasformazioni urbane, periferie, territori, della vita di quartiere. E, non da ultimo, ospita l’ultima libreria di architettura ancora aperta a Roma.
CR In più, anticipo, ci siamo dati un obiettivo molto coraggioso, che è quello di voler aiutare l’amministrazione capitolina appunto a capire cosa sia diventata oggi la città. Pensiamo di dargli seguito con un grande evento alla scala cittadina, attualmente in progress, in grado di coinvolgere tutti gli attori della città. Una ricognizione propedeutica e fondamentale per costruire insieme il nostro futuro, a Roma.
Valentina Silvestrini
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