Il mio nome è ORLAN. Intervista e mostra a Roma

In mostra al Macro di Roma, ORLAN si racconta. Spaziando dal corpo alla tecnologia, senza dimenticare l’attenzione per l’universo femminile.

Una mostra breve quella che il Macro di Roma dedica all’eclettica artista, esponente di spicco della Carnal Art, oggi però filtrata dal medium tecnologico. Due sale che mostrano i due aspetti più evidenti della sua ricerca, dagli albori alle nuove sperimentazioni: corpo e tecnologia, come chiarisce anche il titolo dell’esposizione. Durante la conferenza stampa ORLAN (Saint-Étienne, 1947) si presenta insieme a Stefania Miscetti, che ha proposto il progetto al Macro qualche anno fa dopo averle dedicato una personale nel suo studio nel 1996. Colpisce la sua garbata presenza oltre all’aspetto marziale conferitole perlopiù dalla ripida acconciatura bicolore e dai bozzi glitterati sulle tempie. A una delle prime domande ‒ “Pensa di essere una persona normale?” ‒ risponde: “Non so che cosa significa normale, però se mi descrivono come una donna che ha due bozzi sulle tempie e non mi vedono penso che tutti pensino che io sia un mostro indesiderabile, dunque dipende da cosa voi pensate sia la normalità.
E quando le si chiede perché ORLAN; tutto in maiuscolo, la risposta è: “Perché per riuscire a scolpire il proprio corpo bisogna anche cominciare a scolpire un nuovo nome”.
Composto da due parole, il nome che ha scelto sin dall’inizio della sua pratica artistica ha origine – come lei stessa dichiara – da una prima parte (OR) estratta dal suo nome anagrafico: “Mentre sto per firmare un assegno mi accorgo di una cosa di cui mi ero mai accorta e di cui non si erano mai accorti neanche tutti i miei parenti, i miei amici, nessuno. Nel tentativo di fare una bella scrittura, come succede quando si è adolescenti, io stavo cercando di scrivere una parola che ho realizzato per la prima volta che in francese volesse dire anche morte. Della parola morte sceglie solo “OR” e aggiunge “LAN”, che tradotto dal francese vuol dire lentamente.

ORLAN, Expèriment mise en jeu. Screenshot

ORLAN, Expèriment mise en jeu. Screenshot

IDENTITÀ E TECNOLOGIA

La mostra, curata da Alessandra Mammì, mette in risalto uno degli aspetti meno visti della sua ricerca: l’utilizzo della tecnologia che approda, per la prima volta nel suo lavoro, verso uno spazio virtuale con la realtà aumentata e il videogioco.
In questo videogioco mi sono ispirata a una scultura interattiva e luminosa che ho realizzato qualche anno fa”. Si riferisce a Bumpload, la stessa per la quale pare abbia richiesto un risarcimento di 31,5 milioni di dollari a Lady Gaga accusandola di plagio per essersi acconciata, in Born This Way, con escrescenze sulla fronte e costumi che rimandano alla sua scultura oltre che ai suoi reali bozzi sulle tempie. Già, perché “Non sono corna, sono bozzi!” –chiarisce lei stessa ‒ e sembra abbia creato una moda proprio attorno a queste protesi dal momento che, fin dal ’98, lo stilista Walter Van Beirendonck, col suo consenso, aveva messo a punto un catalogo dove i modelli avevano tutti i suoi stessi “bernoccoli”.  Ma alla domanda: “Non crede di aver lavorato su un’identità mutante che rischia di diventare un modello?”, risponde: “Walter mi ha reso molto omaggio mettendo i suoi modelli sul poggio della moda con gli stessi bozzi miei. È stato per me fantastico che dentro al mondo della moda, sempre dal lato del bello, del glamour, questo stilista abbia compreso talmente bene il mio lavoro da assumersi gli eventuali rischi.
Expèriment mise en jeu, il suo videogioco con braccialetto myo realizzato nel 2015, parte da una riflessione: “Troppi ragazzi giocano a uccidere”. Il fenomeno sociale del videogame si ripercuote nel suo lavoro con un gioco dove uccidere non è giocare. “Ho pensato a un videogioco in cui questa scultura potesse ritrovare pezzi di se stessa in un mondo di rovine e ricostruire man mano la propria identità. Solo alla fine, quando il suo corpo si ricompone, si raggiunge una catarsi e le rovine si ricompongono, tutto è ricostruito”, all’opposto dei videogame in circolo che invece tendono alla distruzione. “Perché io sono rimasta molto colpita dalla grande distruzione di Palmira e dei Buddha e ho pensato che su questa cosa bisognasse intervenire”. Il progetto si propone di raggiungere 7 livelli di difficoltà, a oggi sono solo 3.

ORLAN, Dressing Of the Bride to Be, 1981

ORLAN, Dressing Of the Bride to Be, 1981

CORPO, IRONIA E DENUNCIA

Riguardo alla presenza sempre meno “carnale” del suo corpo nelle ultime opere, ORLAN afferma:Non è qualcosa che si è fermato e non è neanche una scelta definitiva. Se penserò a qualcosa in rapporto alla medicina, alla genetica o ad altre sperimentazioni può essere che rifarò delle cose che passano dal corpo, ma non è il corpo contro il virtuale o viceversa. Faccio quello che voglio in modo libero quando penso che sia necessario dire o fare in un certo modo. Per esempio, quando ho deciso di mettere in coltura alcune cellule della mia pelle in una performance in Australia [The Harlequin’s Coat, 2007, N. d. R.], ho fatto una biopsia. E con la microbiotica ho lavorato direttamente con la materia del mio corpo.
Il concetto di identità mutante, ribadito più volte attraverso le sue performance, si attua non solo materialmente sul suo corpo ma si trasferisce già da tempo sulle sue opere fotografiche. “Credo che il mio corpo sia un’identità nomade, mutante, in movimento. Ho lavorato molto con le “Self-hybridations”. Ho una serie di “Self-hybridations” precolombiana, una africana, una indoamericana e l’ultima, esposta qui, realizzata con le maschere dell’opera di Pechino in riferimento alla Cina. Quest’ultima è apprezzabile solo scaricando l’applicazione “Augment” poiché è un’opera di realtà aumentata che trasforma ORLAN in un avatar in 3D che salta acrobaticamente fuori dal quadro occupando tablet e smartphone dei visitatori.
Emerge una visione ludica e ironica associata sempre a un messaggio politico di denuncia, questa volta diretto al Teatro Lirico Nazionale cinese nel quale il palcoscenico è ancora vietato alle donne e i ruoli femminili sono interpretati dagli uomini: “Io sono contro tutte le discriminazioni, ci sono donne che non possono dire quello che vogliono all’interno delle proprie realtà e noi che possiamo farlo abbiamo il dovere di farlo”.

ORLAN, Self hybridations. Masques de l'Opéra de Pékin, 2014

ORLAN, Self hybridations. Masques de l’Opéra de Pékin, 2014

SUL FEMMINISMO

E a proposito del femminismo, in riferimento al caso di Harvey Weinstein dice: “Questo caso ci permette di parlare di nuovo del femminismo, di ciò che accade da noi e che in altri luoghi è ancora peggio. Di ragazze minorenni sposate con uomini vecchi, di casi di pedofilia nella Chiesa Cattolica. Mentre la schiavitù è stata abolita, alcune donne sono schiave a casa e schiave sessuali. Quindi, c’è ancora di peggio. Ci sono donne che non hanno diritto ad avere dei medicinali, all’istruzione, di guidare una macchina… Tutte queste assurdità, queste pressioni, queste manipolazioni sul corpo delle donne, quello di cui ho sempre parlato, non è nuovo. Certo, non sono “contenta”, ma penso sia un bene che possiamo di nuovo parlare di questo tema e anche delle donne. Spesso incontriamo delle donne che dicono “non sono femminista”, perché dire questo non piacerebbe agli uomini. Ma è bene che oggi ne parliamo e sarebbe bene se alcune donne che non sono “femministe” fossero capaci di aprire gli occhi e denunciare cosa succede ogni giorno. Ci sono anche uomini meravigliosi che non sono misogini, maschilisti o sessisti però ci sono tante altre realtà. Gli uomini che constatano questo abomino, questa discriminazione, però, devono veramente aiutarci e supportarci per risolvere il problema, anche se non sono direttamente coinvolti”.
Oltre alle ultime opere realizzate con l’ausilio delle nuove tecnologie sono stati esposti alcune opere video precedenti, in cui l’artista mette in scena se stessa progettando costumi e set e lavorandoci successivamente in postproduzione, e alcune installazioni composte da fotografie ritagliate e incollate su supporto ligneo, come Panoplie de la fille à marier del 1981, Têtes à claques, jeu de massacre del 1977, Habiliage/dédhabiliage del 1977, che, oltre a denunciare il ruolo della donna nella società, chiariscono le sue ricerche di ORLAN anche in relazione al ruolo dello spettatore: “Sono sempre stata interessata alla posizione dello spettatore  perché lo spettatore possa, di fronte all’opera, essere coinvolto, divertisti, giocare e entrare nell’opera”.
ORLAN ha conseguito il Premio Ipazia all’Eccellenza al Femminile 2017. Vinto l’anno scorso da Emma Bonino, le sarà consegnato a Genova il 22 novembre. L’artista tornerà a Roma il 14 dicembre nell’ambito de “I Giovedì della Villa” presso Villa Medici per una conferenza dal titolo Femme avec Tête(s).

Donatella Giordano

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Donatella Giordano

Donatella Giordano

Nata in Sicilia, vive a Roma dal 2001. Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove nel 2006 ha conseguito il diploma di laurea con una tesi che approfondiva la nascita dei primi happening e delle azioni performative…

Scopri di più