L’artista Lorenza Boisi in mostra a Roma. Una svolta tra mito, memoria e inesauribile ricerca di sé

Ricordi d’infanzia e riferimenti colti s’intrecciano sulle tele di Lorenza Boisi, che presenta un nuovo ciclo di opere alla Galleria Richter di Roma. Dipinti in cui l’acqua è protagonista, ma anche luogo di stratificazione culturale

Alla Galleria Richter Fine Art di Roma, Turning Saints into the Sea — prima personale in questo spazio espositivo dell’artista milanese Lorenza Boisi (1972) — si trasforma in un viaggio immersivo nel cuore dell’acqua, elemento primordiale che incarna la metamorfosi, la memoria e l’autoriflessione. Fino al 16 maggio 2025, le opere di Boisi invitano a confrontarsi con l’inafferrabilità della natura e con l’eterna sfida della pittura: fissare l’effimero, mentre svelano un dialogo intimo tra arte, letteratura e identità.

Lorenza Boisi: acqua come linguaggio e autoritratto

Cuore pulsante della mostra è l’acqua, soggetto ricorrente nella ricerca di Boisi, esplorata nella sua dualità di forza distruttiva e rigenerativa. Liquido informe, ribelle a ogni logica, diventa metafora della vita stessa, del suo flusso inarrestabile e della capacità di dissolvere certezze. Il titolo, tratto da Mr Brightside dei The Killers (2003), evoca un atto paradossale: “mutare i santi nel mare”, trasformare in acqua ogni dogma. Un’impossibilità che Boisi fa propria, sfidando la pittura a catturare l’instabilità di un elemento che sfugge a ogni controllo. Eppure, ogni opera è per l’artista un autoritratto. “Mi intreccio in ogni figura, in ogni gesto”, confessa, trasformando la tela in un diario intimo dove convivono ricordi d’infanzia — traversate a nuoto, l’odore del cloro — e riferimenti colti, dalla pittura barocca alla videoarte. In The Gardner (2022), foglie e gocce si confondono, mentre Hommage (2025) cita Munch e Cézanne in un dialogo tra epoche. “L’acqua conosce tutti i miei segreti”, afferma Boisi, svelando un’anima che fa della trasformazione la sua cifra.

Gesto, memoria e letteratura nella mostra di Lorenza Boisi a Roma

Le tele di Boisi sono campi di battaglia dove figurativo e astratto si fondono in vortici di segni. Pennellate energiche, tratti rapidi e colori acquosi — rosa evanescenti, celesti profondi, verdi luminescenti — danno vita a forme che nascono e si dissolvono nello stesso istante. Opere come Sink (2025) o Roman Fountain (2025) trasformano oggetti quotidiani in allegorie, mentre in Leda (2025) il mito classico riemerge attraverso un groviglio di linee che ricordano il movimento delle onde. La tecnica — spesso le opere sono eseguite in un’unica seduta — riflette un approccio viscerale: “Dipingo di impulso, inseguendo un’emozione che deve restare viva”, rivela. Questo slancio istintivo, però, è alimentato da una stratificazione culturale. Boisi porta in pittura un bagaglio accademico e un amore per la letteratura, per i libri che “sopravvivono ai secoli” e che definisce “forma dipinta”.

Inquietudine e maturità: l’arte come resistenza

La mostra segna una svolta nella produzione dell’artista. Opere recenti come Ragazzo dell’agro romano (2025) rivelano un linguaggio essenziale: il bianco della tela diventa spazio respiratorio, i tratti si fanno rarefatti. Una maturità che non rinuncia alla sperimentazione, come in A fabric in the studio (2018), ponte tra passato e presente con le sue geometrie decise. Dietro questa evoluzione c’è un’esistenza segnata da prove difficili che emerge nella pittura come fiume carsico. Il dolore personale si fa universale attraverso un gesto libero, in corsa contro un “tempo insufficiente”. Nelle tele di Lorenza Boisi miti, libri antichi, oggetti quotidiani si mescolano e si compie come un sortilegio, che trasforma l’effimero in eterno, l’intimo in collettivo.

Luca Vona

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