Cannes 2018: il film Dogman di Matteo Garrone porta al cinema il canaro della Magliana

Matteo Garrone presenta in Concorso al Festival di Cannes (8 – 19 maggio) il suo film sul “fattaccio” del canaro della Magliana. Non un film che rispetta la realtà dei fatti ma un racconto che mostra la solitudine umana e il suo estremo di follia nel momento di peggiore rassegnazione.

Forse la periferia romana, forse gli anni ‘80, forse una storia di solitudine e orrore. Dogman di Matteo Garrone passa alla visione di stampa e pubblico al 71esimo Festival di Cannes. È il secondo film italiano in competizione. Garrone, regista rude e avvincente ma anche penetrante, torna sulla Croisette dopo avere presentato qui qualche anno fa Il racconto dei racconti. Dogman nulla però ha a che vedere con la letteratura, anche se le “gesta” del suo protagonista, Marcello, hanno molto in comune con la tragicità classica. Quella di Dogman, o meglio del “canaro”, è una storia vera. Una storia di solitudine e imperfezione, di male e confusione. Una storia estrema portata sul grande schermo, in un certo senso, romanzata.

RACCONTO DI STRADA E DI CRONACA NERA

Dogman di Matteo Garrone

Dogman di Matteo Garrone

Dogman è Marcello. Marcello ama i cani, forse più delle persone ma sicuramente meno della sua bambina. Vive una routine ristretta e fiacca, sempre nella speranza di quel qualcosa in più che possa realizzare qualche piccolo sogno, come portare la bambina a mare.  Marcello è un uomo buono, senza grilli per la testa o strane dipendenze. Non è un delinquente ma a volte cede ai compromessi del denaro. Un uomo di strada interpretato da Marcello Fonte in maniera reale, convincente e presente. La sua è una storia che non ha un lieto fine, e sui giornali di qualche decennio fa se ne hanno le prove. La storia di Dogman infatti si ispira liberamente alla tragica vicenda del canaro della Magliana. “È un film che si ispira a un fatto di cronaca nera accaduto trent’anni fa, ma non che vuole in alcun modo ricostruire i fatti come si dice che siano avvenuti”, puntualizza Matteo Garrone. “Ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura 12 anni fa: nel corso del tempo l’ho ripresa in mano tante volte, cercando di adattarla ai miei cambiamenti. Finalmente l’incontro con il protagonista del film, Marcello Fonte, con la sua umanità, ha chiarito dentro di me come affrontare una materia così cupa e violenta, e il personaggio che volevo raccontare: un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente”.

PERSONAGGI IN CERCA DI FUGA

I personaggi del film sono tutti uomini in cerca di “fuga”. Fuga da una quotidianità monotona, ingiusta e logorante. In Dogman c’è l’uomo violento e “padrone”, quello pronto a ribellarsi al sistema “poco costituito”, quello che fa il beffardo ma non ha il coraggio, quello che si crede migliore degli altri ma in fondo non lo è. Matteo Garrone con Dogman porta sul grande schermo una storia forte e crudele, dai toni e colori spenti, di personaggi reali e umani e che proprio perché uomini sono fragili, vigliacchi, irruenti. La vicenda a cui si ispira il film è di una crudeltà e di uno sgomento talmente alto e fastidioso da lasciare lo spettatore un po’ inerme dopo la sua visione. Senza spoiler, senza anticipazioni… quella proposta è una storia di giustizia e liberazione, di repressione e di ricerca. Non è la ricostruzione reale di quello che è passato alla storia come il più efferato delitto di Roma: dell’uomo che fece a pezzi il suo aguzzino. Una scelta forse non saggia per un regista che ci ha insegnato come la forza delle immagini, anche la loro “crudeltà”, sia delle volte necessaria.

ER CANARO, BREVE CENNO

La storia vera ha inizio dalla sua fine. Il 19 febbraio 1988 viene ritrovato in zona Portuense a Roma un ammasso fumante di resti umani. All’arrivo della Polizia e dalle indagini seguenti non ci sono dubbi, si tratta di una persona, Giancarlo Ricci, ex pugile e pregiudicato della zona. L’uomo è stato torturato prima di essere ucciso. Gli hanno amputato i pollici e gli indici, tagliato il naso e le orecchie, strappato la lingua e lo hanno addirittura evirato. Artefice di tutto Pietro De Negri, “er canaro”, come si dice a Roma. Ricci è stato ucciso per “punizione”, per stanchezza, per follia, da parte di un uomo che per troppo tempo ha subito da questi cattiverie e ingiustizie a ripetizione, e a causa del quale aveva trascorso un anno in carcere. Cosa si nasconde dietro questa storia non si conosce del tutto e forse mai si saprà. Di certo a non rivelare nulla di nuovo è Dogman, che però centra il punto: la fragilità, l’imprevedibilità dei gesti dell’uomo in quanto essere animale.

–       Margherita Bordino

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

Scopri di più