Teschi e tradimenti nel “Ballo in maschera” di Verdi a Bologna
Il Teatro Comunale di Bologna propone l’opera verdiana nell’interpretazione - rispettosa ma svecchiata – del regista Daniele Menghini. Ecco com’è lo spettacolo

Al Comunale di Bologna è andato in scena lo spettacolo Un ballo in maschera, con la regia di Daniele Menghini e la direzione musicale del M° Riccardo Frizza, in una versione che ha portato una ventata di freschezza. Un gioco di vedo-non vedo tra i personaggi e con il pubblico, che assiste al camuffamento e alla repressione delle emozioni fino alla tragedia finale.
La trama di “Un ballo in maschera”
Il regista Daniele Menghini propone, tramite il tenore Matteo Lippi, la sua versione leggera, artista e spavalda del conte Riccardo, un sovrano scapestrato che, invece di mostrare doti di leader, passa il suo tempo a bighellonare, sbeffeggiando la morte che gli aleggia attorno, rimarcata da veli neri, bandiere piratesche e scheletri in scena. Al fianco di Riccardo c’è il fedele Renato, suo consigliere interpretato da Sebastian Catana, che nella prima parte della storia protegge il conte dalle volontà omicidiarie di Samuel e Tom (Zhibin Zhang e Kwangsik Park), rappresentando la parte più razionale dell’amministrazione della colonia americana del Massachussetts, dove si svolge la vicenda. Riccardo ama segretamente Amelia (Maria Teresa Leva), moglie di Renato, da cui è corrisposto ma che è per lui causa di profondi dilemmi interiori data la sua amicizia col marito di lei. Renato scoprirà l’amore tra la consorte e Riccardo che, seppur platonico, costerà a quest’ultimo la morte per mano di colui che si era prodigato così tanto per salvare la sua vita e le sorti della colonia.

Com’è lo spettacolo “Un ballo in maschera”
Daniele Menghini allestisce, insieme a Signorini (scene), Campisi (costumi) e Bertoli (luci), atmosfere che risultano autentiche nel decorso surreale della storia, in cui i personaggi vivono emozioni di gioia e dolore, purtroppo non sempre supportate da voci empatiche verso il pubblico ad abbracciare una regia generosa. La vocalità dei protagonisti è bella nonostante problemi di tecnica occasionali che disturbano la loro performance: Leva è dotata di uno strumento corposo ma stringe un po’ la gola qui e là, arrivando tuttavia in piena forma a un finale in cui regala un’espressività efficace ma non particolarmente presente in precedenza durante l’opera; Lippi fa bene la sua parte sia vocalmente che nel movimento, gioca con scheletri e costumi, e sarebbe interessante sentire maggiore rotondità nella sua esecuzione, specialmente in questo repertorio; Ceraulo è divertente e pungente nella sua interpretazione di Oscar, ma deve fare attenzione all’emissione vocale nel finale delle frasi, perché il rischio di essere coperta dall’orchestra è dietro l’angolo. Chiara Mogini dà una bella interpretazione di Ulrica, così come Catana fa di Renato, pur mostrando più le sue capacità canore e meno la tensione attoriale.









Le vicende dell’opera “Un ballo in maschera”
Un ballo in maschera è una delle opere di Verdi più ostacolate nella sua realizzazione e messa in scena. La vicenda è ispirata al regicidio di Gustavo III di Svezia durante un ballo mascherato, affrontata anche da Scribe in Gustave III ou Le bal masqué, da cui Verdi prende ispirazione. Censurata più volte per i temi e l’ambientazione scomodi per i regnanti del tempo, quest’opera venne infine presentata nel 1859 al Teatro Apollo di Roma, per poi godere di un più ampio consenso nel secolo successivo. La messa in scena bolognese nasce dalla collaborazione del TCBO con il Teatro Regio di Parma e con la Fondazione Rete Lirica delle Marche, ed è stata in scena nel capoluogo emiliano con doppio cast dal 13 al 19 aprile dopo il debutto a Busseto per il XXIV Festival Verdi. L’orchestra e il coro sono quelli del Teatro Comunale di Bologna, che danno un’interpretazione fedele dello spartito abbracciando anche scelte registiche più dinamiche di noiosi piazzati che troppo spesso vediamo sui palcoscenici (coro).
La lettura del regista Menghini
La prospettiva di Menghini su Un ballo in maschera fa trasparire una concezione di opera lirica che va contro a certa pigrizia della tradizione registica nell’esplorare la potenza del mezzo teatrale, forse non tenendo troppo conto di una sensibilità socioculturale in evoluzione verso i temi affrontati nei vari libretti e i mezzi utilizzati per fare teatro. Lui invece sperimenta prendendo la rappresentazione come un’opportunità per sorprendere tramite la commistione di generi scenici diversi, proponendo scelte curiose senza mai adottare un’estetica fine a sé stessa poiché, come dice, “nel teatro l’estetica è sostanza”. Impegnato a Firenze in maggio con Der Junge Lord di Henze, Menghini si approccia all’opera lirica mantenendo una continuità con il passato ma non rinunciando a offrire uno sguardo veritiero e attuale sui fatti narrati, optando per scelte spesso non scontate ma forti di un’esperienza multimediale maturata nel corso della sua carriera. Inevitabile è riflettere, e sperare, che lui e altri registi coraggiosi continuino a creare ponti tra il patrimonio identitario che l’opera porta con sé e forme attuali e attente di espressività teatrale, risolvendo in parte la concezione della produzione “classica” per voce come inarrivabile, incomprensibile, anacronistica.
Andrea Stegani
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