Expo 2015, alla Fiera di Rho una scultura di Maria Cristina Carlini. La nuova città che sale si specchia nelle architetture di Fuksas e Perrault

Si erge dalle acque dello specchio steso all’ingresso della Porta Sud, in un gioco di riflessi che ne accentua la verticalità: slanciando ulteriormente la sua elegante marcia verso il cielo. Trova posto in via permanente alla Fiera di Rho, dialogando con le architetture di Massimiliano Fuksas ma soprattutto, in lontananza, con le linee instabili delle […]

Si erge dalle acque dello specchio steso all’ingresso della Porta Sud, in un gioco di riflessi che ne accentua la verticalità: slanciando ulteriormente la sua elegante marcia verso il cielo. Trova posto in via permanente alla Fiera di Rho, dialogando con le architetture di Massimiliano Fuksas ma soprattutto, in lontananza, con le linee instabili delle torri disegnate da Dominique Perrault per l’NH Hotel: ecco La nuova città che sale, scultura che Maria Cristina Carlini colloca a un passo da quello che sarà il centro nevralgico di Expo 2015. Presentazione alla Triennale di Milano, complice un incontenibile Philippe Daverio, per l’ultimo lavoro di un’artista che da trent’anni a questa parte si muove in modo schivo, seguendo percorsi altri rispetto a quelli del mercato tradizionale; concentrandosi sul legno e sul grès, sulla manipolazione quasi artigianale della materia, su un linguaggio che si inserisce in modo omogeneo nella grande tradizione della scultura italiana del secondo Novecento. “Sono un antropologo, non un critico d’arte” scherza Daverio nel tentare una spiegazione al rapporto distorto che il Bel Paese ha oggi con la scultura monumentale, “salvata dal codice della strada” quando impone di abbellire rotatorie spesso invece ricettacolo di obbrobri; parziale risarcimento per un mercato e una committenza che sembrano dimenticare un’arte da “stanziali” in favore di opere mobili, per chi insomma ha sempre la valigia pronta…
Battute a parte resta l’installazione di un lavoro che fa il paio con quello, fratello, portato nello stesso contesto da Carlini nel 2008; e che parla in modo delicato con uno skyline difficile, da affrontare in punta di piedi per evitare uno scontro visuale che farebbe male a entrambi. Il titolo che ammicca a Boccioni ribadisce la milanesità dell’opera, vale come ulteriore legame a una tradizione evocata ma non replicata come stucchevole esercizio di retorica.

Francesco Sala

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