(Un)pinning the Butterfly. Un convegno indaga le retoriche di Manifesta

Si è svolto il 18 luglio presso la Naba – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, il seminario (Un)pinning the Butterfly che ha analizzato le retoriche di Manifesta. Elvira Vannini, docente e curatrice, riassume qui i macro temi del convegno, di cui Artribune pubblicherà alcuni dei contributi mentre Manifesta 12 è ancora in corso a Palermo.

Nel 1923 Aby Warburg annotava, nei diari medici del sanatorio, la visione di una ninfa che in forma di una bella farfalla gli sfuggiva: «la più bella farfalla che io abbia mai puntato (fissato con uno spillo), all’improvviso irrompe attraverso il vetro e balla beffarda verso l’alto nell’aria blu. (…) Ora dovrei catturarla di nuovo, ma non sono equipaggiato per questo tipo di locomozione. O per essere precisi, mi piacerebbe, ma la mia formazione intellettuale non mi permette di farlo».

LO SPETTACOLO DELLA CANCELLAZIONE

Così conclude Vesna Madžoski il suo testo De Cvratoribvs: The Dialectics of Care and Confinement, pubblicato nel 2013, il cui nucleo centrale è costituito da una feroce disamina di Manifesta (che definisce come “lo spettacolo della cancellazione”) e che insieme a Il brand Manifesta. La versione cinica dell’exhibition making di Marco Scotini ha costituito, tra le altre, alcune delle letture da cui il seminario ha preso le mosse, durante il corso tenuto da Elvira Vannini con gli artisti e curatori del II anno del Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali di Naba, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Per conoscere i processi di produzione artistica anche dalla prospettiva del sistema espositivo contemporaneo, attraverso il fenomeno di biennali e large-scale exhibitions, si è tentato di decostruire, proprio a partire dal caso studio di Manifesta, la sua storia e le retoriche che l’hanno legittimata. E tra queste retoriche, alcune controverse questioni che Vesna Madžoski, ricercatrice di origini serbe con base ad Amsterdam, non esita a definire come “i crimini nell’archivio di Manifesta”:

  1. l’intenzione da parte di Manifesta di detenere il pieno controllo della propria immagine storica.
  2. la democrazia – insieme al network for exchange e al new model of mutual coopertation – e nonostante resti ancora la metafora associata ai discorsi ufficiali e all’immagine di Manifesta, a dispetto dell’apertura le è stato impedito, durante le sue ricerche di dottorato, di accedere a una parte dei documenti per la consultazione nell’archivio.
  3. la preistoria di Manifesta non è mai stata resa pubblica, come la stessa direttrice Hedwig Fijen ribatteva a una domanda provocatoria: “La preistoria di Manifesta non è per nulla nebulosa, tuttavia non è mai stata messa per iscritto e resa disponibile al pubblico”. Perché queste omissioni? Non era Derrida a sostenere che non c’è potere politico senza controllo dell’archivio? Controllo non solo fisico ma anche dell’ordine del discorso storico – mai reso visibile nemmeno quando i curatori di Manifesta 4 fecero dell’archivio stesso un oggetto espositivo (definito un “monumento amministrativo”, van Winkel, 2005).

MANIFESTOLOGY

Marco Scotini ha parlato del “brand Manifesta” definendola come un’impresa post-fordista dell’Unione Europea mentre “Manifestology[i] è il neologismo con cui Marina Gržinić propone di pensare alla biennale europea: la genealogia di una specifica condizione capitalista globale che produce questo tipo di esposizioni, suggerendo non solo di rintracciarne le origini e le sue connessioni con l’Unione Europea, ma anche di indagare l’emersione di specifici discorsi e piattaforme espositive in rapporto con il capitale, il mercato dell’arte, in quanto punta avanzata del neoliberismo e le condizioni di lavoro precarie.

foto di Daniele Marzorati

foto di Daniele Marzorati

LA STORIA DI MANIFESTA

Manifesta, la Biennale “pan-europea”, itinerante, nomadica e trans-nazionale, nasceva nel ‘92, su iniziativa del governo olandese, come piattaforma per gli scambi culturali tra i nuovi paesi europei unificati dopo l’89 e in risposta ai cambiamenti politico-economici avvenuti con la fine della Guerra Fredda e con l’integrazione europea. Il progetto avrebbe dovuto tenere conto del cambiamento generato dalla caduta del Muro mentre sul piano artistico, dello smantellamento della Biennale di Parigi (dopo il 1985) e la cancellazione di Aperto alla Biennale di Venezia. Nel 1992 si costituì la European Art Manifestation o EAM, composta da membri olandesi e strutturata secondo il modello Open Society Institute. La prima edizione di Manifesta si tenne a nel 1994 a Rotterdam. Ma il carattere nomadico richiedeva un’infrastruttura amministrativa centralizzata e permanente (International Foundation Manifesta con base fisica e sede legale ad Amsterdam creata nel 1999).

MANIFESTA A PALERMO

La dodicesima edizione di Manifesta ha inaugurato a Palermo e in questi giorni i resoconti della stampa italiana e internazionale associano la manifestazione artistica all’ordine del discorso umanitario e alle vicende dell’Acquarius, la chiusura dei porti e il ruolo delle Ong, il razzismo aggressivo salviniano e le dichiarazioni del sindaco di Palermo Leoluca Orlando. L’immagine dell’accoglienza negata è l’immagine dell’Europa che Manifesta rappresenta. Ma a parte i toni entusiasti dei portavoce locali, che ne sono largamente finanziatori, con quali strumenti si giudica il successo di Manifesta? Perché sono scomparse dalle narrazioni ufficiali le tracce della sua storia? Il processo di candidatura e selezione delle città ospitanti è simile a quello dell’assegnazione delle Olimpiadi o di manifestazioni come Expo: “Costruita come una manifestazione la cui esistenza economica dipende in gran parte dal budget dell’host locale, Manifesta è stata presto trasformata in un’impresa economica e un marchio da desiderare e per cui competere per la maggior parte delle città europee, che ambiscono a promuovere la propria immagine “positiva” ed europea nel più ampio ordine politico e culturale. Da questa prospettiva, Manifesta assomiglia più a un virus […] l’host partecipa volontariamente pagando a caro prezzo per i benefici ricavati dal virus che ospita.” Perché, nonostante la retorica dello scambio con l’Est Europa, a parte Ljubjana nessun’altro Stato del Patto di Warsavia ha mai ospitato una edizione di Manifesta?

CHI HA PARTECIPATO

(Un)pinning the Butterfly. Le retoriche di Manifesta, sarà anche una pubblicazione on-line sul sito Hotpotatoes di cui proporremo nei prossimi giorni alcuni contributi. Hanno partecipato: Antonia Algeri, Carmine Agosto, Maria Chiara Baccanelli, Lisa Barbieri, Isabella Boghetti, Giulia Carletti, Federico Catagnoli, Oliviero Fiorenzi, Veronica Franzoni, Benedetta Incerti, Maria Teresa Lattarulo, Carolina Mancini, Beatrice Mantovani, Edoardo Manzoni, Cecilia Meroni, Kim Yoogin, Giada Olivotto, Laura Pessina, Ilaria Pittassi, Roberta Riccio, Daniela Sangiorgio, Emanuele Tira, Mauro Valsecchi.

Elvira Vannini

www.hotpotatoes.it

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Elvira Vannini

Elvira Vannini

Elvira Vannini è storica dell’arte e critica. Dottore di ricerca in Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università degli Studi di Bologna, diplomata alla Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte. Ha tenuto seminari e lezioni in numerose Istituzioni, Università e Accademie, tra…

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