Proteggere i beni culturali in tempo di guerra

Minaccia per gli abitanti dei luoghi coinvolti, i conflitti che insanguinano numerose aree del pianeta mettono a repentaglio anche i patrimoni artistici delle zone interessate dalla guerra. Ghiath Rammo sottolinea la necessità di proteggere questi tesori e racconta le vicende di uomini e donne coraggiosi impegnati in una battaglia per la salvaguardia della cultura.

Durante qualsiasi conflitto armato, la distruzione dei beni culturali e storici è da considerarsi un crimine di guerra, come afferma il Protocollo dell’Aia del 1954 proprio riguardo alla protezione dei beni culturali.
È evidente che questi subiscano dei gravi danni e che vengano saccheggiati durante i conflitti, esattamente come gli essere umani, anch’essi vittime, vengono privati dei propri beni, delle loro case e proprietà. Questi danni si moltiplicano quando si segue una pianificazione di distruzione basata sull’odio e sull’aggressione sistematica. Infatti, quello che ha fatto l’Isis in Iraq e Siria era e continua a essere proprio questo. Abbiamo visto tramite filmati e ascoltato dalle notizie che gli uomini dello Stato Islamico, in una continua escalation di violenza, hanno incrementato perfino gli attacchi al patrimonio culturale della regione riconosciuta come la culla della civiltà, la zona compresa tra Siria e Iraq. Hanno distrutto i siti archeologici con bulldozer ed esplosivi, ma non solo, hanno anche intrapreso scavi clandestini per il commercio e il traffico dei reperti più preziosi a livello storico culturale, ma soprattutto economico. Tra le devastazioni più note vi sono certamente quelle perpetuate nella zona intorno all’antica città di Ninive ‒ nel nord dell’Iraq, nei pressi di Mossul ‒ dove hanno apportato pesanti danni alle rovine di tre importanti antiche città, tra le quali vi è anche la polis greco-romana di Hatra ‒ sito patrimonio mondiale dell’Unesco ‒ e nel Museo di Mosul, dove hanno distrutto con mazze e picconi statue e reperti lì conservati, in quelle immagini che tutti noi conosciamo bene.
A Palmira in Siria hanno utilizzato tonnellate di esplosivo per distruggere il Tempio di Baal, uno dei più grandi e importanti del sito, mentre con la dinamite hanno fatto completamente esplodere il monumento simbolo della città, l’arco di trionfo. Ma in Siria sono molte altre le distruzioni e le devastazioni effettuate nei siti archeologici, nelle città, all’interno dei musei e nei più importanti luoghi di culto, tutti vittime di saccheggio e della violenza distruttiva dell’estremismo religioso e dei conflitti armati più in generale. Tra le distruzioni più gravi è impossibile non ricordare la Città Vecchia di Aleppo, con il souk e le rovine antiche o ancora il minareto della Grande Moschea degli Omayyadi; ma anche altri siti e città come Apamea, Mari, Dura Europos e Ebla.

Ristem Abdo e Cristina Menegazzi

Ristem Abdo e Cristina Menegazzi

TENTATIVI DI SALVATAGGIO

La storia e la ricchezza culturale della Siria, rivelata al mondo ‒ dalla seconda metà dell’Ottocento fino all’inizio della guerra nel 2011 ‒ anche grazie all’impegno di centinaia di archeologi, ricercatori e viaggiatori, rischia ora di scomparire per sempre. Per chi volesse conoscere alcuni di questi grandi intellettuali e studiosi del passato, è nel libro La Ricerca Archeologica nel Vicino Oriente dell’archeologa Silvia Festuccia che, attraverso numerosi racconti, prende vita la ricerca di diverse generazioni di esploratori da Max Von Oppenheim (scopritore di Tell Halaf) a Leonard Wolley (archeologo di Karkemish e di Ur), da T.E. Lawrence (il famoso Lawrence d’Arabia) a Max Mallowan (scopritore di Tell Brak e marito di Agatha Christie) fino a Paolo Matthiae (archeologo scopritore di Ebla).
Nonostante il conflitto armato e i pesanti danni, la comunità civile e gli esperti locali hanno provato a salvare lo straordinario patrimonio archeologico siriano e continuano quotidianamente a farlo. È questo per esempio il caso di Ristem Abdo, un archeologo curdo siriano che lavora insieme a un piccolo gruppo di professionisti per documentare e proteggere le aree più interessati a livello storico e archeologico della Jazira, nel Nord-Est della Siria, fino alla regione di Raqqa.
Dal luglio del 2014, Abdo e i suoi colleghi lavorano all’interno dell’associazione ATPA, che è in contatto con le altre realtà locali, nazionali ma anche con le missioni archeologiche internazionali per aggiornare e tenere informati gli archeologi e gli esperti di tutto il mondo, che proprio in Siria hanno condotto importanti missioni di scavo e ricerca. Il lavoro dell’associazione si svolgeva inizialmente nelle sole zone non controllate dallo Stato Islamico, che erano comunque a rischio di saccheggio e scavi clandestini, ma in seguito anche nelle zone liberate dall’Isis, come per esempio l’area del bacino superiore dell’Eufrate in cui si trovano siti importanti per la Siria, come Tell Mumbaqa e Tell Shiyukh Tahtani.
Ristem Abdo, vice presidente dell’associazione, spiega che i loro principali obiettivi sono promuovere una cultura tra tutti i settori della comunità civile per contribuire tutti alla tutela dei siti di interesse archeologico; formare personale qualificato per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali; e avviare collaborazioni con i paesi e le città della regione e con tutti i Paesi del mondo.
L’associazione fino a oggi ha contribuito alla creazione di un grande database in cui è stata raccolta la documentazione di centinaia di siti acquisita tramite dati, fotografie, video e interventi di restauro. Tra i casi più famosi vi è il sito di Tell Baidar, restaurato e protetto da un gruppo di professionisti che collaborano a distanza con la missione archeologica belga, in carico insieme ad altre realtà, degli scavi fino al 2011.
Nella primavera di questo anno, l’associazione ATPA, in collaborazione con gli esperti di ICCM ‒ International Committee for the Conservation of Mosaics, si sono impegnati in una campagna di recupero di un mosaico bizantino rivenuto nel sito di Tell Shiyukh Tahtani (nei pressi di Kobane) e subito portato in una zona sicura.

Raqqa, Cittadella di Jaabar

Raqqa, Cittadella di Jaabar

UN LAVORO RISCHIOSO

Chi poi si è adoperato in altri lavori di protezione dei siti sono gli stessi operai della missione archeologica americana dell’Università della California nel sito di Tell Mozan (nei pressi della città di Qamishli, a circa 5 km di distanza dal confine turco), qui presente dal 1980. L’archeologo italiano Giorgio Buccellati, direttore della missione, aveva detto tempo fa di essere in stretto contatto con i suoi operai, uomini della comunità locale, per continuare i lavori di documentazione e inviare report, mentre la missione continuava a occuparsi della parte economica, anche se a volte sono gli stessi operai a lavorare a proprie spese. Senza dubbio è un lavoro di dignità da entrambi parti.
Ovviamente il lavoro di Abdo e dei suoi colleghi è rischioso, a causa delle mine che possono incontrare nei siti o lungo le strade e per i continui conflitti; è anche particolarmente complicato per la mancanza dei mezzi di trasporto e degli strumenti necessari alla realizzazione di una documentazione scientifica, delle opere di restauro e di archiviazione.
Nel mondo rimarrà a lungo nota la tragica sorte dell’archeologo Khaled al Asaad, morto per proteggere i beni culturali di Palmira, ma non è il solo, sono molti altri infatti gli uomini e le donne, specialisti e non, a rischiare quotidianamente la stessa sorte o ad averla già tristemente incontrata.

Ghiath Rammo

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Ghiath Rammo

Ghiath Rammo

Archeologo orientalista, laureato in Archeologia presso l’Università di Aleppo (Siria). Tra il 2004 e il 2010 ha partecipato agli scavi dell’antica città di Ebla (Siria) come membro della Missione Archeologica Italiana in Siria. Ha maturato esperienza in campo turistico ad…

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