Diego Marcon. Un cacciatore di nuvole in residenza a Vassivière

In mezzo a un lago al centro della Francia c’è un castello. È la sede delle residenze organizzate dal Centre international d'art et du paysage de l'île de Vassivière. Ora è viverci c’è Diego Marcon, che abbiamo intervistato.

Il Centre international d’art et du paysage de l’île de Vassivière è stato progettato da Aldo Rossi, il castelletto è stato ristrutturato da Berger & Berger, sotto la guida dell’allora direttrice Chiara Parisi, che riteneva imprescindibile la presenza degli artisti sull’isola. Qui abita per quattro mesi Diego Marcon, uno dei tre borsisti della seconda edizione del programma di residenze. Ecco cosa racconta della sua esperienza in corso.

Con che progetto ti sei candidato?
Sto sviluppando un film sulle nuvole, girando in pellicola Super8 bianco e nero invertibile. È la prima volta che lavoro con questo supporto. Il progetto è nato dopo aver visto alcuni schizzi realizzati da Turner durante i suoi viaggi. Sono segni di grafite nera su fogli bianchi; studi di cieli, bozze, scarabocchi tracciati in un istante, nel tentativo di afferrare questi corpi nel cielo, di disegnare il gesto di un colpo d’occhio, rapido. Poco a poco altri sguardi sono emersi nel progetto, attraversandolo: quello di Salomon Andrée, trascritto nel diario della sua spedizione verso il Polo Nord, perso in una distesa artica senza più coordinate né prospettive. Quello di Saint-Exupéry, che attraversa le nuvole e che racconta nelle lettere a Renée de Saussine. Quello di Jean-Luc Nancy davanti a un lago. Quello di Françoise Sagan per le sue “nuvole meravigliose“.

Berger&Berger e BuildingBuilding, Notus Loci, restauro del Castello di Vassivière, estensione del Centre international d'art et du paysage - Stanza a cielo aperto - Foto: Guillaume Ziccarelli

Berger&Berger e BuildingBuilding, Notus Loci, restauro del Castello di Vassivière, estensione del Centre international d’art et du paysage – Stanza a cielo aperto – Foto: Guillaume Ziccarelli

Da cosa è nata l’esigenza di girare su pellicola?
È stato un processo molto naturale. Uno dei miei ultimi lavori – Litania, 2011 – è girato a Medjugorje, un paese bosniaco in cui dal 1982 la Madonna appare a un gruppo di persone. In questi anni Medjugorje è diventato meta di un pellegrinaggio cattolico di raccoglimento e preghiera. Il lavoro segue i pellegrini attraverso i luoghi delle apparizioni, nell’arco temporale di una giornata e, mano a mano che si avvicina alla visione, perde la vista; è un graduale dissolversi e sprofondare nel nero dell’immagine. Lo sguardo si tende in una lunga sequenza oscura, in cui ogni immagine è immersa in una profondità irriducibile, attraversata solamente da qualche segno di luce – alcune torce, dei lampi.
È da questo buio che ha preso forma il lavoro sulle nuvole. Affiora da questa ostinazione. Ho iniziato a lavorare in pellicola, sviluppandola manualmente, attraverso un procedimento “artigianale”, quasi scultoreo, che richiede cura e attenzione costanti. Ho sperimentato in modo fisico il comparire di un’immagine. Il lavoro procede per tentativi, osservazione e analisi. Lentamente, un corpus visibile affiora, prende forma, si espande e smargina, per poi dissolversi di nuovo, come una nuvola.

In che modo la permanenza a Vassivière ha determinato il progetto?
In nessun modo e in tutti i modi possibili.

Quella attuale non è la prima residenza che svolgi. Quali sono le principali differenze di impostazione rispetto ai programmi della Dena Foundation for Contemporary Art, della Fondazione Bevilacqua La Masa, della Fondazione Antonio Ratti?
Nel 2009 ho passato tre mesi al Centre International d’Accueil et d’Echanges des Récollets a Parigi, con una borsa della Dena Foundation for Contemporary Art. Non ero mai stato all’estero prima, se non per brevi periodi di vacanza, e ho vissuto quei tre mesi con forte entusiasmo e meraviglia. L’obiettivo principale della residenza era mettere l’artista in contatto con l’ambiente parigino e Francesca di Nardo, che allora dirigeva il programma di residenze, organizzava per i borsisti una fitta serie di incontri e studio visit: quasi ogni giorno c’era un appuntamento o una mostra da vedere, un posto da visitare.

Charles W. Cushman, 5 luglio 1945 - da Charles W. Cushman Photograph Collection, Indiana University Archives / Digital Library Program

Charles W. Cushman, 5 luglio 1945 – da Charles W. Cushman Photograph Collection, Indiana University Archives / Digital Library Program

La residenza al Centre International d’art et du paysage ha presupposti completamente diversi e fa della sua condizione di isolamento un punto di forza: quello passato qui è un periodo in cui il punto centrale diventa la totale focalizzazione sulla ricerca e sulla sperimentazione. È un momento di assoluta concentrazione.
Nel 2010 sono stato assegnatario di uno studio presso il Palazzo Carminati della Fondazione Bevilacqua La Masa, che penso costituisca un caso unico in Italia e che è stata per me un’esperienza molto positiva, nel privilegio di poter lavorare senza orari né divieti in un bellissimo spazio e con il supporto di un team molto felice e informale.
Il Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Antonio Ratti invece credo sia un caso a sé e lo considero un workshop più che una residenza: l’ho frequentato nel 2009, un mese prima di partire per Parigi. Durante quelle tre settimane sono nati importanti confronti con alcuni degli artisti del gruppo e, soprattutto, con Anna Daneri e Walid Raad.

A giugno terminerai la residenza a Vassivière. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Subito dopo la residenza al Centre International d’art et du paysage mi sposterò tre mesi a Parigi, alla Cité International des Arts, per un programma dell’Institut Français d’Italie alla cui selezione sono stato invitato da Marcello Smarrelli. Qui innanzitutto porterò a termine il progetto iniziato a Vassivière.

La Francia pare, per il momento, la tua terra d’accoglienza privilegiata. Quali sono le differenze principali che riscontri rispetto all’Italia?
In Francia sembra esserci un solido sistema a sostegno degli artisti, il cui aspetto più positivo credo sia innanzitutto quello di riconoscere loro una figura “reale”. Penso che questo supporto sia importante, ma allo stesso tempo non determinante. Mi interessano le differenti aperture che entrambe contengono, la possibilità che coincidano con alcune necessità, ogni volta diverse. È qualcosa che ha a che fare con degli elementi meno vaghi delle idee di Italia e Francia come nazioni o sistemi, di cui se ne frega e che scalza. È un bisogno profondo di dare respiro al proprio sguardo, di lasciargli lo spazio perché possa tendersi verso un’altra direzione.

Marta Cereda

www.ciapiledevassiviere.com
www.diegomarcon.net

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Marta Cereda

Marta Cereda

Marta Cereda (Busto Arsizio, 1986) è critica d’arte e curatrice. Dopo aver approfondito la gestione reticolare internazionale di musei regionali tra Stati Uniti e Francia, ha collaborato con musei, case d’asta e associazioni culturali milanesi. Dal 2011 scrive per Artribune.

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