Una partita di calcio in un Colosseo di container nel porto di Napoli. Finalmente un folle evento d’arte contemporanea

Un torneo di calcio o un evento situazionista? Entrambi e nessuno: il progetto Coppa Pizzeria dell’artista Daniele Sigalot è giunto alla 13esima edizione, e si è tenuto a Napoli in un anfiteatro fatto di container. Siamo andati a curiosare

Curioso nome Coppa Pizzeria per un concept d’arte contemporanea. Ma ha il suo perché e ne diamo conto. L’artista Daniele Sigalot (Roma, 1976), che ne è ideatore e kingmaker, fino qualche anno fa era di base a Berlino, dove era solito organizzare partite di calcetto in un cortile, coinvolgendo amici e collaboratori. Base logistica di questa iniziativa ‘dopolavorista’ era lo studio dell’artista, denominato, con l’ironia che contraddistingue Sigalot, La pizzeria.

Il progetto Coppa Pizzeria di Daniele Sigalot

La cosa crebbe; nacque un torneo vero e proprio, con regole tutt’altro che ortodosse e sempre più artistiche. Col tempo l’idea ha assunto connotati da mega evento situazionista. Grosso, ma rigorosamente effimero; ha luogo, infatti, in una sola giornata, una volta l’anno. A pesare sono location e strutturazione dell’‘arena’ in cui si svolgono le ‘ostilità’; spesso il risultato è stupefacente proprio da questo punto di vista. Memorabile l’edizione 2024, tenutasi sul fondo di una piscina olimpionica, il Kursaal di Ostia Lido. Vuoto ovviamente, con il campo di gioco tutto azzurro e ben delimitato anche in altezza, vista la profondità dell’incavo; insomma, un’ambientazione top, alla Matthew Barney prima maniera. E quest’anno? L’evento ha avuto luogo a Napoli, al porto, a inizio maggio. Con dirimpetto il Vesuvio. In un video il grande ex-calciatore Marco Tardelli s’è detto desideroso di esserci, ma anche impaurito per il fatto di essere juventino. Ovviamente siamo andati a curiosare, innamorati come siamo sia dell’arte contemporanea che del calcio. Ah, per chi non lo sapesse, La pizzeria esiste ancora, ma è a Roma, dove Sigalot è tornato a vivere. Un po’ studio e un po’ ritrovo, è uno tra i numerosi hub d’arte contemporanea che stanno ravvivando la scena della Capitale; vale la pena fare un salto.

Coppa Pizzeria 2025, Credito fotografico UNCOSO creative Studio
Coppa Pizzeria 2025, Credito fotografico UNCOSO creative Studio

L’edizione 2025 di Coppa Pizzeria

Apprendiamo che l’assurda Coppa è già alla tredicesima edizione. Ufficialmente è stata dichiarata come l’ultima, ma questo accade ogni anno, sicché non è credibile come notizia; un po’ come quei rivenditori di tappeti che svendono la mercanzia per chiusura locali, ma poi la svendita dura decenni. Infatti, sull’argomento Sigalot si è già smentito, annunciando che l’edizione 2026 sarà a Venezia, durante la Biennale d’Arte. Top. Sigalot dovrà essere bravo a scegliere una location degna di cotanto appuntamento, ma in tal senso ha già dato prova di saper stupire. Tornando al concept, l’idea che ci siamo fatti è che l’ispirazione gli sia venuta dalle divise sempre più improbabili delle squadre di calcio di oggi, soprattutto quando si tratta delle maglie da trasferta, odiate dai tifosi e spesso al limite del circense. La formula, infatti, consiste nel matchare l’agonismo delle partite a eliminazione diretta e la carica visionaria dell’arte performativa. Il clou sta nel vedere calciatori agghindati nei modi più impensabili rincorrere il pallone e azzuffarsi. Il resto lo fa l’imponderabile, ovvero la smania di far finire il pallone in porta, che con tali premesse diventa insieme divertente e sublime.

L’assurda location della Coppa Pizzeria 2025 a Napoli

Due parole sullo ‘stadio’. Solenne e matto, industrial ed effimero, è stato montato e smontato in 48 ore, da mulettisti professionisti del porto. Era fatto di soli container, disposti a raggiera intorno al terreno di gioco e sovrapposti tra loro in colonne da quattro, sì da raggiungere un’altezza considerevole. Insomma, un mini-Colosseo fatto di rettangoloni rugginosi, punk e molto berlinese. Peraltro super funzionale, visto che i container del livello più basso fungevano da spogliatoi. Notevole che uscendo dai container gli “atleti” somigliassero più a dei gladiatori, nonostante il narcisismo delle loro mise, che ai calciatori-divi di oggi. Menzione a parte per uno dei claim dell’evento, con un giocatore (anzi una giocatrice) in carne ed ossa di Subbuteo – il leggendario gioco da tavolo ispirato al calcio – che si libra in alto tra i container, sollevata da una gru. La scena incanta; sarà che è un omaggio a quel gioco ma anche uno splendido e ieratico tableau vivant.

Come funziona Coppa Pizzeria dell’artista Daniele Sigalot

Qualche informazione di base. Le partite durano cinque minuti (sic) e le squadre si compongono di solo due giocatori, il che è coerente con la storia della performance, da sempre propensa alla configurazione a coppia. Soprattutto, non ci sono regole. Le porte ci sono ma sono piccole, agghindate con paillettes e schermabili con ogni stratagemma. L’anarchia è totale, al punto che anche l’arbitro può fare ciò che vuole, compreso validare goal inesistenti – si sa che quando si esagera in una direzione poi arriva il contrappasso. Le linee di demarcazione contano e non contano, infatti l’invasione di campo da parte del pubblico non è tabù, anzi; questo perché campo e bordo campo sono come arte e vita, si scambiano di posto fino a coincidere, come da tradizione kaprowiana dell’happening, qui declinata in senso pallonaro. Tra una partita e l’altra va in scena il dj-set e il pubblico diventa protagonista. Ma l’intermezzo deve durare poco, quindi si ricorre anche a pezzi musicali improbabili, tipo il melenso Quello che le donne non dicono, che in tale baraonda diventa più paralizzante, dunque efficace, di una qualsiasi hit di un cantante neomelodico locale. Open bar e barbecue a bordo campo rendono il tutto una roba alla Rirkrit Tiravanija. Ma fino a un certo punto, perché qui a dominare è una vena sardonica e nonsense più riconducibile alle pantomime di Frank Zappa. Trentaquattro le squadre, tipo campionato del mondo. I nomi? Da Azz a Fragili sussulti, da Le serenissime a Le gattare, fino a Ultrans e Tutto passa. All’ultimo momento le semifinaliste hanno deciso di fondersi, sicché si è passati direttamente alla finalissima, in spregio all’agonismo messo in mostra fino a quel momento. La mise più divertente? Quella più conceptual, composta da una coppia davvero bizzarra: un gufo che vuole essere una banana, e una banana che vuole essere un gufo – di fatto due pupazzoni da luna park psichedelico. C’erano poi dinosauri, cardinali, supereroi e carte da gioco. Due calciatrici erano vestite da rebus dei programmi televisivi, avevano quindi al seguito grossi cartelli con caratteri cubitali rivelatisi utili – ovviamente – solo nella fase difensiva, come barriera per evitare il goal. Riassumendo, ciò a cui si assiste è qualcosa tra la partita di calcio ilare tra filosofi dei Monty Python e il Burning Man americano. Con palle, palloni e palline che sbucano e piovono da tutti i lati.

Cosa si vince alla Coppa Pizzeria

Le coppe in palio sono più d’una. A parte quella maggiore, ce n’è una per i costumi, la “Narciso”, andata a un calciatore travestito da bidone della spazzatura. Poi c’è un trofeo per il gesto più artistico. Qui c’è stata la doppietta, nel senso che anche questo riconoscimento è andato al cestino umano. La motivazione? Si è reso protagonista del plateale gesto di gettare la prima coppa vinta dentro se stesso. E qui un Tino Sehgal avrebbe urlato This is so contemporary! La chicca sono le “coppe retrospettive”. Si riferiscono agli abbagli presi dai giudici in edizioni precedenti, alle partecipazioni cioè che benché non premiate sul momento sono poi rimaste nella memoria di pubblico e “critica”. Il trofeo è stupendo: un cilindro insulso sormontato dallo specchietto retrovisore di un ciclomotore. Viene da pensare che se a Hollywood esistesse un riconoscimento del genere Stanley Kubrick ne avrebbe fatto incetta. Non mancano bandiere e striscioni, tutti settati su un paradigma metalinguistico, che è tipico dell’arte contemporanea. Nel senso che il pubblico sventola vessilli che inveiscono contro la manifestazione stessa (“Tempo perso” recita un bandierone), ma soprattutto contro il suo artefice Sigalot.

Coppa Pizzeria 2025
Coppa Pizzeria 2025

Tra sarcasmo e autoironia: Daniele Sigalot

In conclusione, Blame Sigalot if this is art! Che poi è lo slogan di una delle squadre partecipanti, parafrasi di uno dei lavori più riusciti del Nostro: un post-it ingigantito che, ironizzando sul paradigma mai davvero popolare del ready-made, recita così: Blame Duchamp if this is art. “E lasciatemi divertire!” sembra dire Sigalot, questo Palazzeschi del contemporaneo. In particolare, con questa Coppa Pizzeria, che è la sua creatura più privata e insieme più blockbuster. Ormai è anche un po’ cult. Va apprezzato da un lato il coraggio, perché l’arte contemporanea di marca concettualista raramente si occupa di un fenomeno considerato pop come il calcio (a memoria ricordiamo solo il video del 2006 di Douglas Gordon e Philippe Parreno Zidane. A 21st century portrait). Ma poi, va evidenziato che si tratta di una maratona di ben otto ore di performance, per giunta non slegate come in un festival, ma incastonate entro un format (in)sensato e bello compatto. Il mood generale è quello dei rave; si fa della partecipation mystique – come la chiamava Carl-Gustav Jung citando Lucien Lévy-Bruhl – ma in salsa pallonara. Parlando di psicologia, si capisce che è il sogno di un introverso diventato anfitrione; d’altronde Sigalot, anche a guardarlo, non è chiaro se sia più romano o tedesco. In conclusione, ben venga il sarcasmo. E l’autoironia. Rispetto alla spocchia di certa arte contemporanea tutta fuffa e retorica, così bene irrisa da Paolo Sorrentino nel suo La grande bellezza, è da preferirsi un concettualismo di questo tipo: pop, inclusivo, cazzone e godibile. Lunga vita.

Pericle Guaglianone

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Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone è nato a Roma negli anni ’70. Da bambino riusciva a riconoscere tutte le automobili dalla forma dei fanali accesi la notte. Gli piacevano tanto anche gli atlanti, li studiava ore e ore. Le bandiere erano un’altra sua…

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