Nel nome del padre. Artisti contemporanei in dialogo con Picasso, a Barcellona

Figura ingombrante, ma anche inesauribile fonte di ispirazione per le generazioni successive, Pablo Picasso è il modello con cui gli artisti in mostra nel museo di Barcellona a lui intitolato entrano in dialogo e si scontrano. Abbiamo intervistato la curatrice Rosa Martínez.

La mostra che Rosa Martínez presenta all’interno del Museo Picasso di Barcellona ci permette di reinterpretare categorie e distinzioni, simboli e luoghi comuni. Per ripensare a un’arte contemporanea che non abbia paura dei padri. Ne abbiamo parlato con lei.

Nel testo in catalogo spieghi in maniera molto dettagliata lequilibrio che intercorre tra una certa idea di patriarcato e la forza dei simboli, spesso usati per propagare discorsi dominanti. Reinterpretare i temi e i simboli di Picasso, il padre dellarte contemporanea, era per te un modo per scardinare questa retorica?
Nel suo truire, dit-elle Marguerite Duras afferma ‒ da una prospettiva femminile ‒ che per creare qualcosa di nuovo una parte del vecchio deve essere distrutta. Questa affermazione allude all’essenziale riequilibrio delle forze, non solo nel campo della creazione e del linguaggio (che è il territorio privilegiato dei simboli), ma anche in quello della distribuzione del potere politico ed economico, che è lo spazio di produzione del reale. La messa in discussione dell’idea del padre onnipotente, delle religioni monoteiste, o del genio individuale nel campo dell’arte ‒ e personificato nel XX secolo da nessun altro come da Pablo Picasso ‒ è fondamentale per capire come si generano le mitologie contemporanee.
Nel XXI secolo siamo sempre più coscienti che il desiderio permanente di conquista e l’idea di progresso si appoggiano entrambi su strutture patriarcali, le cui linee di comando e obbedienza stanno portando il pianeta sull’orlo della distruzione. La mostra intende dare un contributo alla messa in discussione di questi modelli e mira a proporre nuovi modi di dare vita a un nuovo mondo, il che significa distruggere concetti obsoleti e cercare di formulare altri scenari alla base della nostra vita.

In questa mostra le voci femminili sono lo stesso numero di quelle maschili. Hai notato alcune costanti nella reinterpretazione che le artiste in mostra hanno fatto della figura di Picasso? Oppure i loro interventi procedono di pari passo con quelli dei colleghi, senza rilevanti distinzioni di genere?
La quantità è qualità, per questo cerco sempre un equilibrio paritetico tra uomini e donne. Nonostante questo ci muoviamo principalmente all’interno del “linguaggio del padre”. In mostra ci sono opere in tessuto, una tecnologia solitamente associata al lavoro femminile: la giacca che Aurora Carbonell ha dipinto per suo marito, il cantante Enrique Morente (con gli occhi di Picasso per il concerto che presentava il suo disco, Pablo de Malaga, nel liceo di Barcellona); la mappa di Cristina Lucas, ricamata a macchina su tela e raffigurante tutti i bombardamenti che vennero effettuati sulla popolazione civile spagnola nel 1939 (perché quello di Guernica non fu certo l’unico). Allo stesso modo si può vedere il dolce Minotauro di Tania Berta Jusith, ricamato su un foglio di famiglia riparato da mani femminili e che allude alla cura, alla conservazione e alla necessità di reinventare questo mito (e al ruolo delle nuove Arianne nella ricostruzione etica, poetica e politica del mondo). Gli artisti condividono, più di ogni altra cosa, una volontà tanto di celebrare quanto di interrogare criticamente la figura paterna di Picasso e dei tanti temi che ha trattato. E questo è visibile senza alcuna distinzione di genere.

Pilar Albarracín, Paloma de la guerra, 2018. Courtesy of Galerie GP & N Vallois, Parigi © Luis Castilla © Pilar Albarracín, VEGAP, Barcelona, 2019

Pilar Albarracín, Paloma de la guerra, 2018. Courtesy of Galerie GP & N Vallois, Parigi © Luis Castilla © Pilar Albarracín, VEGAP, Barcelona, 2019

Quali sono i temi della produzione picassiana attorno ai quali hai tentato di focalizzare lattenzione?
C’è una riflessione poliedrica e con diverse linee di fuga sui diversi aspetti esistenziali, politici e creativi di Picasso. La riflessione sulla guerra e la pace è presente nella mappa di Cristina Lucas o nell’installazione di Pilar Albarracin, la cui Colomba della guerra crea un inquietante contrasto con l’edonismo dei pulcini californiani. L’attivismo politico di Picasso, che generosamente sostenne molti degli esuli spagnoli, si può ritrovare nell’opera di Daniel García Andújar, Picasso comunista, che presenta gli archivi declassificati dell’FBI che vigilò su Picasso dalla sua iscrizione al partito, nel 1945, fino alla sua morte, nel 1973. Un altro dei temi portanti è quello della prostituzione e dei linguaggi artistici: se, all’epoca di Picasso, Les demoiselles d’Avignon si univano al primitivismo africano e alla scultura iberica, nell’opera di Santiago Sierra la prostituzione si allaccia alla critica della presunta purezza del minimalismo e alle forme contemporanee di affitto e sfruttamento dei corpi. Eulalia Valldosera ha aperto una nuova linea di esplorazione energetica con la reinterpretazione medianica del ritratto di Jacqueline del 1957 e la bonifica delle memorie che persistono nel campo morfo-genetico di ciascuno. Elo Verga e Rogelio López Cuenca discutono con ironia la mercificazione del marchio Picasso ricreando un “caganer” ‒ un souvenir tipicamente catalano di un uomo che fertilizza il campo ‒ e convertendo Picasso in un uomo che produce monete d’oro. Il tema della mitologia del Minotauro, e della tauromachia sono rappresentati nei ricami di Tania Berta Judith e nella pittura di Miquel Barceló, nel cartellone che annuncia l’ultima corrida autorizzata da Barcellona prima che il Parlamento proibisse la festa nel 2011. Infine c’è un’opera d’arte totale che allude al Picasso poeta e attualizza la genealogia che unisce Velázquez, Picasso ed Enrique Morente, il magnifico cantante di flamenco. Nell’azione intitolata Compases silencios y libertad. Performance para Las Meninas de Picasso, era possibile vedere Aurora Carbonell che (con i suoi figli Estrella, Solea e Kiki e altri membri della famiglia) reinterpretava Las Meninas, ridiscutendo la prigione che rinchiude le donne in un destino già prefissato, oltre alla ingiusta distribuzione della ricchezza che genera profonde differenze sociali.

Come hanno ucciso il padregli artisti in mostra? Puoi raccontarci alcuni esempi?
Seguendo la psicologia freudiana, tutti dobbiamo uccidere simbolicamente il padre per poter essere noi stessi. Accettare la sua eredità e andare oltre a ciò che ci è stato insegnato, senza odiarlo e senza temere che non ci punisca o limiti. Dire “è la mia volontà” ‒ e non la sua ‒ come professano le attiviste del collettivo boliviano Mujeres creando: questo significa contestare qualunque divinità tanto forte da sentirsi in diritto di decidere della vita e della morte dei propri figli.

Ogni lavoro sembra essere pensato appositamente in dialogo con uno spazio del museo, anche opere già esistenti. Come hai selezionato artisti e opere?
Picasso è talmente enorme che è difficile racchiuderlo in tutta la sua grandezza. Conosco e ammiro il lavoro degli artisti selezionati da molto tempo e le opere esposte hanno tutte una connessione iconografica o tematica che le mette in dialogo con il passato e il presente di una nuova forza rinnovatrice. Ho sempre desiderato lavorare con artisti che vanno oltre a ciò che è già stato detto, vale a dire che utilizzano un linguaggio internazionale senza cadere nel manierismo. Per me tutte le opere sono come un elisir che unisce significati e che apre a nuove prospettive di comprensione di Picasso. È stato molto importante poter dialogare con il lascito del 1968, le opere che Picasso generosamente donò a Barcellona quell’anno: la serie Las Meninas, il ritratto di Jacqueline e il gruppo dei pulcini. E credo che queste tre invenzioni rimarranno meravigliosamente inserite nella storia del museo di Barcellona e nella reinterpretazione contemporanea dell’artista. Detto questo, è sempre lo spettatore che decide ogni volta quale sia l’opera che più lo ispira, sia a livello intellettuale che emotivo. Come curatrice e mediatrice della selezione, che è sempre concordata in dialogo con gli artisti, spero che la mia proposta contribuisca a risvegliare piacere, emozioni e coscienza critica negli spettatori.

Irene Biolchini

Barcellona // fino al 24 settembre 2019
En el nom del pare
MUSEO PICASSO
Carrer Montcada, 15-23
www.museupicasso.bcn.cat

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Irene Biolchini

Irene Biolchini

Irene Biolchini (1984) insegna Arte Contemporanea al Department of Digital Arts, University of Malta, ed è Guest Curator per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, per il quale dal 2012 cura mostre site specific. È curatrice della collezione d’arte…

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