Prosegue l’occupazione della Cavallerizza Reale di Torino. E mentre si protesta contro il processo di privatizzazione, arriva una call per videoartisti…
Dallo scorso 23 maggio la Cavallerizza Reale di Torino è occupata da un gruppo di cittadini e artisti, riunitisi in un’associazione e impegnati in una battaglia senza quartiere contro l’amministrazione comunale. Obiettivo: salvare la Cavallerizza dalle grinfie dei privati. Enorme e bellissima struttura – oggi in gravi condizioni d’abbandono – edificata tra la fine del […]
Dallo scorso 23 maggio la Cavallerizza Reale di Torino è occupata da un gruppo di cittadini e artisti, riunitisi in un’associazione e impegnati in una battaglia senza quartiere contro l’amministrazione comunale. Obiettivo: salvare la Cavallerizza dalle grinfie dei privati. Enorme e bellissima struttura – oggi in gravi condizioni d’abbandono – edificata tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento da architetti come Juvarra, Alfieri e Mosca, fu utilizzata come scuola di formazione per alti ufficiali e come area di servizi per Palazzo Reale: giochi ed esercizi cavallereschi, maneggio, scuderie, riparo per le carrozze.
Acquisita alla fine del secolo scorso dal Comune di Torino e nominata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1997, la Cavallerizza a un certo punto ospitò il Teatro Stabile di Torino: Maneggio Reale, Manica Lunga, Manica Corta e Salone delle Guardie furono usati come palcoscenico, sala prove, depositi, ripostigli, camerini, sala di montaggio scenografie. Un’avventura terminata nel 2013 con il trasloco del Teatro in altra sede: gli ingenti tagli inflitti dagli enti locali impedivano di far fronte ai costi di gestione e adeguamento impianti.
Che fare? Vendere. Nell’impossibilità di trasformare un luogo come questo – incastonato fra il Teatro Regio e l’Auditorum Rai, il Teatro Gobetti, il Teatro Carignano e il Museo del Cinema– in un tempio stabile per la ricerca contemporanea, il Comune cerca degli investitori, a cui consegnarlo a prezzi stracciati.
L’occupazione puntava – e ancora punta – ad evitare questo traumatico passaggio dal pubblico al privato. E nonostante le rassicurazioni del Sindaco Piero Fassino – “la vocazione culturale non sarà sacrificata” – la paura che la Cavallerizza diventi un parcheggio o un centro commerciale non abbandona del tutto gli occupanti. Decisi – col supporto di intellettuali come Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Ugo Mattei, già vicini ad altre occupazioni eccellenti, dal Tetro Valle all’Asilo di Napoli – a non abbandonare la casa che brucia. Espressione non metaforica, visto che un incendio doloso, la scorsa estate, ha malauguratamente travolto alcuni ambienti dell’edificio (quelli destinti al Circolo Beni Demaniali), ora in attesa di un certificato di non agibilità.
Nel frattempo, mentre si intavolano discussioni col Comune e si prova a sensibilizzare la cittadinanza, lo spazio accoglie anche appuntamenti culturali, sempre a supporto della causa. L’ultima è una call internazionale per video artisti che intendano sostenere le ragioni dell’occupazione, mettendo a disposizione una propria opera video. I materiali raccolti saranno al centro di un evento pensato per la prossima art week torinese, in occasione di Artissima (6-9 novembre 2014). Negli spazi del cinematografo sarà allestita una zona lounge con uno screening non stop, che 24 ore su 24 manderà in loop tutti i video arrivati.
L’operazione, che da un lato mira a tenere acceso il dibattito intorno al caso, proprio nei giorni caldi della fiera, dall’altro ricalca quelle pratiche politico-culturali che le tante occupazioni di questi anni hanno adottato: prendere un posto, per protesta, contestandone il degrado, e trasformarlo in un centro attivo di partecipazione e di proposta.
Ma coso chiedono gli occupanti della Cavallerizza? Nel comunicato stilato in occasione di questa video maratona, dichiarano di volere “opporsi al processo di privatizzazione voluto dalle istituzioni e al contempo avviare un processo di gestione basata sulla partecipazione attiva della cittadinanza”. No ai privati, dunque, sì al coinvolgimento diretto dei cittadini. Nella speranza che questo non coincida, tout court, con una ipotesi di autogestione stabile. Strada che non è e non potrà essere risolutiva, come dimostrato di recente dagli esiti dell’affaire Valle, sgomberato dopo tre anni, ma anche del Teatro Garibaldi a Palermo, giusto per fare un paio di esempi.
La (s)vendita ai privati di un bene pubblico, soprattutto se vincolato per l’alto valore storico-artistico e connotato da una mission culturale, non è mai una soluzione felice. Ma non lo sono nemmeno l’illegalità e l’abuso come forma di protesta permanente, o il tempo lento del degrado a cui centinaia di palazzi pubblici sono stati consegnati, in questi anni. Demonizzare il privato, in tempi di carestia, tra spending review, patto di stabilità e agonia diffusa degli enti locali, è allora troppo facile. Così come sarebbe irresponsabile disfarsi di un gioiello architettonico come questo in assenza delle cautele necessarie. Dunque? Cercare un’intesa tra pubblico e privato, piuttosto, salvaguardando identità del luogo e vincolandone la destinazione d’uso, nella garanzia che vengano messi sul tavolo tutti gli investimenti necessari per le opere di restauro e di gestione. Una direzione su cui lavorare, nel cuore di un’emergenza economica scandalosa. Fuor di retorica e al netto di romantiche (quanto comprensibili) mobilitazioni dal basso.
– Helga Marsala
Per inviare i propri video alla Cavallerizza:
www.cavallerizzareale.wordpress.com/2014/10/27/art-week-in-turin-open-call-4-videoartists
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati