Tra vento e natura. Il Giardino dell’Impossibile a Favignana

La storia del giardino realizzato da Maria Gabriella Campo a Favignana a partire dagli Anni Settanta. E che oggi può contare su un’estensione di 40mila metri quadrati.

È una storia dalle tante sfaccettature, come la pietra. Quella di una donna, che, sfidando tutto e tutti, ha dimostrato che l’impossibile è possibile. Quella di un’antica tradizione, che ha segnato la storia di un’isola intera. Quella di un luogo, restituito alla collettività come patrimonio da difendere e coltivare.
Il Giardino dell’Impossibile è un mondo nascosto all’occhio, sotto e al di là di un muro a secco, lungo una delle tante strade sterrate che percorrono l’isola di Favignana. Qui i giardini sotterranei, o ipogei per dirla tecnicamente, la fanno da padroni. Il motivo è semplice: questo territorio brullo e pianeggiante, sferzato continuamente dal vento che non incontra, ad arginarlo, alcun ostacolo naturale, poteva trovare terreno fertile per la coltivazione delle piante solo sotto il livello della strada. Al riparo dal vento e più vicino possibile alla falda acquifera.
Quando Maria Gabriella Campo si trasferisce qui negli Anni Settanta insieme al marito, ad aspettarli c’è solo una piccola casa prefabbricata spersa tra le brulle campagne favignanesi. Favignana non era, allora, la meta turistica che oggi conosciamo: la vita sociale idem. Di tempo libero Maria Gabriella ne ha tanto, forse troppo. Così inizia a dedicarsi alla realizzazione di un piccolo giardino, senza pretese: giusto qualche pianta da fiore e una zona d’ombra con dei pini d’Aleppo. Oggi, il Giardino dell’Impossibile conta oltre 40mila metri quadrati di orto botanico (la metà dei quali sotto il livello della strada) con 300 specie provenienti da tutto il mondo, nucleo principale di un’area, quella di Villa Margherita, attrezzata con case e appartamenti per le vacanze.

Il Giardino dell’Impossibile, Favignana, 2018

Il Giardino dell’Impossibile, Favignana, 2018

UN’IMPRESA COMPLESSA

Stai perdendo tempo”“Stai buttando via soldi”. “Impossibile far attecchire delle piante su questa terra”. Se Gabriella Campo avesse dato retta ai detrattori, oggi il Giardino dell’Impossibile non esisterebbe. A volerlo chiamare così è stata proprio lei, in una sorta di rivincita karmica contro i detrattori che per anni l’hanno trattata alla stregua di una pazza scialacquatrice.
L’impresa, va da sé, non è stata né semplice, né breve. Quando Gabriella e suo marito acquistano, poco per volta, i terreni limitrofi, questi sono del tutto incolti. Sono ex cave di calcarenite a cielo aperto (ri-utilizzate nel corso dei decenni come frutteti o, nel peggiore dei casi, come discariche abusive), reperti “archeologici” di quell’industria estrattiva che aveva fatto la fortuna economica di Favignana: la pietra estratta sull’isola veniva utilizzata per la costruzione delle case degli isolani e, grazie agli scivoli di imbarco (“scari”) dai quali si facevano scendere i blocchi fino al mare e alle imbarcazioni (“schifazzi”), veniva esportata in tutto il Mediterraneo. Con la calcarenite favignanese sono stati costruiti monumenti, case, chiese e palazzi in tutta la Sicilia (il Teatro Massimo a Palermo e la città di Messina, ricostruita dopo il terremoto del 1908, solo per citare due casi): questa pietra, impropriamente detta tufo, era apprezzata per consistenza e bellezza.

Il Giardino dell’Impossibile, Favignana, 2018

Il Giardino dell’Impossibile, Favignana, 2018

NON SOLO BOTANICA

Il Giardino dell’Impossibile è un museo non solo botanico, ma anche storico e culturale.
Racconta la storia di Gabriella, ma anche quella di tanti pirriaturi. Sono loro, i mastri cavatori, che, per circa tre secoli (fino all’introduzione del mattone forato in edilizia), tagliano, staccano, caricano e trasportano i blocchi di calcarenite con l’aiuto di semplici arnesi manuali, brandendo picconi, zappe e mannare (una specie di piccozza con la lama larga e il manico piatto).
I blocchi di calcarenite estratti dalle cave hanno dimensioni ben precise: 25 per 25 per 50 centimetri. Sono detti cantuna. Per riconoscere quelli buoni “u cantuni ha da cantare”, dicevano i cavatori: per questo colpivano la pietra con un’altra, e se il rumore che ne usciva non era rumore, ma suono, allora il blocco era buono.
Dall’alto verso il basso, scendendo per pareti a strapiombo, i pirriaturi tagliavano la prima fila di blocchi per verticale, in modo da sondare uno strato più profondo e al tempo stesso crearsi lo spazio per scendere più in profondità.
Mano a mano che la cava si faceva più profonda i pirriaturi scavavano nella parete degli “scanneddi”, sorta di appigli che servivano per risalire la parete una volta ultimata la cavatura.
Uno alla volta, i cantuna venivano caricati su carri trainati da animali e il mastro pirriaturo incideva, sulla parete della cava, una tacca per ogni blocco che veniva estratto: in questo modo, alla fine della giornata, era in grado di capire quanti soldi spettassero a ogni lavoratore.
Non segue alcun disegno, alcuno schema preciso il Giardino dell’Impossibile. Si snoda attraverso un dedalo di gallerie, grotte, cunicoli, cave a cielo aperto dove la calcarenite abbraccia le piante: alberi di jacaranda e papiri egiziani, siepi di carissa e ibisco, euforbie africane e yucche, agavi, bouganvillea e ovviamente agrumi. Un mondo antico e una natura primordiale, dove l’unica strada da seguire è quella dell’ascolto paziente.

Luca Giuntini

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Luca Giuntini

Luca Giuntini

Giornalista professionista, dopo un decennio da collaboratore, redattore e addetto stampa per diverse testate giornalistiche, mi sono lanciato in una nuova sfida personale e professionale re-inventandomi freelance. Lavoro per una delle principali agenzie di comunicazione a livello internazionale, sviluppando contenuti…

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