L’Aida di Shirin Neshat all’Opéra di Parigi. La regia dell’artista iraniana è una riflessione sul fanatismo religioso

Fino al 4 novembre, il teatro parigino propone la messa in scena dell’Aida diretta dall’artista iraniana, che già nel 2017 si era confrontata con l’opera di Verdi, ma a Parigi porta una versione aggiornata. Essenziale ed efficace nel raccontare le derive del mondo contemporaneo

Nella Parigi animata dall’Art Week d’autunno, anche l’Opéra Bastille propone una contaminazione tra arti performative e visive. Fino al 4 novembre la messa in scena dell’Aida è affidata alla visione dell’artista iraniana Shirin Neshat (Qazvin,1957), che per la prima volta collabora con il prestigioso teatro parigino.

I temi dell’Aida di Giuseppe Verdi

L’opera di Giuseppe Verdi è tra le più rappresentate in tutto il mondo, particolarmente amata per la spettacolarità dei costumi e delle scenografie. Presentata per la prima volta nel 1871 nel nuovo Teatro dell’Opera del Cairo, alterna scene epiche come la celebre marcia trionfale ad arie più intime come Celeste Aida per raccontare il dilemma della principessa etiope ridotta in schiavitù in Egitto, innamorata del generale nemico, Radamès. La trama – il libretto si deve ad Antonio Ghislanzoni, su soggetto originale dell’archeologo francese Auguste Mariette, primo direttore del Museo Egizio del Cairo – è movimentata dalla rivalità con Amneris, figlia del faraone, anche lei innamorata del generale, per il quale implorerà la grazia dopo il tradimento inconsapevole di un segreto militare. Ma la storia si chiude in tragedia, con Aida e Radamès sepolti vivi, uniti solo nella morte.
Verdi lavorò su commissione del viceré d’Egitto Ismail Pascià, nel contesto imperante dell’egittomania in voga nell’Ottocento, e con l’obiettivo di comporre un’opera che celebrasse il prestigio di un nuovo impero in costruzione. Tuttavia, seppe presentare temi che si sarebbero presto rivelati senza tempo e universali.

La regia di Shirin Neshat per l’Aida all’Opéra di Parigi

Per questo l’Aida continua a ispirare messe in scena inedite e nuove interpretazioni. Nell’approcciarsi all’opera di Verdi, Neshat ha scelto di portare la sua storia personale concentrandosi sulla crudeltà del fanatismo religioso, pronto anche a privare le donne della loro libertà. La regia dell’artista iraniana non è inedita: lo spettacolo, presentato per la prima volta al Festival di Salisburgo nel 2017 (con Riccardo Muti a dirigere l’orchestra), ha subito diverse modifiche in occasione della ripresa del 2022 e viene riproposto all’Opéra di Parigi in una versione rielaborata, con un impianto pensato appositamente per il palco del teatro parigino. Per Neshat – alle spalle una carriera ultratrentennale sempre al confine tra arti visive, cinema e teatro, influenzata dall’esperienza dell’esilio – Aida è una tragedia di potere, che da un lato mostra con toni enfatici la guerra, dall’altro condanna la tirannia, racconta il fanatismo religioso e gli effetti dell’oppressione. “Aida è un’opera la cui modernità risuona oggi con forza. Parla di guerra, di religione, di intolleranza, ma anche di amore e di sacrificio. È profondamente attuale” spiega l’artista “Non si tratta per me solo di ambientare un dramma orientale, ma di affrontare un linguaggio che unisce immagine, musica e sentimento in modo totalizzante. È molto vicino al mio modo di lavorare”.
Ne risulta una messa in scena essenziale e per questo potente, che si articola attraverso uno spazio scenico mobile, costruito su superfici proiettive e luci plastiche. Neshat ha lavorato in team con Michele Mariotti e Dmitry Matvienko alla direzione musicale, Christian Schmidt alle scene, Felice Ross alle luci e Tatyana van Walsum ai costumi.

L’arte e l’impegno di Shirin Neshat

Neshat, nata in una cittadina nel nord dell’Iran a 140 chilometri dalla capitale Teheran, ha trascorso l’infanzia e parte della sua adolescenza nella sua terra, prima di spostarsi con la famiglia negli Stati Uniti, dove si è formata. Oggi vive e lavora a New York, ma si considera un’artista nomade e attraverso la sua arte riflette sugli abusi di potere, le discriminazioni di genere, il fanatismo religioso, l’oppressione e la diaspora iraniana. Il film Women Without Men le è valso il Leone d’Argento a Venezia nel 2009. La stessa Biennale ha premiato il suo lavoro con il Leone d’Oro come miglior artista internazionale già nel 1999. 

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