Il nuovissimo Whitney Museum di Renzo Piano apre a New York. Ecco le prime foto e i programmi per i giorni di opening

IL WHITNEY È SEMPRE IL WHITNEY “Un edificio è come un albero, come una foresta, cresce lentamente e poi rimane per dei secoli”. Così l’archistar Renzo Piano introduce in conferenza stampa il nuovo Whitney Museum of American Art. Parla della complessità di competere con l’edificio del suo collega storico Marcel Breuer, sulla Madison Avenue. L’intento […]

IL WHITNEY È SEMPRE IL WHITNEY
“Un edificio è come un albero, come una foresta, cresce lentamente e poi rimane per dei secoli”. Così l’archistar Renzo Piano introduce in conferenza stampa il nuovo Whitney Museum of American Art. Parla della complessità di competere con l’edificio del suo collega storico Marcel Breuer, sulla Madison Avenue. L’intento era di creare un nuovo edificio ma non di cambiare l’identità del museo in sé. Il Whitney è sempre il Whitney e così deve rimanere. Ma con l’apertura delle porte di ieri, si è aperta anche una nuova fase storica per la concezione stessa di museo a New York.

LA NUOVA PIAZZA DI NEW YORK
Nove piani tra la High Line e il fiume Hudson rappresentano un nesso tra la città e il resto del mondo, o il “Far West”, come Piano lo definisce scherzosamente. Le grandi pareti di vetro del piano terra (sempre ad ingresso gratuito) lasciano un’ampia veduta sulle strade del Meatpacking, sul parco adiacente e sul waterfront, e definiscono uno spazio aperto e accessibile continuamente, un luogo di incontro e discussione, uno spazio di colloquio tra pubblico e privato, tra architettura e natura. “Una Piazza! Perché sono Italiano”, dice Renzo Piano durante la sua presentazione. E forse è quello l’aspetto che in questo momento distingue maggiormente il museo dalla sua casa precedente, e dalle altre istituzioni newyorkesi: la volontà di comunicare con la città non solo attraverso le attività culturali, ma anche attraverso la propria struttura architettonica. A visitare i singoli piani ci si rende conto che non ci sono barriere strutturali e che gli spazi sono permeati di luce naturale, derivante dalle grandi finestre su entrambi i lati (la galleria del terzo piano è la più grande sala museale senza colonne in tutta New York). E tre sono gli spazi esterni, uno all’entrata sud, uno al settimo piano e il terzo sul tetto, in cui i visitatori potranno ammirare l’arte a cielo aperto e godere di una vista mozzafiato sulla città e, appunto, sul resto del mondo.

GREEN WHITNEY
Anche in tema ambientale il nuovo Whitney si può considerare un’eccellenza. Infatti, è il primo museo d’arte newyorkese ad aver ottenuto la Certificazione LEED Oro per essere stato costruito in parte con materiali riciclabili, per avere un tetto biodinamico, un programma di riciclaggio interno e per aver considerato un sistema tecnologico di protezione anti-alluvione.

APERTURE STRAORDINARIE E PARTY
Last but not least, il museo si apre letteralmente a cittadini e visitatori con orari di apertura eccezionali: tre volte alla settimana fino alle 22 di sera. L’apertura ufficiale è prevista per il primo maggio, dalle 10.30 fino alle 22 di sera, mentre sabato 2 maggio sarà una giornata completamente ad accesso gratuito. Maggio culminerà con un Block Party su Gansevoort Street, sponsorizzato da Macy’s, con performance, attività artistiche, musica, danza e una serie di workshop. La chicca sarà l’illuminazione dell’Empire State Building ispirata ad una selezione di opere della collezione permanente del Whitney, che inizierà venerdì 1° maggio alle ore 20 e continuerà fino alle 2 del mattino successivo. Le opere interpretate saranno: Georgia O’Keeffe, Music Pink and Blue No. 2, 1918; Edward Hopper, Railroad Sunset, 1929; Chiura Obata, Evening Glow of Yosemite Fall, 1930; Mary Ellen Bute, Synchromy No. 4: Escape, 1937–1938; William H. Johnson, Blind Singer, c.1942; Mark Rothko, Untitled (Blue, Yellow, Green on Red), 1954; Jasper Johns, Three Flags, 1958; Andy Warhol, Flowers, 1970; Elizabeth Murray, Children Meeting, 1978; Peter Halley, Blue Cell with Triple Conduit, 1986; Barbara Kruger, We Don’t Need Another Hero, 1987; Cory Arcangel, Super Mario Clouds, 2002.

Sarah Corona

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Sarah Corona

Sarah Corona

Specializzata nell'art management e nella ricerca, si interessa di nuovi media e tecnologia nell'arte contemporanea e la giovane produzione artistica, rendendo i suoi studi pubblici attraverso testi, recensioni, interviste, mostre ed eventi in Italia, in Germania e a New York.

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