A Milano un’artista giovanissima ha scoperto come produrre la ceramica in modo circolare

Chryssa Kotoula, classe 1995, presenta a Milano la mostra frutto del periodo di residenza presso Fondazione Officine Saffi. Protagoniste sono le sue opere in ceramica, realizzate con un processo nuovo che riduce al minimo l’impatto ambientale. Tutto sulla sua pratica in questa intervista

Reinventare la ceramica tradizionale all’insegna dell’economia circolare. Trasformare gli scarti delle lavorazioni in nuove produzioni che oscillano tra artigianato e arte contemporanea. È questa la sintesi della ricerca portata avanti dalla giovanissima Chryssa Kotoula(Larissa, 1995), artista vincitrice di un Premio Speciale nel contesto di Officine Saffi Award 2024. Più che un semplice riconoscimento, una possibilità di sperimentare e approfondire le pratiche ceramiche partecipando al programma di residenza promosso dall’istituzione milanese. Forte di questa esperienza appena terminata, l’artista ne presenta l’esito al pubblico con la sua prima mostra in assoluto in Italia. Trattandosi di una ricerca animata da un ideale di sostenibilità energico e profondo, abbiamo voluto intervistarla in esclusiva, per comprendere – e dunque apprezzare – meglio i suoi manufatti. Veri oggetti-opere d’arte che accostano archeologia e innovazione.

La ceramica di Chryssa Kotoula: tra tradizione e innovazione

Al centro della tua ricerca artistica c’è la ceramica: un materiale ancestrale usato fin dall’antichità. Come ti relazioni con la tradizione?
La ceramica è un mestiere antichissimo, quanto indissolubilmente legato al concetto di artigianato. Io stessa quando penso a questa tradizione, subito la ricollego al suo aspetto artigianale. Tradizione e artigianato sono strettamente legati, quasi intrecciati. Mi sento molto affine a questo concetto, assai vicino al mio stesso modo di lavorare. 

In che senso?
L’argilla è un materiale che ha un proprio carattere, delle limitazioni, una storia su come si forma, su come viene estratta. Per lavorarci bisogna fare molta pratica ed avere un’esperienza diretta con questi vincoli e caratteristiche, persino con la sua storia. Per esempio, l’esperienza del toccare cambia quando si lavora con un’argilla molto grossolana o con un pezzo molto raffinato di porcellana. Il che si risolve in un perenne “imparare facendo”, connesso al concetto stesso di tradizione. 

E come riesci a reinterpretare questa tradizione della ceramica nel presente, alla luce dell’arte contemporanea?
La ceramica è un medium molto antico che è sempre esistito, tuttavia continuiamo ancora oggi a scoprire cose nuove su di esso. È un punto di partenza che mi spinge a fare ricerca e a lavorare quotidianamente con questo materiale. Cerco di usarlo come punto di partenza… per fare un passo oltre. Come lo possiamo innovare? Come lo possiamo avvicinare a ciò che viviamo oggi, creando connessioni tra il presente e il passato? Tentando di rispondere a simili domande mi relaziono con la tradizione in senso ampio: guardo ai metodi antichi. Cerco di apprenderne le competenze. Ancora una volta, c’è un processo di apprendimento attraverso la pratica che per me è molto sfidante.

C’è un forte aspetto concettuale nel tuo lavoro ceramico, al punto che ti definirei “artista”, più che “ceramista” in senso stretto. Non so se è un titolo in cui ti riconosci.
Sì, decisamente. Mi sento sì come un’artefice, vicina all’artigianato, ma non semplicemente come qualcuno che realizza oggetti: C’è tutta una storia dietro dietro la mia pratica. C’è un modo particolare di connettersi, di fare le cose. Alcuni pezzi possono avere la forma di un vaso o di un contenitore, ma il corpo dell’argilla, dell’oggetto che sto creando, racconta una storia da sé. 

Questo vale anche per quello che presenti in mostra, immagino. 
Esattamente: ho lavorato a opere che collegano passato e presente e si distanziano dalle solite pratiche artigianali. 

Come?
Di solito, quando si fa un vaso in ceramica, si lavora prima l’argilla e poi si procede con la smaltatura come rivestimento: questi due materiali sono tipicamente distinti. Io cerco di fare un passo indietro… e poi un passo avanti. Mantengo la loro separazione di funzione, ma poi li unisco, cercando di creare qualcosa di nuovo e spesso di più scultoreo. Punto a trovare un equilibrio, o meglio, quello spazio intermedio che sfuma i confini tra un lavoro funzionale e uno artistico.

Chryssa Kotoula, We are walking talking minerals, installation view at Fondazione Officine Saffi, Milano, 2025
Chryssa Kotoula, We are walking talking minerals, installation view at Fondazione Officine Saffi, Milano, 2025

Ceramica, arte e Grecità per Chryssa Kotoula

Se pensiamo alle tue origini, l’associazione tra ceramica e Grecia Classica è immediata.
Sono d’accordo, anche se ho iniziato a scoprirlo solo qualche anno fa. Prima non ci avevo mai prestato molta attenzione… il patrimonio dell’Antica Grecia è cresciuto dentro di me man mano che conoscevo la ceramica più in profondità. È qualcosa di complesso. È iniziato a emergere da solo: visitavo molti siti archeologici, leggevo di continuo, giravo per le isole greche, osservavo molte cose anche legate all’architettura vernacolare di queste zone. Col tempo, ho iniziato ad approcciarlo in modo più consapevole.

E come lo stai integrando nella tua pratica?
Cerco di creare forme che richiamino l’Antico, ma con un corpo d’argilla che rimanda a una condizione futura: a una materia prima realizzata in nome dei principi di circolarità per ridurre l’impatto ambientale che la ceramica ha. Dunque, queste opere sono come archeologie che non si riferiscono solo al passato, per via delle loro forme, ma anche al futuro, grazie all’innovazione del materiale. Una sorta di archeologia inversa.

Hai sempre utilizzato la ceramica, oppure in passato hai sperimentato anche altre tecniche? Che cos’ha questa di così speciale, cosa ti ha spinto a farne il tuo medium d’elezione per esprimerti?
Mi sono formata come artista visiva, con un indirizzo in pittura. Nelle qualità delle ceramiche che realizzo riesco a ritrovare elementi dei miei lavori pittorici precedenti. In realtà, ciò che facevo non è mai stato solamente dipingere: realizzavo da zero pannelli in gesso su cui poi dipingevo, inserendo anche componenti di metallo all’interno, così, quando aggiungevo l’acqua, queste reagivano e si vedeva la ruggine in superficie. Poi ci stampavo pure sopra e dipingevo ancora. Finiti gli studi, quello che mi ha attirata maggiormente verso la ceramica è stato proprio questo aspetto della materialità intensa, che trovavo molto interessante.

Dunque, il tuo approccio lavora molto sulla stratificazione…
Sì, il processo di stratificazione e l’idea di strati di storie e materia sono iniziati lì, e con la ceramica mi sono diventati più chiari. Di più: con la ceramica e l’argilla c’è già un passato da esplorare che mi guida in un pensare attraverso il fare

Dici pensare… modellare l’argilla e quindi per te anche una pratica in un certo senso spirituale?
Oh sì, assolutamente. Penso che tutto ciò che ruota attorno a una forte presenza lo abbia, e l’argilla racchiude proprio questo. Ma direi che è un approccio più in generale alla vita. Quando lavoro al tornio, non sto usando solo gli occhi o le mani, ma è tutto il corpo che è coinvolto. Tale consapevolezza ha un impatto davvero meditativo.

Ceramica e circolarità per Chryssa Kotoula

Parliamo ora dell’impatto ambientale della produzione ceramica, soprattutto di quella smaltata, che tu hai più volte sottolineato.
La ceramica è molto legata alla consapevolezza dei materiali e del loro uso e consumo. Non è una risorsa infinita. L’argilla, i giacimenti di argilla, le cave, impiegano un sacco di anni per formarsi. Se poi la si cuoce, l’argilla diventa “ceramica” ed è eterna. 

E tu? Come lavori per ridurre l’impatto ambientale?
Cerco di essere il più possibile consapevole dal punto di vista ambientale. Un impegno iniziato di quando mi sono avvicinata alla permacultura e ho imparato come possiamo riportare le cose alla natura coltivando e prendendoci cura di ciò che sfruttiamo, ossia la terra. Sto cercando di fare una sorta di permacultura della ceramica. Tuttavia, non mi piace usare il termine “sostenibilità”. 

E perché?
Non credo che la ceramica possa essere sostenibile, perché prendiamo qualcosa dalla terra e poi consumiamo molta energia per renderla eterna. Quindi consumiamo per creare. Ma quello che possiamo fare, e che mi piace e cerco di fare, è diventare più consapevoli di ciò che facciamo, introducendo pratiche più circolari che ci aiutino a non usare troppo materiale nuovo. 

Ad esempio?
La mia rielaborazione sperimentale della tecnica tradizionale del terrazzo. Per ridurre l’impatto, cerco di realizzare lavori che necessitano di una sola cottura e che non richiedono forni ad alta temperatura, che consumano molta più energia.Anche qui, poi, nei laboratori della Fondazione, ho cercato di usare il minimo possibile di materia nuova, dando piuttosto nuova vita a pezzi secchi e sacchi di argilla reidratata. 

Dunque hai usato praticamente solo… scarti.
In un certo senso sì. O, per dirlo più correttamente, forme di materia che possono essere trasformate e ri-esplorate in un nuovo contesto. In questo caso lo smalto è il primo materiale su cui mi concentro. 

Come mai proprio lo smalto?
Perché l’argilla cruda è sempre riutilizzabile, è nella natura del materiale, ma lo smalto è una storia un po’ diversa. Motivo per cui ho cercato di pensare a nuovi modi per usarlo. Ecco la parte funzionale del mio lavoro: passare da materia scartata a qualcosa di nuovo, utile anche nella vita quotidiana. Come uno sgabello, o un tavolo.

Chryssa Kotoula, We are walking talking minerals, installation view at Fondazione Officine Saffi, Milano, 2025
Chryssa Kotoula, We are walking talking minerals, installation view at Fondazione Officine Saffi, Milano, 2025

La mostra di Chryssa Kotoula da Fondazione Officine Saffi a Milano

La stagione estiva di Fondazione Officine Saffi accoglie l’esito della Residenza di Chryssa Kotoula. Una mostra che ha permesso di dare nuova vita agli scarti delle lavorazioni di laboratorio, trasformati in manufatti che oscillano tra design e arte, rievocando la tradizione artigianale e le tecniche antiche, menzionate addirittura dall’autore greco Plino il Vecchio. Sostituendo le granaglie normalmente usate con frammenti di materiale secco, soprattutto smalto, l’artista crea una produzione innovativa che guarda al futuro. Contenitori e sculture più circolari e dalla natura ibrida e curiosamente indefinita.

Parliamo infine della mostra che presenta alla città il tuo lavoro. We are walking talking Minerals. Perché questo titolo?
Il titolo nasce dall’idea di come consideriamo la materia di scarto. Se c’è qualcosa che mi piacerebbe comunicare, è l’importanza di riconoscere e considerare l’intero ciclo di vita del materiale. Viene da una frase del libro Vibrant Matter di Jane Bennett (Vibrant Matter: A Political Ecology of Things, 2010). Sfida la visione tradizionale della materia inanimata come passiva e sostiene invece che tutta la materia, inclusi i minerali, possieda una sorta di capacità di agire e di vitalità. Ho cercato di rendere questa idea nelle opere stesse, nella loro forma.

Come?
Ho dato loro forme che accennano a un che di organico, a una propria entità. I loro corpi materiali sono composti da molti tipi diversi di argille, provenienti da zone differenti, con qualità molto diverse. I loro strati stratificati raccontano anche da dove provengono, come l’argilla rossa intensa, composta quasi interamente da sabbia e ossido di ferro.

La tecnica del “terrazzo” – a cui hai accennato poco fa – è tra i protagonisti della mostra. Come mai ti sei avvicinata proprio a questa?
Mi ha colpito subito il fatto che potenzialmente si potessero usare materiali diversi al suo interno per realizzarla. La vediamo applicata ovunque nella vita quotidiana. Anche in Grecia, in passato, era una tecnica molto comune. La prima volta che l’ho vista è stato nel sito archeologico di Delo, dove riuscivo a distinguere minuscole conchiglie marine nei muri delle rovine. Da qualche parte ho letto che venivano usate anche nei pavimenti per rafforzarli o persino per colorarli.

Che ruolo hanno in essa l’improvvisazione e il controllo?
Quando realizzo il terrazzo non ho un controllo esatto su come sarà. Si crea la miscela, si aggiungono i materiali di scarto, ma il risultato finale non avviene secondo un’intenzione totalmente definita… è più qualcosa che accade nel processo stesso della tecnica. Si affida il risultato visivo finale ai materiali stessi. E l’esito appare solo durante la cottura.

Emma Sedini

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Emma Sedini

Emma Sedini

Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. Dopo la Laurea Magistrale in Economica and Management for Arts, Culture, Media and Communication all'università Luigi Bocconi di Milano e un corso professionale in Digital Marketing…

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